Schiavitù in Piemonte: reagiamo !

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A cura del Centro culturale cittadino san Secondo.


Lo sappiamo, è estate, fa caldo e abbiamo mille problemi. Ci piacerebbe rilassarci, per quel che si può, e a noi piacerebbe inviare notizie lievi e fresche. Purtroppo, invece, l'atmosfera è grave, pesante, tribale e non si tratta solo di condizioni meteorologiche. A Castelnuovo Scrivia, qui dietro l'angolo è emerso un fatto gravissimo, che sembra sorgere direttamente dalle viscere della storia e invece è di oggi. Si tratta di schiavitù, di donne e uomini che sotto questo sole afoso lavorano (ma si può usare la parola Lavoro per queste operazioni, pur dando per buono che ultimamente il Lavoro non sia più un diritto di tutti?) come un giorno si remava sulle galere, anche se la loro sola colpa è di essere poveri, provenienti da paesi sfruttati ...

Fino a quando tutto questo è troppo anche se si è disperati, e ci si ferma. La cosa che lascia esterrefatti è che gli schiavisti, davanti all'incrociare le braccia dei loro disprezzati consimili (che ovviamente non considerano tali), al loro alzare la testa, si sono anche indignati, si sono sentiti nel giusto e hanno chiamato le Forze dell'Ordine, per essere tutelati.

Quale "Ordine" regna nella mente di questi personaggi? E quale nelle nostre?
Perché se  lo schiavismo è qui, nel quotidiano a due passi da casa, è mai possibile che i responsabili siano soltanto i proprietari della rinomata azienda agricola in cui i fatti si sono svolti?
Reagiamo, stiamo vigli prima di tutto nei confronti dei pregiudizi reconditi che ci inquinano, di cui forse non siamo nemmeno consapevoli di essere portatori ben poco sani. E impegniamoci a non chiudere gli occhi, a non voltarci dall'altra parte, per evitare che fatti simili si ripetano là dove viviamo, nelle realtà che possiamo controllare personalmente ogni giorno.

Qui di seguito,  due articoli, che vi invitiamo a leggere, su quanto è accaduto e sta accadendo a Castelnuovo Scrivia:

Cascina Lazzaro: "attività sospesa ma i lavoratori non mollano"
(Da "Alessandria News" del 27/6/2012).


La Cgil fornirà l'assistenza legale ai quaranta braccianti in rivolta: "si sono fermati perchè avevano fame", denuncia il segretario provinciale. Dalla Cia: "abbiamo chiesto un tavolo di confronto. Sono state dette cose pesanti. Quell'euro all'ora era un acconto, l'azienda era in difficoltà". A breve un incontro con il prefetto.

Restano accampati davanti all'azienda per la quale lavoravano, la Lazzaro di Castelnuovo, i braccianti in “rivolta”, in attesa che la situazione si risolva, in qualche modo. Se l'attività dovesse riprendere, i 40 lavoratori di nazionalità marocchina scesi in sciopero, vorrebbero poter continuare a lavorare. “Si sono fermati per fame, non per chiedere soldi o diritti. Erano senza cibo e tre i loro sono anche stati ricoverati in ospedale”, ha detto Silvana Tiberti, segretario provinciale Cgil. Il sindacato li sta assistendo dal punto di vista legale, sia sotto il profilo della normativa sull'immigrazione, sia sotto quello contributivo. “Nessuno è clandestino, qualcuno è un lavoratore irregolare. Abbiamo raccolto le loro testimonianze, che saranno verificate. Molti lavorano per quell'azienda da diversi anni. Dai Cud risultano paghe da 150 ai 2500 euro annui, per sei o nove mesi di lavoro, con ritmi da 300 ore di lavoro al mese. Purtroppo siamo venuti a conoscenza della situazione quando era ormai già tardi ed era già tutto successo. Sarebbe importante, invece, poter intervenire prima, in accordo con le associazioni dei datori. Temiamo che il caso della cascina Lazzaro non sia isolato ma ai sindacati non è data la possibilità di entrare nelle aziende”.
A breve ci sarà un incontro con il prefetto, che è stato subito informato e che “si è attivato immediatamente”. Prosegue Tiberti: “certo si possono fare tante considerazione, ma c'è un dato: che l'ispettorato del lavoro ha sospeso immediatamente l'attività, un fatto che denota tutta la gravità del caso”. L'azienda lavora prodotti agricoli e ortofrutticoli e in questo periodo i quaranta braccianti erano impegnati nella raccolta delle zucchine, destinate in gran parte alla grande distribuzione
“Sono state dette cose pesanti, come il fatto che i lavoratori venivano pagati un euro all'ora – è quanto sostiene Carlo Ricagni, presidente di Cia, confederazione italiana agricoltori a cui la Lazzaro è associata – quando invece si trattava di acconti. C'è un ritardo nei pagamenti di due mesi perchè l'azienda era in difficoltà economiche e a sua volta attendeva il pagamento di alcune forniture. Riteniamo, inoltre, che alcuni dei braccianti che si trovano lì non fossero neppure lavoratori presso l'azienda. Abbiamo chiesto per primi – prosegue – un tavolo di confronto per discutere non solo di questo caso specifico”.
Da tempo le associazioni degli agricoltori chiedono misure e interventi a favore del comparto. Non ultima la richiesta di non cancellare i voucher che consentono i pagamenti degli stagionali in modo semplificato ma nel rispetto della normativa. “Noi, per primi, abbiamo sempre auspicato il rispetto della legalità e lavorato per questo. Mi auguro che questa vicenda non sia davvero la punta di un iceberg, come qualcuno dice”.
Intanto, a Castelnuovo, è nata una catena di solidarietà per portare prima di tutti cibo ai quaranta braccianti. “Grazie all'aiuto di una cooperativa di Cuneo e alla Policoop che ci danno una mano, mentre l'istituto Don Orione ha messo a disposizione la cucina. Almeno ora hanno la possibilità di mangiare – racconta ancora il segretario Cgil – ora ci auguriamo che la catena non si interrompa affinché questi possano tornare a lavorare”.

Irene Navaro - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.   




Schiavi nei campi, Alessandria come Rosarno

Da "L'Unità" del 27/06/2012).


Alessandria come Rosarno. Perché la crisi è ovunque e gli schiavi costano meno, in Calabria come in Piemonte. E anche al Nord c'è chi non rinuncia a risparmiare sulla mano d'opera guadagnando sulla pelle dei lavoratori. Operai a basso costo, come i 44 marocchini dell'azienda agricola Lazzaro, trovati venerdì scorso dalle forze dell'ordine in una cascina di Castelnuovo Scrivia (provincia di Alessandria). L'azienda è una delle realtà agricole più importanti della zona e fa parte della filiera che serve i mercati di Milano e Torino.
Costretti da due anni a lavorare per 12-13 ore al giorno, chini sui campi a raccogliere ortaggi per sette giorni alla settimana, gli operai nord africani ricevevano un compenso di poco più di trecento euro al mese. Venerdì però, di fronte al rifiuto del proprietario della Lazzaro di pagare il salario, è esplosa la rabbia e i lavoratori hanno incrociato le braccia iniziando a protestare con il loro padrone. Curiosamente è stata proprio l'azienda ad allertare le forze dell'ordine credendo di riuscire a ristabilire la normalità. Ma una volta arrivati, gli uomini dell'Arma non hanno potuto fare altro che certificare lo stato disumano in cui si trovavano i lavoratori. Deperiti, disidratati, in condizioni di affaticamento estremo, molti di loro presentavano ernie alla schiena. Quattro donne poi, non riuscendo a pagarsi un alloggio, si erano sistemate all'interno della cascina stessa. I carabinieri hanno effettuato le verifiche sui lavoratori accompagnandoli addirittura nelle loro abitazioni per recuperare ì documenti.

Sul posto è arrivata anche la Flai Cgil: «Ora il problema è trovare un'altra sistemazione ai lavoratori" spiega a l'Unità Valter Crespo, segretario generale del Piemonte "Abbiamo chiesto l'istituzione di un tavolo di crisi, finora però non abbiamo ricevuto nessuna risposta concreta e non c'è ancora una data. Anche se - aggiunge - la Provincia ci ha dato la sua disponibilità». Per la maggior parte i lavoratori sono immigrati regolari e l'obbiettivo del tavolo di crisi è ottenere la ricollocazione di queste persone su altre aziende. Una questione di cui dovrebbe occuparsi l'Assessorato provinciale del Lavoro che gestisce il collocamento. Nel frattempo è necessario che si arrivi presto a una soluzione legale dell'episodio. Per ora c'è un esposto alla questura e la sospensione dell'attività aziendale, «ma - spiega Crespo - stiamo aspettando che vengano presi provvedimenti più duri».

Da sabato c'è un presidio sul tratto della statale davanti alla Lazzaro. I lavoratori non hanno niente, neanche il necessario a soddisfare i bisogni primari e, a parte la Cgil, ci sono solo alcune associazioni locali che si occupano di dar loro da mangiare. Una cooperativa si è offerta di ospitare le quattro donne rimaste senza un posto dove vivere. Pochi immaginavano che anche l'industrioso Piemonte, spesso portato come felice esempio di integrazione, potesse ospitare fenomeni del genere. Tra questi c'è proprio Crespo che già un anno fa aveva messo in guardia le istituzioni riguardo il problema. Allora si trattava di trovare una definizione legislativa del caporalato, reato che fu poi introdotto in agosto con la manovra bis (e che oggi prevede la detenzione fino agli otto anni e una multa dai mille ai duemila euro per ogni lavoratore reclutato). "L'anno scorso - racconta Crespo - quando sostenevo che ci fossero delle probabilità che questo fenomeno si potesse sviluppare anche da noi, mi presero per un visionario. Dicevano che era una realtà che non apparteneva al Piemonte, ma solo al Mezzogiorno».

Per fortuna questo è il primo episodio grave, ma dimostra che lo sfruttamento di lavoratori stranieri non è a esclusivo appannaggio di regioni come la Calabria, la Basilicata o la Campania. «Quelli che vengono qui per lavorare - si sente dire spesso al Nord - sono ben accetti». Evidentemente questo è vero soprattutto se sono disposti a farlo in condizioni disumane.

Matteo Marcelli