L'addio di Fidel Castro visto da Asti

Stampa
di Umberto Ughini, Associazione di Amicizia Italia-Cuba, Circolo di Asti.
ImageEssere informati sugli avvenimenti internazionali, al giorno d’oggi non è sempre facile. I quotidiani pubblicati in Italia dedicano a questo tipo di informazione due, qualche volta tre pagine. Per cui, per essere aggiornati su quello che succede oltre ai nostri confini, occorre una ricerca personale ed alternativa a quanto offrono i grandi organi di informazione. La decisione di Fidel Castro di non accettare la carica di Presidente, avrebbe dovuto essere una notizia “storica” per quello che riguarda le vicende cubane e i possibili sviluppi dell’isola caraibica. In effetti, la maggior parte dei quotidiani nazionali ha posto la notizia in prima pagina con tanto di foto a colori; ma … questo è successo solo il 19 febbraio, il giorno successivo all’annuncio della rinuncia, e il 25 dello stesso mese, all’indomani della nomina di Raul quale suo successore.

Per il resto, le cronache sono tornate a parlare in abbondanza del processo per i fatti di Erba, dei pruriti di  Sarkozy o delle bravate di Maurizio Corona: tutte notizie “siringateci” appositamente per oscurare quelle a cui le persone normali dovrebbero prestare più attenzione ...

Chi, invece, segue con un minimo di attenzione le vicende cubane, non sarà  rimasto tropo sorpreso dalla notizia del “ritiro” di Fidel.
Castro è un presidente molto coerente con i suoi impegni e ben sa che la sua malattia e la conseguente impossibilità a viaggiare e ad incontrare persone lo avrebbero limitato nel suo ruolo di “comandante in capo”.
Sicuramente, l’impatto della sua uscita dalle scene sarebbe stato molto differente se avesse dovuto lasciarci per ragioni naturali, magari nel corso dell’intervento al quale è stato sottoposto due anni fa.
Il destino ha, però, voluto che potesse sfruttare una lunga convalescenza di una ventina di mesi che gli hanno permesso di preparare la sua uscita di scena senza troppi scossoni, come avrebbero invece senz’altro desiderato i suoi avversari residenti in Florida.

L’avvicendamento, che a Cuba nessuno ha mai definito transizione, è stato preparato con la collaborazione non solo di Raul, ma anche dei più stretti collaboratori e dalle figure chiave della politica cubana.
Ma ora che Fidel non occupa più il ruolo di capo assoluto della rivoluzione cubana, che cosa cambia nell’isola e quale destino attende gli oltre undici milioni di cubani?
Anzitutto bisogna domandarsi quali potranno essere i cambiamenti: quali sono realmente necessari a migliorare la situazione cubana e quali (pur richiesti a gran voce dall’esterno) non hanno ragione di essere invocati.
I cambiamenti ci saranno, senz’altro; è inevitabile perché tutto cambia.
Ma saranno cambiamenti lenti e graduali, a meno che non intervenga qualche altro fattore esterno all’isola.
E diciamo questo perché noi sappiamo che la figura e l’operato di Fidel godono, a Cuba, di un consenso diverso  da quello che si tende a far passare in Italia. E Cuba, nel suo complesso, non è considerata in America Latina esattamente come viene considerata in Europa.

L’occidente, molto spesso,  ha sempre trattato Cuba come un nucleo di comunisti ortodossi con cui era inutile parlare. Eppure, secondo noi, questa repubblica rivoluzionaria, quest'isola che per tanto tempo ha vissuto separata dal resto del mondo non è proprio quella che emerge dall’immagine  travisata dall’informazione comune.
I problemi a Cuba ci sono, eccome se ci sono. Non possiamo dimenticare e nascondere  che l’isola non corrisponde ancora alle grandi aspettative apertesi il 1° gennaio 1959. Sappiamo delle grandiose conquiste, ma non chiudiamo gli occhi sulle cadute, sugli arretramenti, sugli obiettivi mancati. Non ignoriamo i fenomeni di appesantimento burocratico, di micro-corruzione diffusa, i cattivi costumi introdotti dal turismo e altri problemi ancora, tutti fenomeni sui quali Fidel si è espresso ripetutamente e con vigore, lanciando campagne di correzione e di bonifica.

Ma sappiamo benissimo che Cuba sconta, anche, un embargo criminale e genocida, che non ha ancora offuscato la realtà di un modello di paese e di società che ha ispirato milioni di uomini in America Latina e nel mondo.
Ci sarà un motivo se Fidel è rimasto al suo posto per quasi cinquant’anni ? Che cosa ha portato a Cuba la rivoluzione che ha cacciato Batista ?
Possiamo dimenticare  la chiusura delle case da gioco e di tolleranza, la lotta senza quartiere al traffico di droga dei primi anni ? 
Le prime riforme agrarie che distribuivano le terre a chi le coltivava ? La  diminuzione dei canoni d’affitto del 30-50% con progressiva trasformazione degli inquilini in proprietari, la riduzione del prezzo di medicinali, dei libri scolastici, delle tariffe elettriche e  telefoniche ?

In questi cinquant'anni, Cuba ha saputo costruire uno sviluppo e una direzione diversa da quella capitalistica praticamente in ogni campo: di necessità si fa virtù e, a questa, i cubani hanno aggiunto una notevole dose di coraggio e di esperienza. Hanno sopperito alle ristrettezze imposte dal blocco economico americano con una politica di valorizzazione delle energie: così hanno espanso, ad esempio, l'utilizzo dei pannelli solari per produrre l'elettricità. Hanno incentivato la ricerca scientifica, tanto da divenire un modello nel campo della medicina per moltissimi stati che si vantano di avere una salda economia capitalista. Hanno fatto tutto questo investendo sull'istruzione: Cuba va fiera, e a ragione, di aver praticamente sconfitto l'analfabetismo.

Fidel Castro, pur frenato da mille fattori e da alcuni errori, crediamo sia riuscito a consegnare alla storia, dopo 50 anni, un paese ancora non esente da errori, ma sicuramente più attento ai diritti e alle esigenze dei cittadini, rispetto a quello che la sua rivoluzione liberò dalla corruzione del regime di Fulgencio Batista e dei mafiosi come Vito Genovese, Frank Costello e Lucky Luciano, che condizionavano la vita dell'isola.
Non solo: un paese che ha risolto non tutti, ma molti dei problemi di base, di vita, che quasi tutte le nazioni latinoamericane, ostaggio dell'economia neoliberale, a fatica cercano di attenuare o cancellare.
E in America Latina tutto questo, viene riconosciuto.
Viene riconosciuto al governo cubano la testarda volontà di costruire una società diversa dal cannibalesco modello liberista-capitalista: un modello di paese e di società che ha ispirato milioni di uomini nel mondo. Che sappia decidere della propria sovranità nazionale e percorrere il cammino dell'autodeterminazione, fino ad innescare un contagioso desiderio di riscatto dal colonialismo.
Tant’è che, oggi, Cuba è meno sola di quanto lo era dopo la caduta dei blocco socialista e sta vivendo un periodo molto più favorevole di quanto solo dieci anni fa avrebbe potuto sperare.
Allora l'isola, costretta a sopravvivere dopo la fine dei rapporti economici privilegiati con le nazioni dell'ex impero sovietico, rischiò veramente il tracollo trovando poca solidarietà anche nel continente sudamericano incapace, allora, di ribellarsi all'antistorico embargo decretato mezzo secolo fa dal governo degli Stati uniti verso quello dell'Avana.

Ora, il vento che soffia nel continente è di progresso e di indipendenza. Diverse nazioni latinoamericane, pur con diversa intensità e convinzione, hanno scelto governi con programmi più attenti ai problemi sociali.  Tutti i leader di questi paesi, con più insistenza o con più pudore, hanno in tempi recenti riconosciuto i meriti dell'esempio e della lunga resistenza di Cuba nella possibilità di cambiamento sociale e politico che si è aperto nel continente latinoamericano.
Strano dittatore, Fidel Castro; rivoluzionario per gli ammiratori e dittatore per i critici, si è misurato con grande acume politico nella Guerra Fredda, ha resistito al crollo dell’Urss e alle incessanti bordate degli Usa. Forte di inossidabile carisma e fascinosa oratoria, ha giocato, per 50 anni, un ruolo di rilievo nelle vicende dell’America Latina. E’ dittatore da mezzo secolo dell’unico paese del continente americano che non ha conosciuto il dramma dei desaparecidos.
Senza grande libertà di stampa, Cuba è pur sempre l’unico paese al mondo dove in questi 47 anni non è mai stato ammazzato un giornalista. E neanche un sindacalista, laddove in paesi come il Brasile o la Colombia ne cade uno al giorno sotto i colpi dei tagliagole pagati dalle imprese, spesso multinazionali del nord.

Con alle spalle solo un piccola isola caraibica, Fidel Castro (nel bene e nel male) è stato uno dei grandi protagonisti della storia mondiale della seconda parte del secolo scorso e degli inizi del nuovo millennio.
Se la Rivoluzione cubana fosse stata quella che descrive la stampa europea, Cuba sarebbe davvero caduta nell’89. Ma Cuba è oggettivamente ben altro, anche se ai più conviene far finta di non vedere.
Ed è ben altro perché Fidel Castro e la Rivoluzione incarnano la vera idiosincrasia di Cuba, che sa che l’isola o sarà indipendente o non sarà e che sotto il controllo degli Stati Uniti non può esserci futuro. La Rivoluzione, nel bene e nel male, è cubana, non è calco o copia di un modello russo lontano. Se forse non tutti i cubani sono convinti del socialismo o comunque non sarebbero disposti a morirvi, sicuramente Cuba è fidelista. Fidelista in un sentimento patriottico dalle radici profonde che nessuna amministrazione statunitense può comprendere prima ancora che battere e che da 47 anni è incarnato proprio da Fidel Castro. E per questo progetto fidelista, sicuramente, anche oggi, molti cubani sono disposti a battersi. Con Fidel e dopo Fidel.

Niente ha saputo minare l'adesione dei cubani al processo di emancipazione impostato da Fidel e dai suoi compagni, né la fiducia che nutrono per il loro comandante.
Può servire a spiegare qualcosa il fatto che Fidel era in prima fila il 26 luglio del ‘53 nell’assalto alla caserma El Moncada ( il primo atto della guerra di liberazione dalla dittatura), era in prima fila sul Granma, era in prima fila sulla Sierra e così durante il tentativo di sbarco a Playa Giron ?
Fidel ci lascerà, prima o poi; Pierluigi Battista e sodali, saranno di nuovo lì a riciclare per l’ennesima volta gli articoli che avevano cominciato a scrivere alla caduta del muro di Berlino.
Vedremo cosa riserverà il futuro e se la stampa italiana saprà spiegarlo.
Intanto, nessuno dei giornalisti sempre attenti a quello che succede a Cuba per criticarla si è preoccupato di scrivere che qualche giorno fa il governo cubano ha liberato sette detenuti anticastristi arrestati nel 2003 con l'accusa di "aver attentato all'indipendenza e all'integrità territoriale dello Stato".
Come mai ? …
Che cosa accadrà ora ? Quali nuove prospettive si aprono, per Cuba, sul piano interno e su quello internazionale ?

Vedremo, nessuno ha una sfera magica in grado di prevedere il futuro.
Cuba ha, comunque, resistito all'isolamento grazie anche ai grandi cambiamenti che hanno attraversato l'America latina negli ultimi anni.
Fidel ed il governo cubano hanno comunque sviluppato una forma di democrazia i cui rappresentanti non sono eletti in virtù del loro potere finanziario e propagandistico, ma delle loro competenze. Le relazioni tra Cuba e Venezuela sono il cuore pulsante di una cooperazione economica che si è consolidata con diversi Paesi del Sud America.
Il ritiro di Fidel Castro chiude una pagina politica che parte dalla Guerra Fredda e che lo ha visto sopravvivere all’inimicizia americana, a diversi tentati omicidi da parte della Cia.
Nessuno ha il carisma di Fidel, è ovvio, ma Cuba non avrebbe resistito 50 anni in condizioni difficilissime se al fianco del leader maximo non si fosse consolidata una dirigenza di qualità. La fase di transizione politica non sembra condotta al buio ed è certamente aiutata da una buona fase economica.
Nel 2007,  diversificando ancora una volta la propria economia, per la prima volta, a Cuba le entrate in valuta straniera per la vendita dell'esportazione di nichel hanno superato le entrate dovute al turismo.
A Cuba non ci sarà un’apertura verso il capitalismo.  Si tratta, però, di non fare il passo più lungo della gamba, fidando piuttosto sull'interscambio dei paesi solidali consociati nell'Alba, l'alternativa bolivariana delle Americhe.

Ora è urgente correggere gli ultimi errori prodotti dalla  doppia moneta; sembra che a Cuba già ci stiano pensando, bisogna rimettere le cose a posto per evitare che ci siano cittadini di “seconda classe”. Ma i cambiamenti devono essere governati, per evitare il caos. E per questo a Cuba si fidano di Raul. Credo che sarà in grado di controllare e guidare, per un periodo ragionevolmente lungo.
Ed è stato lui, ad esempio, nell’agosto del ’94 a liberalizzare il mercato agricolo e a consentire che i contadini potessero vendere liberamente alcuni prodotti, fuori dal circuito statale, anche se questo avrebbe potuto portare a privilegi. Lui ha sviluppato grandi fattorie gestite dall'esercito che, ancora oggi, quando i prezzi aumentano sul mercato, interviene proponendo grandi quantità di prodotti che stabilizzano i prezzi.

A fine febbraio, intanto, a Cuba è stato rinnovato il Parlamento e sebbene le cariche più importanti siano ricoperte dai personaggi più noti ed esperti del panorama politico cubano, non ritengo che sia cosa da poco conto che su 31 seggi del Consiglio di stato, 13 siano ad appannaggio di neo-deputati.
Ora, mi auguro che i cubani, da soli, in silenzio, correggano errori e deviazioni, aprano nuove strade e, come sempre, difendano il socialismo. Se ce la faranno, riusciranno ancora una volta a spiegare  (a se stessi prima che ai loro nemici) perché Cuba non è caduta, perché Fidel non è come Ceaucescu, perché Cuba è oggi meno isolata che mai, perché oggi può contare - come mai prima nella storia - sull’amicizia e il rispetto della regione intera e perché, forse, la rivoluzione non cadrà neanche dopo la morte di Fidel.