Rammendare le periferie

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di Laurana Lajolo.


Renzo Piano con il suo stipendio da senatore a vita ha costituito il gruppo G124 con sei giovani architetti che, unitamente a tre tutors, hanno il compito di lavorare all’ambizioso progetto delle periferie, pensato appunto da Piano. In un articolo, pubblicato su “Domenica – Il sole 24 ore” del 26 gennaio scorso, dal titolo “Il rammendo delle periferie”, Piano ritiene le periferie la città del futuro, là dove si concentrano le energie umane. Nei centri storici vive il 10% della popolazione urbana, mentre la maggior parte abita nelle periferie ...

E’ vero che sono solitamente un deserto e un dormitorio, ma sono anche ricche di umanità e quindi il destino delle città è quello delle periferie, a cui va destinato un grande lavoro di rammendo e di riparazione non con il piccone, ma con il bisturi.

Renzo Piano esplicita le sue idee su come rendere migliori le periferie:

1) Non costruire nuove periferie. “Bisogna che le periferie diventino città”, scrive Piano, “ma senza ampliarsi a macchia d’olio, bisogna cucirle e fecondarle con delle strutture pubbliche”. Del resto è oggi antieconomico costruire ancora in periferie perché bisogna poi predisporre i servizi, mentre la crescita oggi deve essere “implosiva”, cioè bisogna “intensificare la città”, completando le ex aree industriali, militari o ferroviarie. In questo senso è importante una cintura verde che circondi il costruito, che segni con chiarezza il limite invalicabile tra città e campagna.

2) Va portato in periferia un mix di funzioni per permettere agli abitanti di vivere, di studiare, di divertirsi e fare la spesa. Quindi portare in periferia nuovi ospedali, sale di concerto, teatri, musei e università, cioè dei punti di incontro e dei luoghi per la gente, per “fecondare con funzioni catalizzanti il grande deserto affettivo” delle periferie. E, naturalmente, ci devono essere i trasporti pubblici sostitutivi dell’uso delle auto.

3) Vanno adeguati dal punto di vista energetico e funzionale gli edifici esistenti, con un “lavoro di rammendo idrogeologico, sismico, estetico” anche con mestieri nuovi, microimprese, start up, creando così nuova occupazione.

4) Bisogna sviluppare dei processi partecipativi: coinvolgere gli abitanti nell’autocostruzione, allestire cantieri leggeri che non prevedono l’abbandono degli abitanti delle loro case. Ci vuole un architetto condotto per curare gli edifici malandati, magari mettendo in atto un laboratorio di quartiere.