Cambiare il mondo senza prendere il potere

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di Alessandro Mortarino.
ImageHa scritto una volta Eduardo Galeano: "L'utopia è all'orizzonte; quando faccio due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e lei è più lontana di dieci passi: a che serve l'utopia ? Serve a questo: a camminare".
Dato che troppe persone mi hanno chiesto di commentare l’esito elettorale, anche alla luce di quel mio editoriale di qualche settimana fa (“Voto, non voto, voto, non voto …”) che metteva in luce malesseri e angosce dei comuni mortali - adepti primi dell’esercizio democratico, colti prima del loro esercizio - dico: “obbedisco”, trangugio i miei principi supremi e provo a snocciolare una mia idea in merito: aprirà un dibattito o scatenerà sorrisi ?
Nel dubbio, mi compro una moto, organizzo un viaggio in luoghi lontani oppure mi faccio un gruppo di studio su testi gramsciani … (facciamo finta di essere sani !).

Dunque, da dove si inizia a scandagliare con rigore la piana di Waterloo: dalle strade di accesso o dal cuore della carneficina, cioè dall’ammasso di corpi cadaverici silenti in attesa che iene e cornacchie festeggino l’opportunità inconsueta ?
Essendo sempre più convinto che il futuro debba partire da acqua, aria, fuoco e terra … dai corpi e dalla madre terra, ricca di nuovo humus umano, sento di dover iniziare.

E aggiungere cos’altro rispetto al titolo ?

Non è forse chiaro il concetto, ovvero che tutti noi siamo obnubilati dall’idea che la democrazia sia solo ed esclusivamente quella che noi e le masse sappiamo esercitare recandoci alle urne ? Mettere la croce.

E mettere anche la testa ?
E – magari – anche la faccia ?

Democrazia: ma è tutto qui ? …

Il gioco è davvero troppo semplice: per cambiare le cose siamo convinti sia necessario dover prendere il potere. Ma quando saremo al potere non avremo di certo le condizioni per cambiare davvero il “sistema”, il “modello sociale” di riferimento.
Tutti dicono: se hai il potere, significa che qualcuno ti ha legittimato a tratteggiare il nuovo, l'alternativa.
Ma così non è. Mai.
La storia – recente e passata – lo dice con certezza infallibile ...

Quindi, il gioco dovrebbe essere un altro: proporre un sistema e modello differente e trasformarlo in cultura diffusa che generi successivi sviluppi.
Cultura diffusa.

Il voto non serve, non ci serve ora. Non è il dettaglio modificato e migliorato che sconvolge il quadro d’assieme. Non saranno più le elìte che sconquasseranno la calma piatta dei nostri stagni.

Viviamo in un mondo che non ci piace. Come possiamo cambiarlo ?
Dobbiamo cominciare dal grido, dal rifiuto, dalla negazione, come racconta John Holloway, docente irlandese in terre zapatiste,  autore di «Cambiare il mondo senza prendere il potere», un saggio che in questi anni ha aperto un dibattito importante e profondo tra tutti coloro che credono che “un altro mondo sia possibile”. Davvero.

Ma si può cambiare il mondo senza prendere il potere? È una domanda che si pongono in pochi, oggi. Ancora troppo pochi.
Molto più semplice arzigogolare su liste e programmi e possibilità.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E chiudere (gli occhi) non giova a nulla e nessuno.

La mia analisi del risultato elettorale è già finita qui: evidentemente non mi affascina questo mestiere ... Penso  che ci siano solo due “cose” su cui lavorare nel futuro: il piano individuale e quello collettivo.

Piano individuale: se noi non iniziamo a sperimentare su noi stessi le ipotesi di un cambiamento, tutto rimarrà come prima. Quindi: il “fare” deve venire ben prima del “credere di poter fare”.

Piano collettivo: su cosa vogliamo basare il nostro stare sociale ? Ci è sufficiente ristrutturare l'intonaco del nostro palazzo o, forse, c'è qualche intervento urgente da sviluppare nelle fondamenta ?
Cultura e informazione.
Esempi ed esperienze.
Beni Comuni da ricostruire.
Leggi che non puniscano ma impediscano.
Valori e non monete.
Ricchezza di tutti e uguaglianze.
Presenza e partecipazione.
Fuori dalle nostre case, recuperare spazi comuni.
La vita e non la Borsa.
Perché la nostra presenza di cittadini attivi (con diritto, cioè, di parola) non è ammessa nei consigli comunali, provinciali, regionali, di Enti pubblici ecc. ?

Sembra facile ... Ma facile non è.
E perché mai dovrebbe essere facile e privo di sudore ?

Tutti i nostri malesseri nascono dall'idea che il consumo (e il mercato conseguente) sia la molla unica che spinge al benessere, al raggiungimento di uno status. Crescita e sviluppo.
Ma allora è il consumo il nostro nemico da combattere ...
Se l'economia gira attorno agli acquisti, al rapporto tra domanda ed offerta, e l'economia è la base venefica di tutto il nostro vivere quotidiano e se la politica è innanzitutto economia ...

Forse l'idea – utopia, ora – di rifondare la società sul concetto del dono, della reciprocità, dello scambio privo di transazioni monetarie, è ciò su cui dobbiamo concentrarci.

Perché gioiamo ancora se la Fiat produce fatturati in crescita, lauti dividendi per gli azionisti e  (a volte ...)  occupazione, quando l'automobile è una delle cause primarie di degrado urbano, malattie, danni ambientali planetari ? Non sarebbe più utile e saggio preoccuparci di ferrovie più organizzate, trasferimenti stradali collettivi, luoghi di lavoro più vicini (dunque strumenti/servizi che analizzino e sviluppino possibilità alternative) ?
Cosa me ne faccio di una autovettura “tutta mia” ? A me interessa soltanto muovermi da qui a là ...

Come possiamo sostenere l'aiuto pubblico ad una azienda che produce ammortizzatori per auto, quando è evidente che il pianeta sta per scoppiare e le risorse combustibili stanno esaurendosi ? Forse avremmo bisogno di qualcuno che ci aiuti a ristrutturare casa nostra in modo da avere bisogno di un minor contributo di gradi derivanti dalla caldaia d'inverno e di poter fare a meno del  condizionatore d'estate ...

Perché una compagnia di bandiera aerea deve essere difesa a spada tratta quando le scuole pubbliche non hanno più risorse per crescere menti aperte ? (E come mai gli istituti privati sono lautamente finanziati dal denaro pubblico, nonostante le rette elevate che li riservano a sole ampie oligarchie borghesi ?).

Ha senso vivere di attività non gratificanti per raggranellare (quando va bene) risparmi sudati da destinare a viaggi esotici e al senso della fuga dal quotidiano ? Non è il tempo “liberato” il vero obiettivo da raggiungere ? Se ho tempo posso evitare di comprare un sacco di cose e con autoproduzione e manualità posso fare a meno di artigiani, consulenti, professionisti ... E posso/riesco a creare relazioni umane forti, vere, durature, costruttive.

Insomma: ma quali sono veramente le priorità delle nostre esistenze e che cosa possiamo tranquillamente gettare via ?
A chi ci risponde: facile dire queste cose, ma ci vogliono i soldi” ... bene sarebbe replicare: “ma il denaro non è una “invenzione” degli uomini ? Dunque, non potrebbero gli uomini decidere di farne a meno” ?

Sembra una risposta banale.
Che rintana tutto il dibattito alla pura sfera individuale.
Che non risponde ai grandi dilemmi della nostra esistenza.

O No ???