Il Prater del Santo



di Gianfranco Miroglio.


C’è la Ruota Panoramica. E’ appena stata montata. E’ lì, in piazza del Santo. Io penso, dato il cognome, che dai suoi vagoncini candidi si possano - anzi sia d’obbligo - veder panorami. Io penso a quali.
Forse il salotto, la poltrona, la tv del comandante delle guardie, il mio amico Riccardo. Forse anche lui che legge il giornale. Oppure, con un po’ di fortuna, il tinello di casa Galvagno. Forse anche Giorgio che gira in vestaglia e pantofole. Oppure, per forza di cose, qualche crepa tra i mattoni dei muri: le case, si sa, da quelle parti, non sono più di primissimo pelo ...

Oppure qualche piccione che fa la cacca sui coppi. Oppure un orizzonte di antenne.
Oppure qualche scorcio di scrivania nel palazzo dell’INA. L’impiegato che si pizzica il naso. Un gossip da ufficio.
Tutte cose assolutamente imperdibili.

… A occhio, però, cose che - avendo voluto farci attenzione - si sarebbero sempre potute vedere in passato; e si potranno vedere in futuro anche solo salendo all’ultimo piano o sui solai degli edifici che guardano in piazza.
Panorami!
Piccolo come sono, da sotto osservo la Ruota del Prater.
A pochi metri da lei, la giostrina dei bimbi, con la sua pagoda di fantasie e di stoffe, … il giocattolino sobrio e timido destinato a suggerire tenerezza,  adesso fa pena.
Osservo allibito la scena e mi chiedo perché, a che cosa o a chi serva la Ruota.

Penso, come ho sempre pensato, che una città come Asti sia fatta di sospiri sommessi, di angoli dolci, di finestre di cotto, di ombre che passano, di cantine che odorano, di portoni non chiusi e di vicoli. Penso ai pensieri che loro, tutti insieme, si portano dentro e durante le epoche, e lo fanno puntualmente, con garbo, per offrirli a chiunque si trovi a passare di lì.
Cittadino o turista che sia, astigiano o straniero.
… La bellezza, poi, di come quei pensieri, per automatismi del cuore, diventino immagini, volti, parole; e poi confidenze,  musiche e suoni. Effetti speciali da affetti.
Ricordi.

Un tesoro di ognuno, di cui si scopre coscienza per caso o di colpo; ma che è anche un tesoro di tutti.
Difenderlo vuol dire misura nei gesti e nei fatti, vuol dire fermarsi ogni tanto; vuol dire soprattutto, ogni tanto, concedere  intorno un dovuto silenzio.
Se c’è un momento dell’anno in cui - per coerenza infantile o per contrasti di luci e lucine o di stato sociale - ti viene da pensare così, quel momento è il Natale.
Basta una nota di nenia, una palla di vetro infrangibile, una pigna fasulla sporcata d’argento, basta perfino un pastore di plastica.
Basta l’idea di una zampogna che non vedi ma senti.
E per molti si agita l’anima, si scrolla - d’emozione o fastidio - lo spirito.

Il Natale in piazza del Santo era, è stato, negli anni, un presepe o l’abete punteggiato di lumi. Poi veniva la Befana del Vigile.
La piazza del Santo, sul far delle Feste, specie di notte e di vuoto, con l’albero acceso e poi basta, era, è stato, negli anni, per ognuno di noi, prima o dopo, uno di quei posti giusti per raccogliere volatili schegge di sé.
Guardando in avanti oppure all’indietro.

Quest’anno in piazza del Santo l’abete non c’è. Ma c’è la Ruota del Prater.
Ci saranno – lo spera chi ha avuto l’idea – comitive con echi di voci e richiami, con occhi protesi a cercar di vedere Riccardo, o Giorgio Galvagno in cucina; … o i piccioni che fanno popò sulle muffe dei tetti.
Nelle notti, nel buio, in silenzio, spento il gran chiasso dei neon, ci saranno dei tubi di ferro e una grande macchina morta.
Nel luogo più pudico e più intenso di Asti, un ambaradàn da “non luogo”.

Ci sarà anche chi, disinteressato alla Ruota e arrivando da fuori, passerà sotto i portici e cercherà di capire e di vedere la chiesa.
Rosone, facciata.
Un’impresa impossibile.

Peccato davvero.

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