Stop al consumo del suolo/territorio

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di Domenico Finiguerra, Sindaco di Cassinetta di Lugagnano (Mi).
ImageL'articolo pubblicato nelle scorse settimane sull'idea di costituire un “Movimento dal basso” che poggi le proprie basi di modello sociale alternativo su una sorta di moratoria dei piani di cementificazione delle nostre aree, ha ottenuto una notevole attenzione e ci è parso il caso di domandare al coraggioso Sindaco di Cassinetta di Lugagnano di raccontarci in modo ancora più completo il quadro delle sue azioni.
Questa che vi proponiamo, è la sintesi di un suo intervento ad un recente convegno in quel di Dobbiaco: estremamente utile, crediamo, per ampliare il nostro approccio al delicato argomento ...

IL CONSUMO DI SUOLO, UN FENOMENO GRAVE.

Con questa relazione cercherò di approcciare i temi generali connessi all'argomento proposto nel titolo, legandoli all'urbanizzazione, al bilancio comunale e alla democrazia partendo da un’esperienza particolare. Quella di un piccolo comune della Provincia di Milano, che per la sua collocazione geografica, è un ottimo punto di osservazione e di analisi delle dinamiche urbanistiche e politiche in atto in un’area fortemente antropizzata come la pianura lombarda.

La città di Milano e la sua provincia - la grande metropoli che fu il motore del grande sviluppo economico ed industriale del sistema Italia - da diversi decenni mostra (anche se la classe politica dirigente cerca in tutti i modi di nasconderlo) una profonda crisi di identità.

L’euforia tragicomica con cui si è cercato ed ottenuto Expo 2015 è indicatore di tale smarrimento profondo. La “capitale del nord” non è in grado (da se) di trovare nuove strade, nuovi modelli, nuovi orizzonti, nuovi sogni.

Così, si è affidata all’evento salvifico, concesso dall’esterno. Alla grande kermesse.

All’evento mondiale che tutto farà, tranne che rilanciare Milano ed invertire il suo lento e triste declino. Un declino economico, morale e ambientale.

Ma l’Expo una funzione comunque la svolgerà. Si assisterà ad una grande accelerazione del fenomeno più preoccupante e pericoloso per la provincia di Milano: il consumo del suolo, la speculazione edilizia, le grandi opere inutili e costose.

Ai danni dell’agricoltura, dell’ambiente e del futuro delle comunità. Piani di lottizzazione, capannoni, autostrade e autogrill, grattacieli e case di lusso. Milano sarà di nuovo da “bere”. Poi, finita la “festa”, tutta la provincia si sarà avvicinata ulteriormente all’azzeramento della propria capacità di “darsi da mangiare”.

In alcune aree del milanese si è già abbondantemente superato il limite di urbanizzazione oltre il quale il sistema ecologico non è più in grado di autoriprodursi. Ma, nonostante i dati allarmanti (della stessa provincia di Milano, elaborati e allegati al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), il consumo di suolo non è considerato una pratica pericolosa. Anzi, è proprio chi vi si oppone ad essere visto e stigmatizzato come “nemico del bene”, eversivo.

Quando in una città si sente parlare di nuovi Piani di Governo del Territorio si pensa subito ed esclusivamente all’individuazione di nuove aree da edificare.

La tematica urbanistica, non viene quasi mai approcciata realmente con l’intento di gestire o governare il territorio e le dinamiche che coinvolgono la sua comunità.

L’obiettivo, spesso non dichiarato, è quasi sempre quello di effettuare una mera pianificazione edificatoria. La maggior parte dei comuni pensa di fare Piani di Governo.

In realtà fa solo dei Piani di Fabbricazione, come negli anni ‘60 e ‘70.

La Confederazione Italiana Agricoltori di Milano ha recentemente denunciato il rischio connesso al progressivo depauperamento dell’attività agricola dovuto all’eccessivo consumo di suolo. Attività agricola che è ulteriormente messa in pericolo dal profilarsi all’orizzonte di numerosi grandi opere destinate a compromettere in maniera irreversibile l’ultimo pezzo di territorio che possiede ancora una eccellente vocazione agricola.

Si consideri anche, che già oggi, come ha dimostrato la Coldiretti l’Italia non è autosufficiente quanto a risorse agricole e alimentari.

In Lombardia, alcune novelle legislative aprono a scenari davvero catastrofici. La Legge Obiettivo Regionale sulle infrastrutture (tra l’altro recentemente impugnata “addirittura” dal Governo Berlusconi) presenta aspetti inquietanti: l’art. 10 recita che per tutte le infrastrutture autostradali, ed innanzitutto per le tre grandi opere (Pedemontana, Brebemi e Tangenziali Esterne Milanesi), le concessioni “ possono riguardare anche interventi di carattere insediativo e territoriale, rivolti principalmente agli utenti delle infrastrutture medesime ovvero a servizio delle funzioni e delle attività presenti sul territorio”.

In pratica, il concessionario per ottenere maggiori introiti potrà sfruttare economicamente le aree attigue ed esterne ai tracciati per ammortizzare più facilmente gli investimenti e attraendo capitali privati. Viene in sostanza capovolto per legge un principio importantissimo, non più infrastrutture al servizio di un territorio e delle sue comunità, bensì il territorio al servizio delle infrastrutture.

Il fenomeno del consumo del suolo, quindi, in Provincia di Milano, e non solo, è in continua espansione e con la nuova legge regionale urbanistica (L.R. 12/05) che obbliga i comuni a dotarsi di nuovi strumenti di pianificazione entro il 2009, aumenterà ulteriormente.

Consumo di suolo che talvolta diventa spreco: sono centinaia i capannoni vuoti e le case sfitte. Tutto suolo rubato all’agricoltura, senza nessun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.

Al contrario e paradossalmente, lo spreco di suolo produce effetti benefici sul PIL (un capannone costruito e lasciato vuoto, ha creato comunque “ricchezza”); così come ha anche effetti positivi sul Prodotto Interno Lordo, la spesa che i comuni devono sostenere per presidiare o bonificare aree dimesse e abbandonate ai margini delle autostrade.

Nonostante tutto, una pianificazione urbanistica che mette in discussione questa prassi consolidata, grazie ad un sapiente e scientifico concerto mediatico/politico, è considerata anacronistica e contraria al benessere.

Benessere che ci si ostina a misurare solo con un vecchio indicatore, il PIL appunto, che un autentico democratico come Bob Kennedy, in un celebre discorso di 40 anni fa metteva seriamente in discussione. I democratici di casa nostra, invece, sono troppo abbagliati dal faro dello sviluppo ad ogni costo e, invece di ricercare con coraggio nuove pratiche, preferiscono l’omologazione culturale. Peccato.

Probabilmente per questo motivo, e non per particolari meriti, la decisione di adottare un Piano di Governo del Territorio che non consuma territorio, ribattezzato a “crescita zero” ha suscitato così tanto interesse. Amplificando con eco forse eccessiva una scelta ritenuta semplicemente obbligata e di buon senso. Noi, in fondo, abbiamo solo anticipato una scelta che qualcuno un giorno dovrà fare.

Cassinetta di Lugagnano è un comune di quasi 1800 abitanti, nel Parco Lombardo della Valle del Ticino. Collocato nel mezzo di una mezzaluna fertile. L’area che va da Melegnano a Legnano. Un’area fertile, oggi per l’agricoltura, domani (molto probabilmente) per qualche immobiliarista d’assalto.

Come tutti i comuni della grande metropoli milanese, è sottoposta ad una fortissima pressione immobiliare. Il sud-ovest Milano, con il solo 19% di territorio urbanizzato, è infatti il naturale luogo dove la grande metropoli può sfogare la propria “incontinenza” edilizia, dove realizzare nuovi insediamenti (residenziali e produttivi) e grandi infrastrutture.

Nella Provincia di Milano, che ospita uno dei parchi agricoli più grandi d’Europa (il Parco Agricolo Sud Milano) e una delle sei riserve italiane della Biosfera Unesco (Parco Del Ticino), il mattone “tira” sempre.

Così, nelle aree agricole a sud della Provincia di Milano, spesso si posano gli occhi dei grandi imprenditori immobiliari e degli speculatori. E nelle zone di maggior pregio, l’attenzione è ancora più grande. E’ infatti certamente più attraente un insediamento residenziale nei pressi di una riserva naturale, magari tutelata dall’Unesco, rispetto ad una villetta a schiera nella periferia già urbanizzata di Milano.

Concludendo questa premessa, la situazione è molto preoccupante.

Il territorio è considerato una fonte inesauribile. La sua tutela e salvaguardia è posta in secondo piano rispetto ad altre priorità: lo sviluppo, la crescita, la finanza.

Il Comune, l’attore che dovrebbe ricoprire un ruolo strategico nella partita urbanistica, non è in grado (perché non vuole, perché non può o perché gli viene impedito, forse scientificamente) di esercitare uno dei compiti affidatigli dalla legge. Il Testo Unico degli Enti Locali dice chiaramente che spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano l’assetto e l’utilizzo del territorio.

In realtà, per molti motivi, primo tra tutti le difficoltà economiche dei comuni, ma non di meno la comodità rassicurante di seguire l’onda della crescita e dello sviluppo senza misura, i Comuni e i loro sindaci hanno abdicato al ruolo di gestori del territorio, lasciandolo ai privati.

Non sempre per cattiva volontà. Spesso solo per pigrizia, impreparazione o scarsa conoscenza. Così, si assiste ormai da almeno due decenni a politiche urbanistiche pensate e orientate non dal Comune, nell’interesse generale della collettività, bensì dai grandi operatori immobiliari, che perseguono, evidentemente, interessi diversi (anche se voglio far notare come la nostra Costituzione dica all’art. Art. 41. che “L'iniziativa economica privata è libera”, ma “Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”).



IL TERRITORIO, RISORSA PER IL FINANZIAMENTO DEL BILANCIO E DEL CONSENSO. UN CIRCOLO VIZIOSO E L’ALTERNATIVA DELLA CRESCITA ZERO.

Oggi i comuni versano in condizioni economiche precarie. Entrate in diminuzione e uscite in aumento, bilanci in forte squilibrio. Per un Sindaco e la sua giunta, è sempre più difficile far quadrare i conti. Soprattutto realizzare quelle opere pubbliche e garantire quei servizi innovativi che spesso sono ritenuti indispensabili a costruire e consolidare il consenso degli elettori.

E se l’attività amministrativa è ispirata da manie di grandezza (molti amministratori vogliono e promettono oltre misura: palazzetti, piscine, centri civici, rotonde inutili, eventi e appuntamenti autoreferenziali), diventa ancora più difficile trovare le risorse necessarie.

Quindi come riuscire a chiudere il bilancio in pareggio, realizzare opere pubbliche (necessarie o meno) e organizzare eventi culturali e servizi alla persona (necessari o meno)? Come finanziarie il bilancio comunale in perenne squilibrio e come costruire o consolidare il proprio consenso?

Grazie al combinato disposto di due fattori:

1) la legge, che consente di applicare alla parte corrente dei bilanci gli oneri di urbanizzazione e

2) la disponibilità di territorio in una area geografica dove l’edilizia rappresenta sempre un valido investimento, i comuni della Provincia di Milano (ma non solo loro) praticano la monetizzazione del territorio.

Un circolo vizioso che, se non interrotto, porterà al collasso intere zone/regioni urbane. Un meccanismo deleterio, che permette di finanziare i servizi ai cittadini con l’edilizia, che produce nuovi residenti e nuove attività e quindi nuove domande di servizi, e così via, con effetti devastanti. Dando vita a quella che si può definire “città continua”.

Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio, senza anima. Una conurbazione che è ormai completa a Nord di Milano, sull’asse del Sempione, per buona parte della prima cintura milanese.

Una città continua che le nuove infrastrutture, pensate per segnare il nuovo confine della grande Milano (secondo anello di tangenziali esterne) allargheranno ulteriormente.


Ma chi amministra un comune può fare scelte diverse, può decidere di seguire una strada alternativa ?

Si, quella che risiede in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta crescita zero, se non addirittura alla decrescita (restituendo all’agricoltura e alla produzione locale, territorio oggi cementificato).

Una scelta virtuosa: perché reca beneficio al territorio; perché mette in moto sobrietà e austerità, virtù amministrative che, dati i tempi e le prospettive tracciate anche in questo convegno, è urgente reintrodurre nella pratica politica quotidiana.

Una via comunque irta di ostacoli, che comporta tagli al bilancio e conseguenti difficoltà a mantenere il consenso (che è comunque necessario, se non si vuole vanificare la scelta stessa).

Una scelta che genera anche dubbi, diffidenze e avversità. Spesso alimentate ad arte dai paladini del PIL. Una scelta che comunque ed in definitiva, amministrando e osservando le dinamiche in atto nella provincia di Milano, noi abbiamo ritenuto obbligata.

Per almeno 5 motivi:

perchè interrompe il suddetto circolo vizioso della monetizzazione del territorio;

perché se non si cambia strategia nella politica urbanistica, in meno di 100 anni, quasi tutte le zone della provincia di Milano, saranno completamente urbanizzate e conurbate;

perché occorre evitare, laddove ancora non è avvenuto, il superamento del limite di territorio urbanizzato oltre il quale il sistema ecologico non è più in grado di autoriprodursi;

per senso di responsabilità verso le future generazioni;

per istillare il germe del dubbio negli altri amministratori e cercaredi tracciare e rendere evidente una via alternativa.



L’ESPERIENZA DI CASSINETTA DI LUGAGNANO. URBANISTICA E DEMOCRAZIA. LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI.

La decisione di adottare la “crescita zero” quale faro della politica urbanistica, anche se ampiamente prevista dal programma, è stata confermata anche attraverso assemblee pubbliche aperte a tutta la cittadinanza e in appuntamenti di confronto con tutte le categorie, sociali ed economiche.

Nell’ambito del procedimento partecipato di elaborazione del PGT, il nodo principale che si è chiesto alla cittadinanza di sciogliere è stato sostanzialmente il seguente:

per finanziarie le opere e i servizi necessari alla comunità, la comunità stessa preferisce:

  1. ricorrere al finanziamento con nuove lottizzazioni e praticando la monetizzazione del territorio,

  2. oppure ricorrere al finanziamento per mezzo di mutui con conseguente ricaduta sulla fiscalità locale?

Il dibattito non ha prodotto nessuna levata di scudi in nome del motto “giù le tasse”, anzi, le considerazioni più ricorrenti sono state: “vogliamo mantenere integro il territorio”, oppure “siamo scappati dall’hinterland milanese e abbiamo scelto Cassinetta di Lugagnano per le sue qualità ambientali e paesaggistiche”.

L’esperienza di coinvolgere i cittadini, e soprattutto i bambini, nella scelta è stata fondamentale e strategica. Spesso i politici e gli amministratori, dopo essere eletti si chiudono nelle loro stanze. Forse per paura di rimettersi in discussione. Sottovalutando i cittadini. Al contrario, i cittadini possono essere di gran conforto nelle decisioni importanti e sanno rafforzare la determinazione e la forza nel portare avanti le scelte compiute.


URBANISTICA E BILANCIO COMUNALE

Non avere più la disponibilità di uno stock importante di Euro derivante dagli oneri di urbanizzazione, ha reso e rende tuttora arduo sia realizzare le opere e gli investimenti necessari alla comunità, sia il mantenimento di standard qualitativi e quantitativi nei servizi alla persona.

Il lavoro più importante non è stato quello di definire il Piano di Governo del Territorio. Quest’ultimo, al contrario, è stato forse il passaggio più semplice dal punto di vista amministrativo. La difficoltà maggiore è stata invece far quadrare il bilancio e si è riusciti ad adottare un PGT che risparmia suolo solo perché, in anticipo e poi parallelamente, è stata condotta una rigorosa politica di “emancipazione” del bilancio stesso dagli oneri di urbanizzazione.

Considerato che le spese per servizi sociali, educativi e culturali sono comunque aumentate, si è dovuto ridurre o almeno non aumentare le spese in altri settori dell’amministrazione, considerati non indispensabili, e soprattutto ricercare altre e innovative fonti di finanziamento. Per quello che può valere, io e miei assessori non abbiamo nessuno staff, ne addetto stampa, scriviamo insieme agli uffici gli informatori comunali, ci muoviamo con i nostri mezzi, in treno o in bici. L’auto blu del comune è una Panda Verde. Niente di straordinario, ma non è questa la prassi in giro per la Provincia di Milano.

Sul lato degli investimenti si è proceduto ad un’intensa e faticosa ricerca di contributi (provinciali, regionali e statali) a fondo perduto. Solo la scuola materna, ritenuta indispensabile, è stata costruita accendendo un mutuo, pagato aumentando di un punto l’ICI sulle seconde case, sui capannoni e sulle attività produttive.

Sicuramente, grazie alla politica di rigore finanziario, se non si fosse optato per la crescita zero, sarebbe stato possibile ridurre, e di molto, la pressione fiscale sui cittadini e sulle imprese. Invece l’ICI sulla prima casa è rimasta ferma al 6 ‰, l’addizionale irpef al 2%, mentre l’ICI su seconde case e altri fabbricati aumentata al 7 ‰. Il tutto senza nessun isterismo collettivo dovuto al contagio del virus “notax”.

Quasi tutte le attività culturali sono state a carico di sponsor o altri enti pubblici e privati. Per cercare di pareggiare il bilancio abbiamo praticato anche la “finanza creativa”. Cercando di cogliere tutte le opportunità, anche quelle più strane.

Ad esempio, notata una forte domanda per i matrimoni civili a Cassinetta, proveniente soprattutto da Milano, sindaco e assessori sono a disposizione (anche in orari strani, come a mezzanotte, ma a pagamento maggiorato) per celebrare matrimoni nelle ville settecentesche di Cassinetta.


LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL PGT

Il PGT, dimostrato che utilizzando le case vuote e i volumi esistenti, si riuscirebbe comunque a soddisfare una buona domanda di abitazioni (dimostrazione che è soprattutto una risposta a una delle obiezioni mosse, cioè quella di non pensare alle giovani coppie, che altrimenti avrebbero dovuto lasciare Cassinetta di Lugagnano) punta tutto su:

piani di recupero

programmazione di piste ciclabili

valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico

tutela del verde e istituzione di corridoi ecologici

incentivi al recupero di tutti i volumi già esistenti (dal garage al sottotetto, al sottoscala - naturalmente nel rispetto di standard igienici e sanitari)

fiore all’occhiello: il Piano del Colore, che è in realtà un’enorme e dettagliato Piano di valorizzazione del centro storico.


Il Piano di Governo del Territorio di Cassinetta di Lugagnano in definitiva non è uno strumento per individuare nuove aree edificabili, ma per:

puntare alla valorizzazione dei beni comuni, l’ambiente e il paesaggio;

incentivare i privati a recuperare la bellezza del loro patrimonio;

favorire l’agricoltura;

indicare una politica urbanistica diversa, possibile e praticabile.

LA POLITICA

L’opzione stop al consumo di suolo è possibile, ma per realizzarle sono necessarie anche alcune condizioni politiche:

1. solidità della maggioranza di governo, senza possibilità di ripensamenti e senza ambiguità dei programmi: le giunte cadono sull’urbanistica e mai sui servizi sociali (programmi inequivocabili proprio sui temi di politica urbanistica e territoriale);

2. impermeabilità della maggioranza alle pressioni esterne che a volte pongono l’amministratore di fronte a offerte che possono essere difficili da rifiutare: “se mi fai realizzare questo intervento edilizio, ti sistemi il bilancio, fai tante opere pubbliche utili senza sforzo, vieni rieletto facilmente, fai carriera “;

3. condivisione della scelta da parte della comunità e investire nella continua partecipazione della stessa (i bambini, le associazioni, i gruppi informali, i singoli cittadini) ai processi decisionali.


ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Se il territorio e il suolo sono una risorsa finita ed un bene comune da preservare e tutelare, servono leggi che si pongano questo obiettivo. Avanzo alcune proposte forse provocatorie, che si aggiungono a quelle già avanzate negli ultimi anni da illustri urbanisti:

prevedere il de-federalismo degli oneri: questi potrebbero essere incassati dallo stato e girati ai comuni che praticano una politica di risparmio del territorio;

tagliare i trasferimenti statali ai comuni chi incassano alte cifre di oneri di urbanizzazione e premiare i comuni che praticano una politica di risparmio del territorio;

eliminare la possibilità di applicare gli oneri di urbanizzazione alla parte corrente dei bilanci comunali;

in Italia vi sono centinaia se non migliaia di capannoni vuoti. Invece di costruirne sempre di nuovi, sarebbe meglio organizzare un incrocio tra domanda di aree industriali e offerta di aree dimesse (superando l’idea che ogni comune debba avere la sua zona industriale, spesso a ridosso del comune limitrofo);

ancora più disincentivante allo spreco di suolo sarebbe una norma che preveda l’esproprio non oneroso delle case e dei capannoni rimasti vuoti dopo un certo periodo di tempo. L’esproprio potrebbe essere praticato anche nei confronti delle aziende che chiudono l’attività, lasciando sul territorio macerie, sia materiali che sociali.

Se una importante responsabilità nel saccheggio del territorio risiede nella bramosia di rielezione di molti sindaci e nelle manie di grandezza di amministratori locali e non solo, sarebbe forse utile eliminare la possibilità di effettuare un secondo mandato, prevedendo un unico mandato, magari di sette anni. Si può benissimo stare “fermi un giro” o tornare a lavorare. E magari beneficiare, da semplici cittadini, delle ricadute positive dell’ottima amministrazione svolta.

Lo stesso principio potrebbe essere applicato anche ai parlamentari, i quali, sapendo di dover tornare alla vita normale, forse si dedicherebbero con maggior attenzione al bene collettivo… Se lo ritroverebbero migliorato anche per loro.

Il controllo, anche della cittadinanza, potrebbe essere un antidoto alle follie di alcuni sindaci che si stanno dando alla pazza gioia credendosi consoli dell’impero se non addirittura imperatori. Forse sarebbe utile introdurre l’obbligatorietà della consultazione per le grandi decisioni su temi non previsti dai programmi amministrativi con cui si è stati eletti.

E’ necessario che i cittadini e la stampa (molto cagnolino da compagnia e poco mastino da guardia) si riabituino a controllare la classe politica e gli amministratori, stigmatizzandone i comportamenti eccessivi. Verificando anche dopo averli votati il loro modo di amministrare.

Sarebbe utile, infine, una scuola di amministrazione che aiuti i decisori pubblici a fare le scelte giuste per la comunità. A trovare la giusta misura nell’utilizzo delle risorse e dei beni comuni, aumentandone la consapevolezza che questa terra non è infinita e non è nostra, ma dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, e che dobbiamo muoverci con passo leggero.

Vorrei chiudere con una considerazione politica. Negli ultimi mesi ho avuto molte occasioni di partecipare a convegni e dibattiti analoghi a questi colloqui di Dobbiaco. E via via, un dubbio si è trasformato in certezza.

Se io e la mia lista civica non ci fossimo presentati alle elezioni, saremmo rimasti un buon gruppo di pressione esterno, ma nulla di più. Avremmo cercato di spingere l’amministrazione a non consumare troppo territorio, sperando nel buon senso, ma nulla di più.

Se non ci fossimo presentati alle elezioni, non avremmo potuto realizzare la nostra piccola esperienza e oggi non sarei qui a parlarvene.

Cosa voglio dire? Se tutti quelli che si ritrovano ad appuntamenti come questo, dove viene di fatto messo in discussione il modello di sviluppo vigente e dominante, non organizzano la loro irruzione pacifica nella politica, dando sostanza e concretezza a quella che Maurizio Pallante nel suo intervento ha chiamato la terza gamba dello sgabello della decrescita, ossia la politica; se cioè, tutte le realtà, i movimenti, le associazioni, gli studiosi, gli amministratori, che contestano la società della crescita, del consumismo, del saccheggio del territorio e dei beni comuni, e che comunque affondano i propri convincimenti e le proprie azioni nella consapevolezza che il pianeta sta diventando invivibile per l’uomo e non solo, e che bisogna invertire la rotta, se tutte questi soggetti non escono dalle sale per convegni e dai dibattiti accademici, per dedicarsi alla costruzione di una vera alternativa politica, non dedicandosi esclusivamente ad un impegno che in ultima analisi consiste nel tentativo di influenzare le scelte della classe dirigente, e passando all’azione concreta, per compiere direttamente le scelte necessarie, se non si compie questo salto di livello verso la politica attiva, saremo destinati ad osservare impotenti l’affondamento del Titanic.

L’affondamento … perché l’urto con l’iceberg è già avvenuto.

Restando in metafora, dobbiamo avere la forza, prima di strappare dalle mani di chi dice che tutto va bene il microfono e dire ai passeggeri ignari che la nave sta affondando; poi prendere il comando della nave stessa e cominciare a costruire un numero di zattere necessario a salvare tutti.

Perché su questa nave non ci siamo solo noi, ma anche i nostri figli e i figli dei nostri figli.