La prima volta in terra d'Eritrea

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di Anna Baisi e Claudio Nuti.
ImageSui barconi respinti dal nostro paese nelle acque del Mediterraneo, c’erano senza dubbio anche degli eritrei, mescolati a persone in fuga da tanti altri luoghi in cui la vita diviene sempre più simile a qualcosa che non è degno di essere definito come tale. Non si tratta di fare polemica o di nascondersi il fatto che l’Europa intera debba farsi carico di risolvere il problema, ma semplicemente di portare una testimonianza di persone che, non stipendiate, non intenzionate a concludere affari vantaggiosi, ma per puri scopi umanitari, si sono recate in Eritrea in collaborazione con l’associazione astigiana  “Dodiciceste” (http://www.dodiciceste.org) ...

Ecco la relazione del dottor Claudio Nuti e di sua moglie Anna Baisi, infermiera, che hanno già partecipato a diverse missioni all’estero, al ritorno dall’incontro con questa nuova realtà: la proponiamo mentre sulle reti RAI, pagate con il nostro canone, continua a passare uno spot il cui scopo dichiarato è quello di pubblicizzare il passaggio della televisione da analogica a digitale. Inizia con una breve sequenza in cui l’attrice Fiona May, in una fiction, acchiappa per un braccio una altra donna di colore dichiarando in tono energico: “Se non ti riporto al centro di accoglienza divento tua complice!” e la costringe a salire in auto. E’ anche l’unica frase che si sente nello spot che viene riprogrammato decine di volte ogni giorno. E’ onestamente difficile pensare ad una scelta casuale.

Devo dire che siamo partiti un po’ perplessi: non sapevamo se il nostro viaggio fosse realmente utile per qualcuno e, soprattutto, non sapevamo veramente cosa potevamo fare.
Siamo  nell’associazione da pochissimo e non abbiamo alcuna esperienza di ciò che Bruno, Marilena e gli altri hanno fatto in questi anni: non siamo ne tessitori  ne, tanto meno,  falegnami, e non pensiamo di essere migliori dei colleghi medici ed infermieri che operano sul posto, quindi pensavamo veramente di andare solo a far spendere dei soldi ad una associazione che dell’oculatezza finanziaria ha sempre fatto uno dei suoi tanti fiori all’occhiello.

I dubbi si sono ancora più accentuati quando, arrivati ad Asmara, abbiamo trovato una città bella, pulita, ordinata, con un ospedale efficiente, con un albergo confortevole e con una cucina gradevole. Ci siamo chiesti: ma perché ci hanno fatto venire qui, non hanno certamente bisogno di noi!!
Con tutti questi  pensieri abbiamo aiutato Bruno in tutte le pratiche burocratiche, abbiamo recuperato tutto il materiale sanitario che avevamo precedentemente spedito dall’Italia e, in pochissimi giorni, eravamo pronti per raggiungere la piccola cittadina di Segheneyti, ove si trovava l’ospedale a cui dovevamo consegnare il materiale.
Arrivati, dopo 2 ore di viaggio attraverso panorami affascinanti ed assetati, ci siamo diretti subito verso l’ospedale dove ci attendeva il medico responsabile della struttura.

Qui abbiamo visto come si possa lavorare dignitosamente senza quasi nulla; abbiamo visto del personale preparato e disponibile che lavorava senza acqua corrente, senza attrezzature, senza la maggior parte dei farmaci che siamo abituati ad usare noi. Francamente ci siamo vergognati un po’ della fortuna che il Signore ci ha donato facendoci vivere in Europa ed abbiamo consegnato il materiale che, d’accordo con il Ministero della Sanità Eritreo e con il personale dell’ospedale, avevamo portato per offrirlo alla struttura pubblica di assistenza sanitaria di Segheneyti.
All’apertura degli scatoloni abbiamo visto gli occhi dei sanitari del posto illuminarsi di gioia e di gratitudine; stavano ricevendo non dell’elemosina, ma strumentazioni moderne, nuove, fornite  per merito della fondazione Dante Nano di Alessandria, affinchè professionisti capaci e preparati potessero lavorare con efficacia ed efficienza.
Penso che quel momento di condivisione con il personale dell’ospedale di un evento importante per tutti noi e per la comunità di Segheneyti, sia stato l’attimo in cui ci siamo resi conto dell’importanza di un lavoro non assistenziale ma di collaborazione in un paese povero, ma ricco di dignità e di potenzialità umane.

E quello è stato solo il primo di una serie di incontri e di prese di coscienza di come si può intervenire su un territorio come l’Eritrea senza violentare con usi e costumi stranieri le popolazioni locali, rispettando le loro usanze e aiutando le persone ad essere autonome e libere.
Abbiamo visto donne che, attraverso un lavoro creativo e autonomo, sono riuscite a mantenere famiglie numerose, mentre i loro uomini erano impegnati nella difesa dell’indipendenza della nazione, in una guerra infinita; abbiamo visto bambini  contenti di poter scambiare due parole in inglese con noi, felici che ci interessassimo a loro; abbiamo visto tanta voglia di lavorare,  di produrre e di migliorare; abbiamo visto campi  arati alla prima pioggia, abbiamo goduto di una ospitalità semplice ma sincera e affettuosa ovunque ci siamo recati.

Ci avevano parlato di un paese militarizzato ed abbiamo trovato un popolo senza armi e abbiamo trovato soldati in servizio  che, prima di presentarsi come tali si sono presentati come amici.
Non so se abbiamo fatto qualcosa di utile per gli amici eritrei, ma sicuramente abbiamo avuto il piacere e l’onore di conoscere (almeno in parte) un popolo che non merita la povertà, non merita il sottosviluppo e non merita, soprattutto, la carità dei paesi ricchi. Merita invece una cooperazione vera, uno scambio di esperienze e di conoscenze, una collaborazione alla pari. Sono contento che la nostra associazione si sia posta come interlocutore nei confronti delle autorità locali con spirito di servizio e non con un paternalismo  assistenzialista di tipo tardo coloniale.

Coraggio Eritrea, siete sulla strada per vincere la vostra sfida al sottosviluppo; se riusciremo ad aiutarti come meriti, forse quel frammento di Italia rimasto nel Corno d’Africa potrà, prima o poi, essere felice di avere dei veri amici da questa parte del Mediterraneo.