Territorio & Partecipazione

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di Alessandro Mortarino.
ImageDa diverse settimane le mille iniziative del Movimento nazionale per lo “Stop al Consumo di territorio” hanno iniziato a trasformarmi in una specie di “trottola”: non passa istante che qualche nostro aderente non tenti di mettersi in contatto con la nostra Segreteria nazionale (al momento fisicamente da me diretta) per richiedere una presenza, un aiuto, una concreta forma di intervento sul territorio allo scopo di “materializzare” in loco la forza del nostro messaggio di “stop”. L’esperienza è un po’ faticosa ma assolutamente importante. Con un rischio: ripetersi. Perché in ogni luogo ci viene richiesto una sorta di “ABC”: come è nato il Movimento, per quale motivo, l’esempio dell’esperienza della “crescita zero” di Cassinetta di Lugagnano, il questionario per i candidati Sindaci …

Prima di trasformarci in replicanti, ci è venuta la voglia di “osservarci allo specchio” (quello delle nostre coscienze o del nostro cuore …) e farci una auto-domanda sul tema.
Questa che segue è la nostra “aulica” personale risposta sul perché crediamo che sia giunto il momento della fine di un modello di Società basato sui consumi. E, anche, sul consumo di territorio …


Non ricordo più se ero steso su un materasso, un’amaca, un sacco a pelo o la schiena della mia amante. D’altra parte il dettaglio non è così importante.
Comunque ero steso.
Sentivo l’odore della terra, l’inconfondibile lezzo che l’humus umido imprime nelle nostre narici. Quello che dà fastidio a chi non sa ri-conoscere l’istinto, la traccia di una madre.
Un aroma naturale, certo, inutile da selezionare perché parte integrante del noto. Tanto da apparire superfluo a chi non ha sensi ancora attivi.

Da quella comoda e scomoda posizione lasciavo che le forme ondivaghe della mia mente mi portassero verso lidi non preventivabili, una dimensione “transeunte”, che passa e và.
Dalla terra e dal suo aroma giungevo all’acqua-bisogno, all’aria respirata, al fuoco cioè al calore cioè all’energia.
Un uomo nuovo entrava tra i miei nervi agitati, risaliva le pendici dell’effimero e dell’oblio e si sistemava morbidamente in ogni mia piega. Ero cavernicolo e cibernauta, naufrago dell’oggi e dell’ieri, testimone di un futuro. Prossimo. Remoto. Assente e presente.

Pensieri e domande assumevano posizioni primarie.
Ma cosa è un pensiero senza una domanda ? Mi domandavo … pensando.

La parola “terra” si ripercuoteva a cadenze continue e fulminanti.
“Terra” come “Territorio”, mi rispondevo. Stesse radici solide.
Ma la terra fa il territorio ?
O terra è un puro materiale con cui si costruisce un territorio ?
E il territorio è un composito mix di materiali o l’insieme di beni e valori materiali ed immateriali ?

E ciò che osservo con i miei sempre intorpiditi sensi che cos’è ? Terra pura ?
Certo che no: è territorio.
Non livello di pura estetica ma dimensione sociale, di natura che si evolve in società. Di uomini, fauna, flora, elementi primari, vizi secondari.
Il territorio è la mia vita.
La tua vita.
La nostra vita.
Ci puoi scherzare un po’ su, per un certo periodo. Oppure puoi non pensarci per nulla.
Ma, prima o poi, sarà lì ad osservarti – il territorio e la terra osserveranno te – mentre la tua improvvisa ed improvvida sorpresa calerà come un macigno fino a stritolarti.
Fino a farti dire “ma come ho potuto non pensarci, prima ?” …
E sarai ancora in tempo. Maledettamente in ritardo per essere ancora in tempo, ma in tempo.
Il tempo è parte del territorio. Il territorio è un frammento di tempo.

Chiusi nel nostro mondo di chiusure individuali (questo è mio, questo è mio, questo è mio: il resto non mi riguarda), abbiamo lasciato che rapidi rapaci si impadronissero di ciò che è nostro …
Qualcuno iniziò a costruire case, casette, palazzi. Dicevano: gli umani si moltiplicano, dobbiamo far qualcosa per dar loro un tetto.
Altri iniziarono a costruire capannoni, opifici, fabbrichette. Dicevano: gli umani si moltiplicano, dobbiamo far qualcosa per dar loro un lavoro, un salario, un po’ di monete per pagarsi l’affitto o il mutuo, l’acqua che non sta più nei fiumi, il calore che non sta più nei boschi, il cibo che non ha più terra sana su cui crescere.

Dove eravamo, noi ?
Dov’ero, io ?

Ad un certo punto più nessuno si è preoccupato di contare i bisogni: quante persone e quante abitazioni; quante persone e quanto lavoro e quale lavoro.
Abitudini abitudinarie.
L’importante era costruire, il mattone tira sempre …

Qualcuno, allora, disse qualcosa. Di timido. Di poco nitido. Fu subito deriso e lui ne provò vergogna.
Cosa aveva detto ?
Che da un pezzo di terra chiunque può trarre sostentamento, da un pezzo di cemento solo qualcuno può trarre denaro. Denaro per fare che cosa ?
Altro denaro.
Il problema è che la terra non è di tutti.
Questo è mio, questo è mio, questo è mio …
Cosa resta di nostro ? La Cosa Pubblica.

Pubblica ?

La Cosa Nostra, rispose istantaneamente qualcuno che aggiunse: la dobbiamo amministrare.

Tutti d’accordo. Pubblica o Nostra, resta pur sempre Res, cioè “Cosa”.
Ad amministrare ci vogliono degli Amministratori, gente di regole e di visioni ampie. Professionisti. Non gente comune.
In un Comune ci vuole gente non comune.

Insomma, vuoi un po’ le abitudini e vuoi le regole-norme-leggi e quei linguaggi così sofisticati e rigidi e facilmente interpretabili in mille modi antitetici … ecco che la più semplice delle considerazioni finisce per essere inghiottita nel profondo dei silenzi: quante abitazioni vuote ci sono nel nostro Comune ? Quanti capannoni non utilizzati giacciono a punteggiare piane e colli del nostro aggredito e compromesso territorio ?
Nessuna domanda. Neppure la più semplice.

Perché se tu lasci la tua distorta visuale e le tue certezze e provi a pensarci, arrivi dritto al cuore della domanda: cosa ce ne facciamo noi di tutte queste case ? Perché tolleriamo che esistano più case che famiglie e che molte-troppe famiglie vivano, per giunta, senza una casa ?
I conti, infatti, non tornano.
Ma se nessuno (tanto meno quegli uomini di regole e di visioni ampie) mette assieme gli addendi, a chi mai potrà venire la suggestione di azzardare un calcolo ?
E se nessuno sa quante abitazioni sfitte e quanti capannoni abbandonati risiedono sul nostro territorio comunale, come è possibile che esista un piano regolatore in vigore che determini quanto suolo e quale suolo dovrà essere destinato a nuove edificazioni ? Qual è il calcolo sottile che tratteggia logiche da cui trascendono fatti e manufatti ?
Viene da pensare che le grandi pianificazioni non abbiano misure, siano basate sul nulla, sulla pura percezione tattile di qualche singolo individuo.
Di un Capo. Potere. Sindaco. Presidente. Amministratore.

Insomma la terra è ora ricchezza, ma non per tutti.
Che va amministrata, ma non da tutti e non per tutti.

Ma allora non è terra.

E’ cemento.
E’ freddo materiale per freddi muscoli cardiaci.

La terra è un’altra cosa.

E’ calore, è vita che si riproduce, è segno di un cammino sempre in essere.

E allora dobbiamo riprendercela.
Questa terra.
Un pezzo di cemento impiega migliaia di anni per tornare suolo fertile. E il tuo piano regolatore non può più tornare indietro su ciò che è già stato costruito.

Dovevo mettermi steso per riuscire a fare questo pensiero …

Per decidermi a dire: stop al consumo di territorio.