Ripubblicizzare l'acqua, difendere i Beni Comuni

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Il momento di incertezza del quadro politico condiziona inevitabilmente il tema della ripubblicizzazione dell’acqua su cui il nostro Coordinamento e più in generale tutto il movimento per l’acqua, è  impegnato.
Nella vigenza della moratoria su nuovi affidamenti a società per azioni, approvata dal Parlamento, e mentre ancora attende di essere discussa la legge di iniziativa popolare che ha raccolto oltre 406.000 firme e depositata lo scorso Luglio, si susseguono dichiarazioni, dibattiti, scelte che, riportandoci indietro di anni, rischiano di riproporre il dogma del (finto) mercato come panacea per tutti i mali, anche nella gestione dell’acqua bene comune.

Dichiarazioni, come quelle della ministra del PD Linda Lanzillotta, che rilancia la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali – acqua compresa – che non le era riuscita nella scorsa legislatura.
Scelte, come quelle operate – e per fortuna bloccate e contestate – in Toscana, dove a diversi livelli, regionale e di alcuni grandi Comuni capoluogo, si persegue la creazione di un ATO unico regionale svincolato da ogni logica di bacino idrografico ed invece con lo scopo evidente di unificare anche il gestore con lo stesso socio privato (Suez). Ed in ogni caso tendenti a portare alle estreme conseguenze il modello toscano delle società miste.
Dibattiti, come quello in corso all’interno di organizzazioni sindacali importanti come la CGIL, già espressasi a favore della proprietà e gestione pubblica dell’acqua in sede congressuale, ma all’interno della quale provano a riprendere forza posizioni ambigue e sostenitrici del citato “modello toscano”.

Ci sentiamo perciò di ribadire in questo documento alcune delle ragioni e motivazioni che danno gambe alla nostra battaglia per l’acqua pubblica “senza se e senza ma”, e chiediamo alle organizzazioni sindacali e politiche che fanno parte del Comitato di sostenerle in tutte le sedi, in modo da ottenere che la loro posizione si mantenga pienamente coerente con la scelta di una gestione del servizio idrico mediante enti e aziende di diritto pubblico e partecipate dai cittadini.

L’esperienza della gestione effettuata mediante società per azioni ed in particolare tramite società miste pubblico-private, come confermano pure i gravi fatti di cronaca di queste settimane, (la pesante multa affibbiata dall’Antitrust ad Acea–Suez, perché si spartivano gli appalti tramite società controllate, o l’inchiesta della magistratura che ha portato agli arresti dei vertici di Acqualatina nel Lazio per una serie di reati finanziari e contro la pubblica amministrazione) ha mostrato negli ormai dieci anni di attuazione tutta la subalternità delle società pubblico-private all’esigenza del profitto ingiustificato del capitale privato.

Le vicende menzionate, che rappresentano solo la punta dell’iceberg, dovrebbero mettere in chiaro come la gestione mista riesca nella maggior parte dei casi ad ottenere il notevole risultato di condensare il “peggio” da entrambe le forme: il mantenimento del clientelismo di passate gestioni pubbliche, favorito dal non dover seguire i rigidi vincoli pubblicistici di un ente di diritto pubblico, e la consegna delle quote e del reale potere decisionale a poche, grandi multinazionali dell’acqua (Veolia, Suez, Vivendi, Lyonnaise des Eaux ...).

In realtà la nostra convinzione, frutto del lavoro di analisi delle vertenze locali che in questi anni si sono combattute in varie parti d’Italia, è proprio che la proprietà e gestione pubblica dell’acqua senza eccezioni, in quanto espressione della sovranità delle popolazioni sul più importante tra tutti i beni pubblici, ed unica garanzia di un servizio veramente universale, debba superare il concetto della gestione mediante società di diritto privato ivi comprese le SpA pubbliche o miste. Il motivo è semplice, e non è di natura formalmente giuridica: una società di capitali si costituisce ed agisce con l’obiettivo della massimizzazione del profitto per gli azionisti. E questo obiettivo non può coesistere né con quello del risparmio della risorsa (occorre vendere sempre più acqua, come a Firenze, dove Publiacqua, società mista, ha aumentato le tariffe del 9% per recuperare i profitti erosi, negli ultimi anni, dai minori consumi d’acqua dei fiorentini) né, appunto, con quello di tariffe sostenibili per tutti (occorre vendere a tariffe crescenti). Da parte loro i Consigli Comunali sono svuotati di ogni potere di controllo e decisionale perché le decisioni, comunque, si prendono nelle stanze dei consigli d’amministrazione dove il controllo democratico, notoriamente, fatica ad arrivare.
Il movimento per l’acqua pubblica sta valorizzando le esperienze virtuose di gestione pubblica esistenti, in alcune delle quali la forma del Consorzio si è rivelata vincente e ben lontana da alcuni cliché (ormai ripetuti come mantra in nome del pensiero unico neoliberista), volti a qualificare le esperienze passate di gestione pubblica come foriere di risultati economici inefficienti, e sta anche elaborando un progetto di azienda pubblica di servizi che possa rispondere, con un soggetto gestore organizzato e partecipato alla sfida lanciata dalla ripubblicizzazione.

La situazione attuale, nella quale la privatizzazione è stata in molte realtà, come Torino stessa, scongiurata per ora mediante l’affidamento diretto (in house), deve quindi a nostro parere essere superata. Ma non nel senso, ovviamente, di consentire che tali SpA (che, per inciso, devono essere a totale capitale pubblico per legge) gareggino sul mercato in località diverse da quella ove hanno ricevuto l’affidamento diretto – come la stessa SMAT ha fatto a Palermo.

Infatti questa condizione è alla base dell’esistenza del modello in house, concesso da uno spiraglio delle norme europee. Ma se una società riceve un affidamento diretto senza gara da un ente locale, deve collocarsi fuori dal mercato, altrimenti trarrebbe vantaggio, nella concorrenza con altre imprese, dalla posizione acquisita fuori dal regime di concorrenza. Insomma, se si è fuori dal mercato lo si è sempre e non solo quando fa comodo!
Né la moratoria sugli affidamenti a società di capitali, varata dalla Finanziaria dopo una lunga battaglia del movimento e degli eletti per l’acqua pubblica, può essere aggirata con operazioni di aggregazione degli ATO come quella tentata in Toscana, che non sono altro che una privatizzazione sotto mentite spoglie.

In merito alla tariffa, Per noi il diritto all’acqua viene prima della copertura dei costi: questo è il senso della gratuità dei 50 l/abitante/giorno che la legge popolare prevede, perché non si può fare a meno dell’acqua. La scommessa è che questo possa anche contenere gli sprechi, esistendo la possibilità di non dover pagare per niente la bolletta se si attua un consumo oculato. Certo, il ricorso alla fiscalità generale, che è necessario per mantenere delle tariffe accettabili, non deve deresponsabilizzare l’Ente di gestione (azienda di diritto pubblico, Consorzio, altro): il quadro delle coperture deve essere trasparente ed equilibrato. Ma la pretesa che la tariffa copra per intero i costi del servizio idrico (pretesa che fu già della legge Galli) equivale a dire che l’acqua è un bene meno necessario di sanità e scuola: dato che nessuno pretende che con i ticket si copra l’intero costo della sanità pubblica o con le rette di iscrizione quello della pubblica istruzione!

Smentito quotidianamente dai fatti è poi l’argomento che i privati porterebbero capitale per gli investimenti, visto che i soldi derivano da finanziamenti chiesti al sistema del credito a tassi spesso ben maggiori di quelli che l’ente pubblico avrebbe potuto avere dalla Cassa Depositi e Prestiti. In più, in un regime di monopolio naturale non esiste e non può esistere la sbandierata concorrenza; e con la remunerazione del capitale al 7% garantita per contratto le tariffe non devono più solo coprire i costi, come sarebbe per un ente pubblico con l’obbligo del pareggio del bilancio. Ma allora ci chiediamo a maggior ragione: quali argomenti giustificano la gestione privata?

La nostra battaglia è fatta anche per e con i lavoratori del servizio idrico: il gestore privato investe sulla riduzione del costo del lavoro mediante l’abbassamento di quelle tutele che il pubblico, prima, garantiva.
Non è d’altra parte col pretesto del lavoro che si può giustificare, - come ci auguriamo non ci sia la tentazione di fare da parte di certe sigle sindacali - l’accorpamento delle gestioni a livello regionale. Affidare tutto il servizio idrico di un’intera Regione, trasformata in ATO unico, come in Toscana si sta tentando di fare (operazione apripista per altre situazioni), ad un unico gestore, può rispondere a logiche finanziarie – industriali che a noi cittadini sfuggono, ma non certo a quelle della gestione per bacino idrografico e significa consegnare al gestore unico un potere immenso.
La volontà di tanti, e di tutto il popolo dell’acqua, è quella di non rassegnarsi alla considerazione dell’acqua come merce e di riconsegnare le “chiavi” dell’acqua, dai rapinatori ai veri proprietari, che sono le comunità locali.

Come Coordinamento torinese per l’acqua pubblica seguiamo con attenzione il dibattito in corso nell’ambito della Conferenza di organizzazione della CGIL, nel quale il tema del servizio idrico, e più in generale della gestione dei servizi pubblici e dei beni comuni, avrà certamente parte importante anche per il numero dei lavoratori coinvolti.
Dibattito che parte da solide premesse di partenza, dato che nel recente XV° Congresso1 del 2006 la tesi 4 afferma: “ …  particolare attenzione merita il tema dell’acqua che, per il fatto di essere  risorsa indispensabile alla vita, limitata in natura e per la quale  va garantita l’accessibilità in termini universali, va considerata bene comune fondamentale e, dunque, di proprietà e gestione pubblica al pari della salute, istruzione e sicurezza”.
Allo stesso modo seguiamo quanto avviene in questi giorni nella campagna elettorale e rileviamo con soddisfazione che la Sinistra Arcobaleno e Sinistra Critica2 si propongono nel proprio programma l’acqua come bene pubblico e la ripubblicizzazione dei servizi idrici; altri3 invece contano sulle virtù della concorrenza che, in questo campo, somigliano sempre più alla mitologica Araba Fenice – che tutti cercano ma nessuno trova.

Il Coordinamento evidenzia  in ogni caso l’importanza che tutte le sigle sindacali   aderenti al Comitato e quelle che comunque condividono le nostre posizioni sostengano le tesi del movimento per l’acqua  in seno alle proprie organizzazioni e nelle sedi di concertazione istituzionali, quando si tratterà di discutere futuri provvedimenti e si impegnino inoltre per sollecitare la rapida discussione della proposta di legge di iniziativa popolare.

Il Coordinamento torinese per l’acqua pubblica - http:// www.acquabenecomune.org