Prendono forma i tre referendum per la difesa dell'acqua pubblica

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ImageLa risposta del Forum italiano dei Movimenti per l'Acqua al recente inaccettabile "Decreto Ronchi", approvato dal Parlamento, inizia a materializzarsi; in questi giorni un pool di giuristi ha preparato tecnicamente i tre quesiti da sottoporre a referendum popolare, la cui raccolta firme dovrebbe avviarsi già a partire dal prossimo mese di Aprile e durare 90 giorni (saranno necessarie 500.000 firme: un impegno non da poco) ...

Proviamo qui a riassumere i principali elementi contenuti nella bozza preparata dai giuristi, invitando tutti a segnalarci eventuali modifiche, integrazioni o modifiche sostanziali da far giungere alla segreteria del nostro Forum nazionale a breve termine.


Lettera di accompagnamento alla relazione sui quesiti referendari

Ho il piacere di inviarVi il testo dei quesiti referendari e la relazione di accompagnamento alla quale, oltre me, hanno lavorato gli amici e colleghi Azzariti, Ferrara, Mattei e Rodotà.

Sia il testo dei quesiti che la relazione di accompagnamento hanno cercato, dal punto di vista tecnico-giuridico, di sistematizzate e di rendere efficace ed effettivo sul piano operativo, quanto è emerso, dal punto di vista degli obiettivi politici, nelle precedenti riunioni.

Il percorso referendario, per sua natura, presenta incertezze e dubbi, è un istituto di democrazia diretta, sempre oggetto da parte della Corte costituzionale, di interpretazioni nè omogenee, nè univoche.

La relazione, in tal senso, evoca anche dubbi e perplessità, ma cerca anche di superarli attraverso un'attenta lettura della giurisprudenza della Corte costituzionale.

Le interpretazioni, a supporto dei quesiti, sono ovviamente di natura tecnica, ma è inutile nascondere che la battaglia è politica, che l'obiettivo è politico: ovvero invertire decisamente la rotta, evitare l'ultima grande rapina dei beni comuni ed instaurare un vero governo pubblico partecipato dell'acqua, uscendo da ipocrisie e mistificazioni.

L'auspicio è che dall'acqua si passi poi agli altri beni sociali e beni sovrani sempre più oggetto di sfruttamento a vantaggio di pochi.

Sia la relazione che il testo sono messi, ovviamente, a disposizioni di tutti coloro i quali li vogliano migliorare, integrare, perfezionare. Ogni suggerimento sarà preso in considerazione al fine di poter raggiungere gli obiettivi comuni nel modo più efficace e sicuro possibile.

Con l'occasione, vi ringrazio per l'attenzione e vi invio i più cordiali saluti.

Alberto Lucarelli


Relazione ai quesiti referendari

Gaetano Azzariti (ordinario di diritto costituzionale Università di Roma La Sapienza)
Gianni Ferrara (emerito di diritto costituzionale Università di Roma La Sapienza)
Alberto Lucarelli (ordinario di diritto pubblico Università di Napoli Federico II)
Ugo Mattei (ordinario di diritto civile Università di Torino)
Stefano Rodotà (emerito di diritto civile Università di Roma La Sapienza)

Invertire la rotta. Per un governo pubblico dell’acqua

Relazione introduttiva ai quesiti referendari

1. Motivi di carattere generale alla base della scelta del ricorso all’istituto referendario ex art. 75 Cost.

Il 18 novembre, alla Camera dei Deputati si approvava, con  ricorso alla fiducia, il decreto Ronchi, che all’art. 15 avviava un processo di dismissione della proprietà pubblica e delle relative infrastrutture, ovvero un percorso di smantellamento del ruolo del soggetto pubblico che non sembra avere eguali in Europa. Contemporaneamente, nella sala Nassirya di Palazzo Madama, Stefano Rodotà, presidente della commissione per la riforma dei beni pubblici, insieme a Giovanni Conso, presidente onorario dell’Accademia dei Lincei, e a una nutrita delegazione di consiglieri regionali piemontesi, presentava alla stampa il disegno di legge delega di riforma della disciplina codicistica dei beni comuni depositato in Senato per iniziativa unanime del consiglio regionale piemontese.

A render ancor piu’ grave nel merito e nel metodo l’approvazione del decreto Ronchi vi è il fatto che esso e’ stato approvato ignorando il consenso popolare che soltanto due anni fa si era raccolto intorno alla legge d’iniziativa popolare per l’acqua pubblica (raccolte oltre 400.000 firme), oggi in discussione in Parlamento. Nel frattempo, cinque Regioni hanno impugnato il decreto Ronchi di fronte alla Corte Costituzionale lamentando la violazione di proprie prerogative costituzionali esclusive.
Ad un indirizzo politico chiaro si contrappongono, dunque, segnali di resistenza verso un Governo che ha in mente un progetto rozzo, ma chiaro: la svendita del patrimonio pubblico, la volontà di fare affari attraverso lo sfruttamento dei beni comuni, ovvero quei beni di appartenenza collettiva, tra i quali ovviamente spicca l’acqua. L’ultimo grande bottino, l’ultimo grande saccheggio.

Mentre il testo della commissione Rodotà finalmente inizia il suo percorso legislativo, pur fra mille ostacoli e trabocchetti, con il chiaro e trasparente obiettivo di valorizzare le ricchezze pubbliche essenziali quali le risorse naturali, l’acqua, le grandi infrastrutture, i beni funzionali all’erogazione del welfare e la proprietà pubblica immateriale, il decreto Ronchi diventa legge (l. n. 166 del 2009), collocando tutti i servizi pubblici essenziali locali sul mercato, sottoponendoli alle regole della concorrenza e del profitto, espropriando il soggetto pubblico e quindi i cittadini dei propri beni faticosamente realizzati negli anni sulla base della fiscalità generale.
 
Mentre in maniera più o meno diffusa ci si sta rendendo conto come negli ultimi anni la gestione privata dell’acqua abbia determinato un aumento delle bollette del 61% ed una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria, degli impianti di depurazione, il Governo e la sua maggioranza approva una legge che, imponendo la svendita forzata del patrimonio pubblico e l’ingresso dei privati, alimenterà anche sacche di malaffare e fenomeni malavitosi facilmente riconducibili alla camorra, alla ndrangheta, alla mafia.

La malavita, già da tempo, ha compreso il grande business dei sevizi pubblici locali, si pensi alla gestione dei rifiuti, e la grande possibilità di gestirli in regime di monopolio. La criminalità organizzata dispone di liquidità che come è noto ambiscono ad essere “ripulite” attraverso attività d’impresa.
Per chi conquisterà fette di mercato, l’affare è garantito. Infatti, trattandosi di monopoli naturali, l’esito della legge sarà quello di passare da monopoli-oligopoli pubblici a monopoli-oligopoli privati, assoggettando il servizio non più alle clausole di certezza dei servizi delineati dall’Unione Europea, ma alla copertura dei costi ed al raggiungimento del massimo dei profitti nel minor tempo possibile.

Le due grandi multinazionali Suez e Veolia, anche attraverso il supporto logistico di compiacenti imprese locali, sono pronte al grande ultimo assalto,  ma anche per le utility di derivazione comunale oggi quotate a piazza affari, il decreto Ronchi  potrà rappresentare a danno dei cittadini, dell’ambiente, della salute e non da ultimo dell’occupazione, una grande occasione da non perdere.

Come giuristi viene da sorridere quando si leggono alcune affermazioni  quali quelle espresse da Roberto Passino, attuale presidente del Co.N.Vi.R.I. (Commissione Nazionale di Vigilanza sulle Risorse Idriche) il quale, in merito all’acqua, al Sole 24 ore di giovedì 19 novembre, ha dichiarato che poca conta se il gestore sia una S.p.A. controllata dal pubblico o dal privato, conta che tutte le leggi confermino da anni l’acqua come bene pubblico, che gli impianti idrici sono tutti di proprietà pubblica, che l’organismo di controllo è pubblico e che la formazione delle tariffe è in mani pubbliche.
Purtroppo le cose non stanno cosi’. Anche studenti del primo anno di economia o di diritto  sanno bene che tra proprietà formale del bene e delle infrastrutture e gestione effettiva del servizio vi è una tale asimmetria d’informazioni, al punto da far parlare di proprietà formale e proprietà sostanziale, ovvero il proprietario reale è colui che gestisce il bene ed eroga il servizio.

Sappiamo bene quale é la debolezza dei controlli e la loro pressoché totale incapacita’ di incidere sulla governance della società, sappiamo bene quanto è debole e ricattabile politicamente, e non solo, tutta la dimensione tecnocratica delle autorità di regolazione. Ma soprattutto sappiamo bene che il governo e il controllo pubblico diventano pressoché nulli nel momento in cui ci si trova dinanzi a forme giuridiche di diritto privato, regolate dal diritto societario.
Si abbandonino dunque una volta per tutte queste ipocrisie che ruotano intorno alle false dicotomie pubblico-privato, proprietà-gestione e si affermi finalmente che un bene è pubblico se è gestito da un soggetto formalmente e sostanzialmente pubblico, nell’interesse esclusivo della collettività, e che gli eventuali utili devono essere reinvestiti nel servizio pubblico o eventualmente in altre attività dal forte impatto sociale, ricadenti nel territorio. Altrimenti diverra’ difficile far comprendere ai cittadini che le false liberalizzazioni non sono che nuovi trasferimenti di risorse comuni dal pubblico al privato, che determinano una crescita dei prezzi delle commodities e dei beni e servizi annessi, così come un aumento dei prezzi finali dei servizi di pubblica utilità. Si configurerà cosi’ un governo iniquo dei servizi pubblici essenziali, che inibirà la sua fruizione proprio a quella parte dei cittadini che ne avrebbe più bisogno. Una legislazione che colpisce al cuore dunque la nostra Costituzione ed in particolare i principi di eguaglianza, solidarietà e di coesione economico-sociale e territoriale.

Questa legge, attraverso la svendita di proprietà pubbliche, serve al Governo “per far cassa”, o al piu’ per compensare  i Comuni dei tagli di risorse delineati in finanziaria.
È veramente triste pensare che i grandi principi ispiratori della nostra Carta costituzionale, che avevano negli anni posto le basi e legittimato il governo pubblico dell’economia, secondo una logica ed una prospettiva di tutela effettiva dei diritti fondamentali, finiscano mortificati al fine di favorire qualche gruppo industriale straniero ed italiano: una maggioranza trasversale proclama principi liberisti ma introduce al contrario posizioni di rendita privata che saranno poi impossibili da sradicare.
Si riparta dunque dalla legge di iniziativa popolare, dal testo della commissione Rodotà e dal suo preciso obiettivo di governare i beni pubblici e i beni comuni nell’interesse dei diritti fondamentali della persona e soprattutto nel rispetto dei principi costituzionali.


2. Oggetto dei quesiti referendari: ripristinare la gestione pubblica di tutta l’ acqua concepita come bene comune.

Al fine di recidere le basi culturali e tecnico-gestionali della privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, attraverso il decreto Ronchi, si è pensato con la redazione dei seguenti tre quesiti di concentrarsi in questa fase referendaria sul bene comune pubblico per eccellenza: l’acqua.
Una battaglia di più ampie proporzioni che investe beni comuni, beni sociali e beni sovrani ad appartenenza pubblica necessaria va invece portata avanti in parlamento attraverso lo schema di disegno-legge delega per la riforma di quelle parti del codice civile (proprietà pubblica) “mercantili” e disarmoniche rispetto al quadro costituzionale (lavori commissione Rodotà).
Così come parallelamente continua a fare il suo corso il progetto di legge ad iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione dell’acqua che, se approvato, introdurrebbe in Italia, una disciplina omogenea ed efficace su tutto il territorio nazionale e sistematica di settore, sia dal punto di vista dei principi, che delle regole e degli aspetti gestionali.

I quesiti referendari dunque che si vanno a presentare sono tre:

1. Abrogazione dell’art. 23 bis (12 commi) della l. n. 133 del 2008 relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica;
2. abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del d. lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), relativo alla scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato;
3. abrogazione dell’art. 154 del d. lgs n. 152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della remunerazione del capitale investito.


3. Argomentazioni a supporto del quesito referendario n. 1.
In via preliminare, va osservato che la giurisprudenza della Corte costituzionale nei giudizi di ammissibilità è estremamente ondivaga e di difficile interpretazione, utilizzando la stessa parametri elastici e principi eterogenei per giudicare di volta in volta i quesiti referendari.
Detto ciò, in merito al quesito n. 1, va rilevato che trattasi di una norma collocata all’interno di un provvedimento relativo allo sviluppo economico, alla semplificazione, alla competitività, alla stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. Dunque, si è in presenza di una norma che da un punto di vista formale non presenterebbe limiti espliciti ed impliciti di ammissibilità referendaria. Tuttavia, l’ambiguo, strumentale e pretestuoso incipit dell’art. 23 bis così recita: “..le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in applicazione della disciplina comunitaria”.

Pertanto, tale disposizione, pur nella sua genericità - non sono infatti esplicitate le fonti comunitarie di riferimento che dovrebbe “applicare” - si “auto-proclamerebbe” norme di attuazione di obblighi comunitari. Come è noto, vi è un orientamento della Corte che tende a ritenere inammissibili i quesiti se violativi di obblighi comunitari, se relativi alla controversa figura delle c.d. “leggi comunitariamente necessarie”. In sostanza la Corte costituzionale, partendo dal limite degli obblighi internazionali sancito dall’art. 75 Cost., ha elaborato una giurisprudenza che ad essa riconduce il limite delle “leggi comunitariamente necessarie”.
Con le sentenze nn. 31, 41 e 45 del 2000 la Consulta non ha ritenuto ammissibile il referendum su quelle leggi che sono indispensabili affinché lo Stato italiano non risulti inadempiente rispetto agli obblighi comunitari, dal momento che l’eliminazione di tali norme è possibile solo con la contemporanea introduzione di disposizioni conformi al diritto dell’Unione Europea.

Queste precisazioni inducono alla dovuta prudenza, anche se da un punto di vista formale potrebbero essere superate evidenziando la natura diversa, non comunitaria, del provvedimento nel quale è inserita la disposizione, e da un punto di vista  sostanziale si potrebbe sostenere che la norma in oggetto, al di là del generico richiamo alla disciplina comunitaria, non è direttamente attuativa di obblighi comunitari, e dunque  non dovrebbe essere interpretata dalla Corte come “norma comunitariamente necessaria”.
Il regime concorrenziale ed il ricorso alle regole competitive del mercato, volute dal diritto comunitario, infatti sono già presenti nei modelli espressi dalla normativa vigente, tanto è che, al di là delle alchimie dell’ in house e del relativo controllo analogo,  non pongono lo Stato italiano in posizione inadempiente nei confronti del diritto comunitario.

Se è vera, come è vera, la pretestuosità del richiamo al diritto comunitario, il testo oggetto del quesito referendario, nell’ambito dell’attuale assetto normativo, esprime una scelta politica, rafforzando due dei tre vigenti modelli: il regime privatistico tout court ed il regime misto (pubblico-privato). Invece, il modello dell’affidamento diretto in house viene posto come deroga ed eccezione. Si tratta di una scelta politica che più che incidere sul regime della concorrenza incide sugli assetti proprietari (pacchetti azionari e infrastrutture), ponendosi in contrasto con il principio comunitario della neutralità rispetto agli assetti proprietari.
Pertanto, l’abrogazione di tale norma non dovrebbe  porre lo Stato italiano in una posizione di inadempienza rispetto agli obblighi comunitari, la norma in oggetto non andrebbe intesa quale “legge comunitariamente necessaria” ed il quesito referendario dovrebbe essere tendenzialmente ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale.

Oltre alla problematica legata alle c.d.” leggi comunitariamente necessarie” va evidenziato che il referendum sull’art. art. 23 bis “aggredisce” una norma che ha per oggetto tutti servizi pubblici locali di rilevanza economica, dunque oltre all’acqua molto altro. La Corte dunque in sede di ammissibilità potrebbe sollevare obiezioni circa la congruità del fine perseguito rispetto al quesito proposto che appunto inciderebbe su tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica. La Corte potrebbe dichiarare che la richiesta referendaria non sarebbe idonea a conseguire lo scopo dichiarato andando ultra petita.
Anche queste possibili osservazioni, che potrebbero provenire dalla Corte, se da una parte ci inducono a procedere con la giusta prudenza e consapevolezza di un percorso incerto, dall’altra potrebbero essere superate, laddove  ben evidenziata la coerenza e l’omogeneità del quesito in sé, ancor più se letto in collegamento sistematico con gli altri due quesiti. Infatti, i quesiti contengono, come espressamente voluto dalla Corte, una matrice razionalmente unitaria, dal carattere dell’omogeneità, che permetterebbe all’elettore il voto consapevole su una domanda strutturata in maniera inequivocabile . L’obiettivo, nella sua unitarietà ed omogeneità, si propone in maniera netta di ripubblicizzare il servizio idrico integrato, ponendolo al di fuori delle regole del mercato ed affidando ad un soggetto “realmente” pubblico la gestione. Il quesito, come vuole la Corte, incorpora “ l’evidenza del fine intrinseco all’atto abrogativo”, esprime una netta e chiara alternativa al modello di cui all’art. 23 bis, che dovrebbe contribuire al giudizio di ammissibilità . Per completezza, va anche detto che la varietà di qualificazioni che la giurisprudenza della Corte tende a  conferire al criterio dell’omogeneità del quesito ha spinto parte della dottrina (Cariola) ad intravedere in tale categoria diversi segni di affinità con il giudizio sulla ragionevolezza delle leggi.

Ma la preoccupazione dei giudici costituzionali risiede oltre che nella valutazione in sé della struttura formale del quesito, finalizzata a consentire la consapevole manifestazione del voto popolare, anche nel tipo di effetti che potrebbero scaturire sulla normativa risultante dall’abrogazione a mezzo di referendum (Pizzolato-Satta). La Corte s’impone di verificare che l’abrogazione popolare lasci indenne “una coerente normativa residua immediatamente applicabile” . Tale impostazione non va erroneamente intesa come una forma per legittimare referendum propositivi, ottenute dalla manipolazione del testo legislativo. Sul punto, è la Corte stessa che rigetta la categoria dei referendum propositivi quale risultanza della manipolazione normativo-abrogativa, affermando che sarebbe la legge stessa o singole disposizioni di essa a contenere una capacità operativa . In sostanza, da parte della Corte vi sarebbe una netta accettazione dei referendum manipolativi, non intendendoli quali referendum dal carattere propositivo.

Comunque, nel caso di specie, l’abrogazione totale dell’art. 23 bis, non soltanto è al di fuori dalle ipotesi del referendum manipolativo, ma altresì  non genererebbe un vuoto normativo, infatti la gestione del servizio idrico potrebbe essere affidata, anche nel caso di abrogazione referendaria dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, in conformità a quanto previsto dal vigente ’art. 114 TUEL del 2000,  ovvero in affidamento diretto all’azienda speciale, eventualmente anche organizzata in forma consortile.
Tali aziende, gestendo servizi privi di rilevanza economica, estranei alla logica tariffaria della prestazione e della controprestazione (principio del corrispettivo), quanto meno per quanto attiene all’erogazione del minimo vitale, così come determinato dall’Organizzazione mondiale della sanità, non sarebbero sottoposte all’obbligo di cui al comma 8 dell’art. 35 della legge finanziaria 448 del 2001, ovvero all’obbligo di trasformarsi in s.p.a. Si introdurrebbe, in attesa dell’approvazione della legge di iniziativa popolare, tale da sistematizzare gli aspetti organizzativi e funzionali,  un modello di gestione “realmente” pubblico.

Detto questo, va evidenziato che la sola abrogazione dell’art. 23 bis determinerebbe di fatto la reviviscenza dei modelli di gestione di cui all’art. 113 del testo unico degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267 del 2000. Quindi non si reintrodurrebbe una vera ripubblicizzazione del servizio idrico integrato e i soggetti aggiudicatari sarebbero ancora liberi di scegliere tra modello privato, modello misto (cfr. sentenze Corte di giustizia nelle cause C-29/04, C-410/04) e modello in house.
Ma, in particolare, ciò che svilirebbe l’esito referendario, laddove incentrato soltanto sull’art. 23 bis è che tale abrogazione lascerebbe del tutto inalterate le gestione miste, private e in house affidate e tuttora operanti, sulla base dell’art. 113 TUEL, sul territorio nazionale. Proprio quelle gestioni che hanno generato un peggioramento del servizio, un aumento delle tariffe ed una netta riduzione degli investimenti di natura infrastrutturale.

Si riproporrebbe la problematica inerente agli affidamenti in house, più volte evidenziata dalla  Corte di Giustizia (sentenze della Corte di giustizia nelle cause C-26/03 , C-84/03, C-29/04 , C-231/03, C- 340/04 , C-573/07 ) e dal Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Pl. 3 marzo 2008 n. 1; parere Sez. II n. 456/2007; Cons. St., sezione V, decisione 9 marzo 2009, n. 1365 ; Cons. St. Sez. V decisione 28 novembre 2007 – 23 gennaio 2008, n. 136 ; Cons. St. Sez. V sentenza 23 ottobre 2007, n. 5587 ; Cons. St. Sez. V decisione 18 settembre 2007, n. 4862 ; Cons. St. Sez. VI sentenza 1 giugno 2007, n. 2932 ; Cons. St. Sez. VI sentenza 3 aprile 2007, n. 1514 ; Cons. St. Sez. VI, n. 1514 del 3 marzo 2007 ) e l’obiettiva difficoltà da parte dell’ente locale ad esercitare sulla società pubblica quel controllo analogo, così come formulato e richiesto dalla giurisprudenza comunitaria (sentenze della Corte di giustizia nelle cause C-26/03, C-458/03 ).
Rimarrebbe inalterato, in tutta la sua drammatica intensità, il problema della gestione diretta attraverso società pubbliche che fisiologicamente esprimono forme giuridiche inidonee, per la fonte normativa che le regolamenta (diritto societario), a svolgere realmente una funzione sociale e di preminente ed assoluto interesse generale. Infatti, alcuna norma, ancor meno di livello statutario, può garantire che una volta affidato il servizio, tali società non tendano anche attraverso gli artifizi delle scatole cinesi, alla diversificazione delle funzioni (fenomeno delle multiutilties) e alla delocalizzazione dell’attività con buona pace dei livelli occupazionali  (sentenze della Corte di giustizia nelle cause C-26/03, C-458/03).

In estrema sintesi, presentarsi dinanzi al corpo elettorale, attraverso il referendum abrogativo, per chiedere la ripubblicizzazione dell’acqua, senza chiedere l’abrogazione dei modelli di gestione privatistica, sarebbe una truffa nei confronti dei cittadini. Quindi l’abrogazione dell’art. 23 bis,  in merito alla gestione delle risorse idriche, avrebbe quale unico obiettivo di riequilibrare il rapporto tra i tre modelli di gestione, lasciando inalterato il processo di privatizzazione in corso. La presentazione del solo quesito referendario relativo all’art. 23 bis, risulterebbe dunque necessaria, ma non sufficiente a ripristinare in Italia il governo pubblico dell’acqua, non vi sarebbe un’assoluta congruità del mezzo al fine, tra l’intento chiaramente percepibile dalla formulazione del quesito e l’idoneità dell’abrogazione referendaria alla sua realizzazione .

4. Argomentazioni a supporto del quesito referendario n. 2
Il ragionamento di cui al paragrafo 3, ci ha indotto a non fermarci appunto all’art. 23 bis ma a presentare altresì il quesito referendario  per abrogare anche  l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006. Articolo (seppur norma di carattere speciale) al momento abrogato implicitamente dall’art. 23 bis, ma che rivivrebbe dal momento della sola abrogazione dell’art. 23 bis.
Tale articolo, ai commi 1, 2 e 3 richiama espressamente l’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000,  rinviando a tale norma per i modelli di gestione. In sostanza, l’abrogazione di tale disposizione, limitatamente al servizio idrico integrato, non consentirebbe più il ricorso ai suddetti tre modelli di gestione. È evidente che per i servizi pubblici locali, diversi da quello idrico, tali modelli continuerebbero ad essere vigenti.

Come si è anticipato, in questo scenario abrogativo rimane ovviamente vigente l’art. 114 del d.lgs n. 267 del 2000 relativo all’azienda speciale. Ciò significa che, limitatamente al servizio idrico integrato, gli enti aggiudicatari potranno legittimamente affidare il servizio ad un’azienda speciale, estranea agli obblighi di cui all’art. 35 della l. n. 448 del 2001, ciò in assoluta coerenza con il vero spirito pubblicistico contenuto nel progetto di legge ad iniziativa popolare e in assoluta armonia con lo spirito di fondo del progetto formulato dalla Commissione Rodotà.
A seguito dell’abrogazione di tale disposizione, la gestione del servizio idrico, in attesa dell’approvazione della legge-quadro nazionale ad iniziativa popolare,  potrebbe dunque essere affidata ad un ente sostanzialmente e formalmente pubblico, scongiurando ipotesi di vuoti normativi.

Il servizio diverra’ cosi’ strutturalmente e funzionalmente  “privo di rilevanza economica” - la cui qualificazione, anche alla luce del protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona può essere determinata dai livelli di governo più vicino ai cittadini - sarà  nuovamente di interesse generale  e il diritto all’acqua, quanto meno per i cinquanta litri giornalieri (igiene, salute, alimentazione), sarà assolutamente estraneo a logiche tariffarie, ponendo  i relativi costi a carico della fiscalità generale.
In questo modo il diritto all’acqua riacquisterebbe a pieno titolo il suo status di diritto umano e diritto fondamentale dei cittadini, assolutamente, nella sua quantità vitale, non subordinabile  a qualsiasi logica mercantile ed economica di profitto, da gestirsi anche “nell’ interesse delle generazioni future” secondo la definizione del progetto Rodota’.

5. Argomentazioni a supporto del quesito referendario n. 3
Si ritiene poi che il terzo quesito sia necessario per incidere e quindi abrogare la logica del profitto contenuta in una parte del comma 1 dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006. In particolare, s’intende abrogare quella parte che afferma che “la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico ed è determinata tenendo conto…..dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Si tratta di un’abrogazione parziale, ovvero soltanto di alcune parti del complesso normativo, ma il quesito possiede una sua integrità semantica che dovrebbe difenderlo dinanzi ad eventuali obiezioni della Corte che lo tendessero a qualificare come referendum manipolativo. Tra l’altro, come si è detto, la stessa Corte, rigettando la tesi del ritaglio e della manipolazione come strumenti di mistificazione tesi ad affermare forme di referendum propositivo,  ha affermato che sarebbe la legge  o singole disposizioni di essa  a contenere intrinsecamente una propria capacità operativa, in grado di resistere ad eventuali ablazioni relative a formule grammaticali o linguistiche, dalle quali scaturirebbe una nuova disciplina già presente in potenza nell’originaria versione . In linea dunque con la Corte scaturisce una nuova disciplina, che tende a rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua, ancora una volta dunque un tassello che va inquadrato nel complesso sistematico dei quesiti referendari.

In sostanza per rafforzare il modello pubblicistico estraneo alle logiche mercantili occorre abrogare tale inciso in quanto allo stato consente al gestore di fare profitti sulla tariffa e quindi sulla bolletta. In particolare con tale norma il gestore, al fine di massimizzare i profitti (remunerazione del capitale) carica sulla bolletta dell’acqua un 7%. Tale percentuale costituisce un margine di profitto, assolutamente scollegato da qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. La sola logica accettabile per l’ acqua come bene comune e’ viceversa quella del “no profit”.
I cittadini dunque con la vigenza di tale norme sono doppiamente vessati, in quanto da una parte il bene acqua è commercializzato e inteso alla stregua di qualsiasi altre bene economico e dall’altra sono obbligati, per consentire ulteriori proifitti al gestore, di pagare in bolletta  un surplus del 7%.


Attraverso la presentazione di questi tre quesiti, letti ed interpretati secondo un collegamento sistematico, può effettivamente partire una grande battaglia di civiltà e di tutela per i diritti fondamentali, che potrebbe successivamente essere estesa a tutti i beni comuni. Si tratta di iniziare operativamente ad invertire la rotta per ripristinare il governo pubblico dell’acqua al di fuori e contro qualsiasi logica mercantile, di saccheggio e di profitto.

Roma, 5.2.2010       
Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei, Stefano Rodotà

Quesito n° 1:

«Volete voi che sia abrogato il Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” convertito in legge n. 133/2008, come modificato dalla Legge 23 luglio 2009, n. 99 “Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dal decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee” convertito in legge 20 novembre 2009 , n. 166 limitatamente alle seguenti parti:
art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica):

1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche' di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili. Sono fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, in materia di distribuzione di gas naturale le disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e della legge 23 agosto 2004, n. 239, in materia di distribuzione di energia elettrica, le disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, relativamente alla gestione delle farmacie comunali nonché quelle del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto ferroviario regionale. Gli ambiti territoriali minimi di cui al comma 2 del citato articolo 46-bis sono determinati entro il 31 dicembre 2012 dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni, sentite la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, tenendo anche conto delle interconnessioni degli impianti di distribuzione e con riferimento alle specificità territoriali e al numero dei clienti finali. In ogni caso l'ambito non può essere inferiore al territorio comunale.

2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) , le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifi ci compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.

3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.»;

«4 -bis . I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui al comma 4.»

5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

6. E' consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

7. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonche' l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 è il seguente:
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta ‘‘in house’’ cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2 ;
b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011;
c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio;
d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015 .
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante.

9. Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti . »;

10. Il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonche' le competenti Commissioni parlamentari, emana uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:
a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l'osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e l'assunzione di personale;
b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;
c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonche' in materia di acqua;
e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall'ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo; [abrogato]
f) prevedere l'applicazione del principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere;
g) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;
h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;
i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;
l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;
m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.

11. L'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e' abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.

12. Restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto?»

Quesito n. 2
«Volete voi che sia abrogato l’art. 150 del  Decreto Legislativo  n. 152 del 2006 (norme in materia ambientale) :
art. 150 (“Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento”).
1. L'Autorità d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.
3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purche' il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2.
4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, salvo quanto previsto dall'articolo 148, comma 5?»


Quesito referendario n. 3

Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (norme in materia ambientale),  limitatamente alla seguente parte: “…dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.