WeCare, il progetto che vuole ritornare alle relazioni solidali nei quartieri in difficoltà

“Quando ho scoperto WeCare ho pensato che non eravamo più soli, che qualcosa di nuovo poteva accadere. Che non era vero che le cose sono destinate a perdersi e a peggiorare continuamente. Anche se ci sono tante macerie qua attorno, ho capito che se hai qualcuno con cui calpestarle, passarci attraverso, alla fine puoi trovare una luce. E’ a quella che dobbiamo puntare”. Le parole di B., residente ad Alba, sono state dette a un operatore sociale a inizio luglio. Nel 2019 B. era disoccupato e trascorreva la gran parte delle giornate nel proprio appartamento. Viveva il quartiere circostante con un senso di distanza e appannamento, come se quel contesto non gli appartenesse. Tutto attorno era indifferente e lui iniziava a sentire un grande peso addosso. Oggi B. partecipa con altri inquilini del suo condominio – persone con cui prima non scambiava che rapidi saluti – ad attività di coltivazione dell’orto, giochi settimanali con i bambini, operazioni di pulizia delle strade, riunioni di pianificazione su come migliorare gli spazi comuni.

Nell’epoca dell’indurimento nelle relazioni e della solitudine, dell’individualismo pervasivo e dell’autoreferenzialità, WeCare tenta di costruire un percorso differente. E’ un progetto sperimentale della Regione Piemonte e finanziato dall’Unione Europea iniziato nel 2019, ma in inverno bruscamente interrotto a causa dell’emergenza sanitaria. A giugno 2020 la ripartenza. Obiettivo di WeCare è spezzare i muri che rendono gli individui lontani gli uni dagli altri collegando i cortili e gli appartamenti, irrompendo nell’altrimenti diffuso nell’isolamento e attivando le risorse già esistenti nella comunità. Sul territorio sono quattro le aree destinatarie dell’intervento: i quartieri Piave e Santa Margherita ad Alba, alcuni condomini a Canale e vari distretti dell’Alta Langa. Un cantiere sociale “diffuso” in cui ogni giorno lavorano gli operatori del Consorzio socio assistenziale Alba Langhe e Roero (ente di coordinamento), delle Cooperative sociali Progetto Emmaus, Alice, Cos e Terra Mia. 

Spiega Marco Bertoluzzo, direttore del Consorzio: “WeCare è un progetto sperimentale che vuole superare il modello assistenzialistico della “presa in carico” della persona in difficoltà socioeconomica da parte dei servizi. L’idea di base è semplice: se pensiamo unicamente a noi stessi, sfruttando la risorsa pubblica per realizzare i nostri obiettivi quotidiani ma non preoccupandoci dell’altro, non potremo generare reale benessere e uscire dagli schemi tradizionali”. Perciò gli operatori agiscono nei quartieri caratterizzati da disagio socioeconomico nel tentativo di attivare reti solidali tra gli abitanti, che vengono accompagnati innanzitutto nel riconoscimento dei bisogni esistenti e in un secondo momento nell’invenzione di soluzioni. Prosegue Bertoluzzo: “Sono tre le direzioni su cui ci stiamo muovendo: il condominio solidale (persone che si associano ad altre per far fronte ad esigenze comuni, dall’aiuto compiti per i bambini fino alla spesa per chi fa fatica a spostarsi), gli orti sociali (grazie alla disponibilità di alcuni terreni viene coltivata verdura in modo collegiale) e i trasporti solidali (soprattutto da Alba all’Alta Langa, in modo che in un’unica auto si muovano più persone risparmiando in termini di tempo e di inquinamento). Vogliamo recuperare gli antichi valori della cultura contadina, quando le persone si aiutavano reciprocamente ed esisteva un forte senso di comunità. L’obiettivo è uscire dallo stato di difficoltà, operazione in cui è la stessa persona ad attivare le proprie risorse e farsi promotrice di aiuto verso gli altri”.   

 

Giulia Castagno, un’operatrice della Cooperativa Alice, racconta come inizialmente abbia trovato “molta rassegnazione e poca fiducia sia in noi operatori che nei beneficiari del progetto nel percepirsi come possibili risorse per gli altri. Grazie alla costanza del venire in quartiere e continuare a proporre varie attività, sia per adulti che per i piccoli, alcune persone si stanno abituando e affezionando agli incontri. La sensazione generale è quella di avere di fronte una grande voglia di stare insieme, provare a fare, incontrarsi, per alcuni attimi pensare meno ai soliti problemi”. Sebbene l’instaurarsi di una nuova cultura segua cicli lenti, l’incontro con la comunità e la creazione dal basso di nuove modalità di interazione sta iniziando a germogliare. Elena Ferrero, operatrice della Cooperativa Progetto Emmaus, aggiunge come “ciò che mi più mi colpisce, arrivando nei cortili, è l’accoglienza: sempre un sorriso, uno sguardo curioso, la voglia di chiacchierare dalle finestre o dai balconi e… qualche volta anche dolcetti appena sfornati. E’ il gusto ritrovato della mia infanzia, quando semplicemente “si scendeva sotto” e si giocava spensierati, guardati a distanza dagli anziani seduti all’ombra di qualche pianta”.

Conclude Marco Riva, coordinatore del progetto: “In un periodo in cui siamo tenuti al distanziamento fisico, abbiamo capito ancora di più l’importanza dei legami sociali, della prossimità, del mutuo aiuto. Nonostante il periodo difficile sono tante le persone che si sono rese disponibili nei quartieri oggetto della sperimentazione ad Alba, Canale e Bossolasco. I partecipanti sono stati coinvolti in attività di prossimità molto concrete: gruppi di aiuto per bimbi e ragazzi nello svolgimento dei compiti scolastici, attività di cura e pulizia dei cortili condominiali, riscrittura di regole condivise di convivenza, attività ludiche e ricreative, corsi di cucina, attività negli orti, supporto alla spesa e ai trasporti. O più semplicemente gruppi di ascolto e conoscenza reciproca, per sentirsi meno soli. La comunità è la più grande risorsa di cui disponiamo, soprattutto in tempi di crisi economica. Riscoprirlo e sperimentarlo con azioni concrete è il grande obiettivo di questo progetto”.

 

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