Considerazioni sulla morte di Fidel Castro


di Karim Metref*.

"É morto Fidel!" Aldilà di ogni giudizio sulla persona e sull’opera, ricevere questa notizia per me è come sapere della morte di un parente… lontano, ma parente comunque. Un modello. Un modello d’infanzia che crescendo si finisce per vedere nella sua dimensione umana con pregi e difetti.
Fidel per me è stato un “compagno”. Un compagno d’infanzia. Ci sono quelli cresciuti con storie di Sandokan, quelli cresciuti con storie fantastiche, fantascienza… Io pur avendo letto di tutto da piccolo posso dire senza mentire che sono cresciuto a pane e leggende dei leader socialisti ...
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Mio nonno, mio padre, i miei fratelli, vari miei cugini… tutti erano ammiratori di Lenin, di Mao, Guevara e Castro, Ho Chi Minh e Giap.
La nostra libreria era piena zeppa di propaganda delle repubbliche socialiste, tutte. Più tardi i discorsi del leader maximo incisi su dischi di vinile morbidi allegati alle riviste cubane mi saranno molto utile per imparare la pronuncia per le lezioni di spagnolo al liceo. Ma da piccolo, dopo cena, nella stanza di mia nonna, si parlava di tutto: della vita, della famiglia, delle storie degli antenati… ma anche della resistenza del popolo russo durante l’assedio di Leningrado. Delle gesta del Marechal Jukov. Dell’avanzata di Mao su Pechino. E dell’entrata dei Barbudos a Santa Clara, dell’umiliazione dei contro-rivoluzinario e della Cia alla Baia dei Porci e della fuga in catastrofe dei Marines da Saigon…

Per noi queste storie erano la vendetta dei poveri sui ricchi. Gli indiani che finalmente riuscivano a mandare all’inferno i cowboy con i loro cappelli che non volano mai, i loro cavalli instancabili e le loro pistole che non si svuotano mai.

Che emozione quando venivano il Che o Fidel ad Algeri. Non ero ancora nato quando Guevara visitò Algeri per la seconda volta nel 1965. Ed ero molto piccolo nel 1972 quando arrivò Fidel. Non avevamo ancora la tv a casa e il racconto della visita ci fu trasmesso da mio padre, che mescolava le letture della stampa ufficiale con le voci che giravano tra la gente. É così che ci raccontò ad esempio come Fidel si “liberò” della compagnia delle guardie del corpo del presidente Boumedienne per farsi un bagno di folla… da solo. Le guardie lo ritrovarono, diceva, in una viuzza della Casbah intento a chiacchierare e a farsi abbracciare dalla gente che lo accoglieva come un eroe, come un fratello. Il popolo cubano, come quello algerino aveva affrontato una grande potenza militare e ne era uscito a testa alta. Eravamo “popoli vincitori”, almeno così credevamo allora.

Per tutte queste ragioni sento la morte di Fidel come la perdita di un parente. Un parente lontano ma importante. Uno di quelli che nonostante la distanza, contano nella famiglia. Uno considerato da piccoli come un eroe, un modello assoluto, e che poi crescendo si è imparato a guardare con occhi più critici. Tentando di separare il buono dal cattivo. Come in ogni umano.

Fidel è un uomo che si è ribellato all’ingiustizia e ha fatto il suo possibile per sconfiggerla. Ribellarsi con le armi in mano non è il miglior modo di affrontare l’ingiustizia. Ma è sempre meglio che stare zitti. Questo lo diceva anche Gandhi. “Di un ribelle violento posso fare un combattente nonviolento, ma di un codardo non saprei fare nulla”.

Fidel affrontò l’ingiustizia e fece quello che poteva, quello che sapeva… per far finire l’oppressione. Ma contrariamente al “Che”, lui ha dovuto poi governare il paese liberato. Il Che fece il rivoluzionario puro e cerco di farlo “senza perdere l’umanità”. E effettivamente non la perse ma perse la vita. Lasciando il quesito ancora in sospeso: “si può fare la guerra e vincerla senza perdere l’umanità?”.

Il quesito al quale invece la Storia ha risposto più di una volta e senza equivoci è: “Si può tenere il potere con la forza senza perdere la propria umanità?” Questo è ormai chiaro. “Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente” per dirla sempre con Gandhi.

Che strumenti abbiamo noi per giudicare l’operato di Fidel Castro a Cuba? I media. Quelli occidentali che lo odiano a morte e quelli amici che lo idolatrano. É dall’epoca della vittoria castrista a Cuba che siamo divisi tra notizie che lo vogliono demonizzare e altre che lo vogliono divinizzare. Tifoserie opposte che vedono nell’isola, ognuna, solo gli aspetti che fanno comodo alla loro versione.

Prima della rivoluzione, Cuba era il casinò e il casino degli USA. La mafia la faceva da padrona. Il popolo era schiacciato e ridotto alla fame sotto il peso della dittatura sanguinaria di Fulgencio Batista. Se la rivoluzione ha avuto il successo folgorante che ha avuto, delle ragioni ci sono, nonostante ciò che ne dicano i nostalgici dell’epoca di Battista.

Oggi, sono passati 57 anni da quel primo gennaio 1959 quando i ribelli “barbudos” del Movimento del 26 Luglio (M26-7) entrarono alla Havana. In esilio c’è ancora molta gente. Molte ragazze e ragazzi cubani si prostituiscono ancora. Non ci sono elezioni libere, poca libertà di espressione. I fratelli Castro regnano ininterrottamente da quel lontano 1959…

Dall’altra parte, paragonato a tutti i paesi della regione Centro Americana, Cuba è il paese che offre la miglior qualità dell’educazione, della sanità e di ridistribuzione delle poche ricchezze prodotte dal paese. Chi si prostituisce oggi non lo fa più per sopravvivere ma perché nel mondo globalizzato avere un buon telefonino, dei vestiti firmati sono diventati bisogni che molti considerano essenziali. Il cibo scarseggia ma quello necessario per stare in salute ce l’hanno tutti. La corruzione c’è ma non ha niente a che fare con i livelli presenti nei paesi vicini. Nessuna traccia di organizzazioni malavitose importanti. E la povera isola di Cuba si permette persino di mandare aiuti umanitari, fatti non di cibo o medicine ma di personale medico e paramedico e di insegnanti di altissimo livello, a paesi che sono cento volte più ricchi in risorse naturali e non subiscono nessun tipo di embargo.

Che a Cuba ci sono oppositori in carcere, a raccontarcelo sono soprattutto alcuni oppositori che lo scrivono su tutta la stampa del mondo… e che non stanno in carcere. Quindi forse tutto non è proprio così come lo raccontano. Cuba non è il paradiso che raccontano i “castristi” di tutto il mondo ma nemmeno l’inferno che racconta la stampa dei potenti.

Cuba oggi è un paese del cosiddetto terzo mondo. Ha poche risorse, produce poco Pil. Come molti altri ha un regime autoritario. Molti problemi sociali e politici. Ma meglio di molti altri (forse meglio di tutti) ha investito sulla salute e sull’educazione dei suoi figli. A me non sembra poco.

E credo che è su questa base che si può giudicare il principale artigiano di questa situazione. Come un uomo politico che ha preso il potere con la violenza contro un regime violento e ingiusto. Un uomo che ha subito pressioni enormi e che nello stesso tempo non ha potuto, non ha voluto o non ha saputo sottrarsi al gioco delle parti durante la guerra fredda. Un uomo che ha scelto di tenere salde le redini del potere e di opporre un regime autoritario e militare a varie forme di aggressioni sia dirette che indirette, sotto forma di embargo e complotti vari. Non aveva scelta? Questo non è vero. Si ha sempre la scelta? Io non credo che la sorte di tutto un popolo possa mai dipendere da un solo uomo o da un solo gruppo di uomini. Ma nello stesso tempo, bisogna dirlo, la scelta che si presentava nell’immediato era spesso tra tenere il potere in mano o lasciare il paese in mano alle mafie di Miami.

Alla fine quello che è morto ieri è un uomo. Un grande Uomo. Uno di quelli che hanno fatto la Storia. Un uomo che io credo mosso alla base da sani principi di giustizia. Ma pur sempre un uomo. Con le debolezze di ogni umano. Uno che arrivato al potere si è preso forse un po’ troppo sul serio e si è creduto indispensabile. Malattia che colpisce molti leader carismatici, soprattutto quelli che conquistano il potere con la violenza.

Ma dire oggi “è morto un dittatore” cosa vuol dire? Se questo è solo una valutazione tecnica e significa “è morto il leader di un paese senza funzionamento riconosciuto internazionalmente come democratico”, allora è vero. Ma se questo vuol dire “è morto un uomo malvagio”, allora bisognerebbe specificare il “perché”, il “come” e soprattutto il “quanto”. È forse morto un uomo più malvagio degli uomini politici che regnano sulle principali “democrazie” del mondo? È forse più malvagio di Clinton, Bush e Obama che hanno ridotto il Medio Oriente intero in cenere per avere controllo sul petrolio? É forse più malvagio dei presidenti francesi che hanno ridotto l’Africa in cenere per pagare i costi della loro bella democrazia? É più malvagio dei leader del mondo che giocano con la sorte di milioni di profughi e migranti come fossero semplici palline in un macabro gioco del ping-pong? È più malvagio dei leader, democraticamente eletti o no, che trasferiscono le ricchezze dei loro paesi verso i paradisi fiscali, lasciando i loro fratelli morire di fame e di malattie? È più malvagio di chi fomenta guerre per far funzionare l’industria bellica o di chi crea le crisi per arricchire le banche? Diteci quanto è malvagio questo uomo che è morto ieri. Faciamo una scala ragionata degli atti malvagi dei leader del mondo e vediamo come sarà classificato Castro.

Fin che questa graduatoria della malvagità non sarà fatta, io che non credo più negli eroi da tempo, preferisco salutare una ultima volta con rispetto l’uomo. Un Uomo che per opporsi all’ingiustizia del mondo ha scelto una via, che io considero sbagliata, quella della violenza. Ma comunque uno che ha preso il proprio coraggio e le proprie responsabilità in mano e ha fatto qualcosa. Qualcosa che nelle intenzioni era giustizia. E che qualche volta ci è andato molto vicino, qualche volta se n’è allontanato proprio. Com’è normale che succeda al semplice essere umano che era, dopo tutto.

*Leggi l'articolo in originale: http://serenoregis.org/2016/11/28/considerazioni-sulla-morte-di-fidel-castro-karim-metref/

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