Asti, i Movimenti, i Partiti ...


di Carlo Sottile.

Nel rapporto tra movimenti e istituzioni, includendo nelle istituzioni anche i partiti, si affacciano tutte le ragioni di una riforma della politica (quella politicante, di cui abbiamo esperienza adesso). Riconquistare spazi di democrazia partecipata, e dunque di rappresentanza, in cui le priorità e i valori adesso dominanti siano rovesciati, è un tentativo che si ripete, dal dopo Genova, nelle scadenze elettorali di molti Comuni, con risultati che paiono di volta in volta importanti ma che in seguito, salvo rare eccezioni, si rivelano assolutamente modesti ...

In tempi più recenti e in condizioni assai peggiori di quelle dell'anno 2001, le esperienze che hanno suscitato da noi il maggior interesse sono state quelle di Milano e di Napoli. Il tentativo di riprodurre ad Asti l'esperienza di Milano, senza peraltro mai discostarsi dai canoni del centro/sinistra è, come è noto, fallito, lungo un percorso carico di ambiguità e di strumentalismi.
Alcuni ne hanno tratto la convinzione che l'esclusione della cosiddetta sinistra radicale potesse addirittura favorire processi di rinnovamento o di riforma della politica cittadina. Vedremo.  
In più, a differenza del 2001, il rapporto tra movimenti e istituzioni è stato ed è fortemente segnato dall'affermazione, senza se e senza ma, delle politiche neo-liberiste del governo Monti, dalla resa dei partiti maggiori a quelle politiche, dal liquefarsi in quelle politiche dei principi costituzionali. Questi principi già sistematicamente sovvertiti nei rapporti sociali reali, stanno per essere sovvertiti anche dal punto di vista formale (vedi gli atti di riforma costituzionale in atto, veri atti costituenti). Come si vede una differenza non da poco.

Certo non tutto è diviso in bianco e nero, scenari e prospettive possono apparire in brevissimo tempo rovesciati (magari nel corso di una campagna elettorale); non c'è nulla di lineare in tempo di crisi di sistema, come è quella presente. Però, mai come adesso, si avverte una situazione di democrazia sospesa.
Uno stato di eccezione, di cui ancora non si coglie tutta la gravità, che ha avuto più volte conferma, dal governo e dalla triplice (commissione europea, bce, fmi).
Tale situazione si avverte soprattutto attorno ai conflitti che si accendono in difesa dei diritti costituzionali e dei diritti della persona.

In val di Susa, l'evidenza e la durata del conflitto si offrono ormai come lezione. L'astrazione, nel senso di stare sulle nuvole, e la presunta obbligatorietà del progetto della Tav, fino a mettere in campo le forze dell'ordine,  mostrano un rapporto tra movimento e istituzioni ormai rotto, in cui è cancellata ogni possibilità di confronto vero.
Quando si diceva con raffinate analisi che il compromesso sociale del 900 era in via di liquidazione ..... ecco che l'esito annunciato si realizza sotto i nostri occhi, rozzo e senza tanti fronzoli teorici, mediato dal governo dei tecnici e incoraggiato dalla triplice. Ci dicono che il loro debito lo dobbiamo pagare noi, che il presente modello sociale è l'unico disponibile, nonostante i segni vistosi di fallimento.
Per loro, i banchieri, vale ancora la metafora di Menenio Agrippa, è una legge naturale che i plebei debbano occuparsi di procurare il cibo e i patrizi di digerirlo.

Ma se dalla nostra parte l'impossibilità di esercitare tali diritti viene subita e sentita come una mutilazione, dall'altra parte, dalla triplice, viene disinvoltamente imposta, come una naturale necessità, con decisioni che hanno il sapore delle bolle papali o degli indirizzi di una repubblica platonica. Loro sono il vero e il bello, noi siamo degli illetterati e dei sudditi.

Anche qui da noi, attorno al movimento di lotta per la casa, si avverte una sospensione dei diritti democratici, una
situazione che noi troppo superficialmente attribuiamo alle scelte dell'assessore leghista e xenofobo.
Dentro questa sospensione, considerata in tutte le articolazioni del potere come “necessaria per evitare il baratro”, si spiega anche un paradossale rimando (quasi uno scambio temporaneo) di ruoli tra Prefetto e Assessore ai Servizi Sociali, paradossale e ambiguo quanto basta per occultare l'intenzione comune di sterilizzare meglio l'esito conflitto sociale.
Questo affermarsi delle politiche neo-liberiste nel momento in cui, mostrando tutti i loro limiti, producono emergenze sociali e ambientali, rimanda come già detto alla resa dei partiti al governo Monti, alla storia del lento suicidio dei partiti della sinistra.
Ma rimanda anche ai limiti del movimento, alla sua incapacità di andare oltre l'agenda di una politica di alternativa.

Sfuggono ancora gli effetti collaterali di un processo che viene letto più facilmente nei suoi esiti più generali e astratti. E' dagli anni ottanta che si legifera a difesa della proprietà e dell'impresa capitalistica. Il darwinismo sociale promosso dalle culture e dalle pratiche mercantili è stato addolcito con interventi compassionevoli verso le vittime.
Questa ondata neoliberista non ha certo risparmiato le pratiche amministrative, dai Servizi Sociali e Pubblici, all'Urbanistica (è di pochi giorni fa la decisione dell'intero centro sinistra di Torino di privatizzare i servizi pubblici della città, salvo il rispetto dovuto all'esito del referendum sull'acqua).
Attorno ad un autonomia dei comuni priva di risorse finanziarie e ulteriormente ridotta dal patto di stabilità, monta l'opposizione della Lega, con le caratteristiche xenofobe e populiste che conosciamo.

E' vero che alcuni provvedimenti del governo (Imu, lotta all'evasione) possono essere interpretati in chiave redistributiva, e che le risorse disponibili (misere) possono essere diversamente distribuite e che le pratiche amministrative possono essere
“riorientate”, ma la disuguaglianza di reddito e di potere è ormai così ampia (mai così ampia) e i provvedimenti già presi (pensioni) e promessi (mercato del lavoro) segnano un cambio di paradigma sociale così radicale, che l'efficacia dei provvedimenti possibili su elencati può essere utilmente moltiplicata solo con l'azione di un “movimento” capace di agire   come soggetto politico, diversamente, anche con le migliori intenzioni, anche con il miglior ecumenismo, dal “palazzo” possono uscire solo conferme, magari dolorose per gli eletti che devono subirle, dello stato di cose presente.
Si è già visto.

Ce n'è da vendere per giustificare incertezze e indugi e scelte che disconfermano altre scelte all'interno dello stesso movimento. Non è un caso che a Napoli, nel corso di un recente convegno è stato redatto un Manifesto dei beni comuni che al punto 9 recita così: Attiva prosecuzione del confronto iniziato a Napoli con i movimenti e le forze sociali che si battono per i beni comuni e che mettono in atto pratiche dirette, anche tramite l'aperto riconoscimento politico che le occupazioni di immobili per esigenze abitative, sociali o culturali direttamente collegate ai valori costituzionali costituiscono un legittimo esercizio di diritti costituzionali e una valida pratica di cittadinanza attiva.  
Nessun amministratore presente richiederà né autorizzerà l'utilizzo della forza pubblica al fine di risolvere vertenze sui beni comuni. Cioè, si richiedono atti a vocazione costituente. Costitutivi di un nuovo ordine sociale, di una nuova scala di valori, di nuove priorità.
Sintetizzo, bisogna creare ovunque delle libere repubbliche della Maddalena. Una metafora giunta quanto mai opportuna, che promuove un immaginario e un linguaggio (datori di senso) all'altezza dei risultati che si vogliono ottenere.

Non mi pare che ad Asti i fautori del rinnovamento “che passa attraverso le istituzioni”, abbiano sciolto tutte queste incertezze o si preparino a farlo e i tempi e i modi della campagna elettorale certamente non li favoriscono. Basta metterci il naso dentro.
Da destra a sinistra i fautori della democrazia partecipata si sono moltiplicati, si sono moltiplicati i fautori di una urbanistica meno contrattata con il partito del mattone, si sono moltiplicati i fautori di uno stop al consumo di territorio.
Però, tanto per fare un esempio, tutti gli ultimi interventi sul PRG, sono stati fatti in una logica squisitamente mercantile e per quanto riguarda la politica della casa, il requisito sociale del 20 % di ristrutturato da restituire al Comune, insieme agli oneri di urbanizzazione, è al momento, con un mercato immobiliare fermo per ragioni strutturali (gli edifici in vendita giudiziaria ne solo un segno vistoso, ma anche la politica del credito delle banche) e nonostante i voli di volumetrie, uno specchietto per le allodole.
Con quel requisito, che ben altro senso ed efficacia avrebbe avuto dieci anni fa, non si riduce di un millimetro il bisogno abitativo insoddisfatto. Se si organizza la società attorno agli spiriti animali del mercato, quando si decide di respingere quegli spiriti non basta solo l'aglio.

E' vero, come è stato detto, che “c'è un programma inascoltato da 5 anni”. E' un programma le cui linee essenziali erano state formulate fin dalla nascita del Social Forum.
Il testo scritto nel 2007, che stava già dentro le situazioni e i processi prima sommariamente descritti, non può essere semplicemente attualizzato. Adesso è un programma che va agito con atti con vocazione costituente, non semplicemente delegato o affidato alla dialettica istituzionale. In questo senso condivido le proposte di lettura di Samuele ma prendo anche atto che, almeno sulla mailing “Asti in movimento” non se l'è "cagate" nessuno.  
Ciò non di meno le considero valide e utili per un approfondimento e credo che non vadano disperse in polemiche, come alcune delle ultime, dallo stile spesso sgradevole, provocate da una competizione elettorale che personalmente mi interessa ma a cui resto estraneo, come molti dei miei sodali.

Il punto di applicazione delle azioni di volontariato sociale è sempre stato nella società, nel vivo delle relazioni sociali. La parzialità di queste azioni, il loro carattere alla fine filantropico, al di là delle migliori dichiarazioni di intenti (concorrere a rimuovere le cause dell'esclusione ...ecc. ecc), la ristrettezza del loro orizzonte politico, alludevano sempre ad un soggetto altro, capace di superare le parzialità in una sintesi di programma.
Questo schema è andato in crisi e nel momento migliore di Rifondazione “i movimenti”, non a caso declinati al plurale, erano già in grado di dettare l'agenda ai partiti politici e la “rifondazione” poteva avverarsi (all'altezza delle moderne contraddizioni del capitale, diceva Bertinotti) solo se il partito avesse scelto la società, non le istituzioni, come punto di applicazione della sua azione.
Nel momento migliore di questo percorso, quando tutto ancora non si era consumato, erano nati i Social forum e le liste di Rifondazione erano affollate di militanti dei movimenti. Poi il vecchio (gli epigoni della terza internazionale) si è mangiato il nuovo ed è finito un ciclo.
La sinistra radicale è stata espulsa dagli stessi parlamenti con il voto dei cittadini. Chi immagina di poter riprendere quella storia non ha inteso fino in fondo quale rottura è intervenuta dopo, come esito finale di una serie ininterrotta di sconfitte, corrispondenti ad una serie ininterrotta di azioni del capitale. L'accumulo di decenni è una formazione sociale radicalmente mutata, processi di lavoro e dunque di valorizzazione del capitale radicalmente mutati, una egemonia sui processi di apprendimento e dunque di descrizione della realtà che garantisce alle classi dominanti (il 10 %) un assoggettamento senza precedenti dei dominati (il 90 %).

Più le cose sono complesse più è il linguaggio che da il senso alle cose. Monti e la sua accolita di signorili tecnici bocconiani, non lo dice, ma lo fa, con un gran seguito di amplificazioni giornalistiche e televisive. Il mainstream dominante, l'intossicazione che viene a domicilio.
Siamo ad un passaggio in cui proprio la nostra esperienza recente di militanti del  Coordinamento Asti-Est ci suggerisce l'idea di essere una immanenza che si manifesta tra le parzialità di una vecchia associazione e le sintesi del nuovo soggetto politico. E' lo stesso processo sociale in cui siamo immersi e che non riusciamo ancora a dominare a suggerirci quell'idea. L'emergenza abitativa non ha solo coinvolto nuove soggettività (dai naufraghi della vita ai naufraghi dello sviluppo), non è solo diventata permanente, è diventata una generale emergenza sociale.
E' diventata forma di un malessere che origina dal venir meno di un paradigma, quello del cittadino novecentesco, cresciuto nella cultura e nella pratica costituzionale, protagonista del vecchio movimento operaio.

Insomma, al momento è più facile non pagare l'affitto che “rapinare” una banca o “svaligiare” un negozio di alimentari. Non pagare, rapinare, svaligiare, nell'universo di discorso che si affaccia dai conflitti sociali sono tutti atti costituenti.
Chi scopre o riscopre oggi la “politica” può fare una interessante sperimentazione ma può anche, per l'ennesima volta, nelle vesti del nuovo, farsi mangiare dal vecchio.

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