Un buon bicchiere di vino

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di Simonetta Ferrero, per la Filcams Cgil Piemonte.

Questa è una storia al contrario.
Sono seduta al tavolo di un ristorante. Viene il cameriere e mi chiede: “Posso portarle una bottiglia di buon vino? Quale preferisce?”. Ci penso un attimo e rispondo: “un vino rosso, ma prodotto e commercializzato senza lavoro schiavo. Ce l’ha ?”. Il cameriere resta interdetto e risponde: “Le chiamo il Titolare” ...

Gli amici seduti al tavolo con me ridono e mi dicono: “Sei la solita sindacalista, rilassati, è una cena tra amici”.
Io rispondo: “Non si tratta di essere o no sindacalista, anche se chi lo è non può smettere di esserlo mai, è una condizione permanente 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Si tratta che, quando mangio o bevo qualcosa, voglio sapere diverse cose. Da dove viene, come è stato coltivato, raccolto, lavorato, trasportato, commercializzato e venduto. Voglio sapere se contiene “schifezze”, se è stato pagato il giusto prezzo al produttore e soprattutto se chi ci ha lavorato sopra è stato trattato con equità e dignità”.

Vi faccio una domanda: Voi giochereste con un pallone cucito da schiavi bambini o indossereste un abito confezionato da persone schiave? No, e allora anche il cibo, specialmente il nostro italiano, d’eccellenza, dobbiamo sapere che filiera etica ha seguito. Sarebbe bello ci fosse un’etichetta speciale “ciboetico”, “vinoetico”, “peperonetico”, “frutta etica”, e così via…. E’ semplice, nell’era dell’informatica, tutto può essere tracciato, reso pubblico, consultabile dai consumatori. Si fa un accordo tra le parti, Datoriali, Sindacali, Istituzionali; si definiscono dei protocolli,dei percorsi, dei controlli. Il prodotto che arriva sugli scaffali di negozi e supermercati o al ristorante o al mercato, ha l’etichetta etica, la sua filiera è mappata pubblicamente dall’inizio alla fine. Chi acquista, il cittadino consapevole, sceglie. Legge dove è stato prodotto e da chi; che concimi si sono usati; il lavoro è certificato dalle istituzioni pubbliche; chi lo ha commercializzato; la data di produzione e scadenza, ecc.. Ci vuole la volontà delle parti, senza alibi, senza sotterfugi. Chi fa il prodotto più buono ed etico viene premiato dal consumatore, che lo sceglie rispetto a quello non tracciato. Tutta la filiera deve essere trasparente.

Arriva il Ristoratore e mi porta una bottiglia di vino rosso. Ha un cartellino appeso al collo che riporta: il vitigno, la tipologia, l’annata, l’ubicazione del vigneto, la gradazione alcoolica, il metodo di coltivazione e di potatura, il sesto di impianto, i metodi di vendemmia, la resa.
Mi dice: “inoltre se va sul sito del produttore, potrà leggere tante altre informazioni. Va bene ?
Perfetto” dico “Allora si può fare, basta volerlo”. Risponde: “Si, ma questo è un prodotto di LiberaTerra !!!!

Tante altre sono le proposte per eliminare quella zona grigia che aleggia sui nostri prodotti agricoli. Ad esempio, per ovviare all’annoso problema del caporalato nei nostri campi, in un paese come il nostro, ancora avocato all’agricoltura, ma che sta invecchiando, bisognerebbe rendere obbligatorio per gli studenti di agraria, periodi di lavoro retribuito presso aziende agricole. Si otterrebbe il triplo vantaggio di “insegnare” il vero mestiere, eliminare il lavoro stagionale in nero, retribuire la manodopera legalmente. Bisognerebbe tornare alle liste di braccianti agricoli gestiti dalle Camere del lavoro o dalle Camere di Commercio o dagli Uffici dell’impiego, a cui le Aziende potrebbero regolarmente attingere, essendo a loro volta tutelate nell’assunzione di manodopera, evitando il caporalato e l’evasione contributiva.

Questa è una storia al contrario, dove è il consumatore a costringere con le sue scelte, chi produce e commercializza, ad attenersi alle regole, a dare dignità al lavoro suo e dei suoi dipendenti. Il “prodotto italiano etico” ha tutto da guadagnarci !!!