Un diverso ordine del discorso

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di Carlo Sottile, Coordinamento Asti-Est.


Famiglie “occupanti”: “attenti a non premiarle”. L'avvertimento l'ho colto in bocca ad uno dei nostri interlocutori, discutendo dei possibili sviluppi delle quattro “occupazioni” cittadine (via Allende, corso Volta, salita al Fortino, via Orfanotrofio, dove hanno domicilio 50 famiglie). Non si deve dimenticare che la vicenda dura da molti anni (l'occupazione dell'edificio di via Allende, di proprietà del demanio militare data 2010) ed è ancora in bilico, nella coscienza dei suoi detrattori, tra la cronaca giudiziaria e quella sociale. Diversamente, tra le associazioni che si battono per i diritti costituzionali, le “occupazioni” di edifici pubblici o privati, vuoti da anni, da parte di persone/famiglie sfrattate per ragioni di mercato, sono necessarie azioni di disobbedienza civile, sono atti a vocazione costituente, vale a dire atti che attualizzano l'art. 42 della Costituzione, quello che legittima la proprietà nella sua funzione sociale ...

Non è una astrazione, si tratta di decidere se le case devono essere costruite per essere abitate, oppure per fare da sottostante ad una rapace ingegneria finanziaria (mutui, derivati ecc.) come è avvenuto in questi ultimi trent'anni. Si tratta di decidere se le persone/famiglie sono titolari di diritti di cittadinanza, oppure sono indistinti soggetti sociali, forzatamente coinvolti in vicende economiche e finanziarie di cui non hanno alcun controllo, alcuna cognizione e di cui subiscono le peggiori conseguenze, come sta avvenendo da troppi anni a questa parte e con particolare virulenza in questo momento.

La discussione di questi temi è avvenuta nel “palazzo del governo”, un luogo che in questo momento rimanda fatalmente ad un contesto di vicende nazionali, di cui sono protagonisti uomini di potere, il cui rispetto per la legge varia secondo le convenienze personali (De Gennaro, Lupi tanto per citare solo i responsabili politici). Pertanto è stato davvero difficile non cogliere in quell'avvertimento, “attenti a non premiarle”, un grottesco immiserimento del ruolo di chi lo ha pronunciato. L'assessore ai Servizi Sociali, i funzionari di enti pubblici e privati che erano presenti, lo hanno confermato, tacendo. Trattandosi di rapporto tra potenti e povera gente, qualche dubbio, qualche umana esitazione, li avrei apprezzati.

In realtà le famiglie “occupanti” sono da anni destinatarie, secondo le circostanze, di indifferenza (sono escluse dalle graduatoria dell'emergenza), di atti ostili (intimazioni di sgombero da parte dei Sindaci). Anche gli atti dovuti, agli sportelli del Comune, sono concessi con infinite riserve. La legge Lupi/Renzi in vigore da agosto del 2014, conferisce forma legale a questo orientamento, con un articolo che criminalizza le “occupazioni”, vietando l'iscrizione anagrafica e l'allacciamento delle utenze. E' vero che questo insieme di relazioni negative non è ancora sfociato in brutali azioni di sgombero, ma ha fatto funzionare quel possibile esito come una minaccia, come un dispositivo per rimandare all'infinito qualsiasi soluzione.

Questo spiega perché nessuna chiamata di responsabilità sociale, di voglia di decidere insieme, è venuta dall'Amministrazione. Dall'assessorato ai servizi sociali, solo atti notarili. Da quella parte non è venuto nessun tentativo di condividere con quelle famiglie, il progetto che le stesse famiglie andavano realizzando. Ora, a distanza di anni, quel progetto, tra le difficoltà che si hanno in un campo assediato (in via Orfanotrofio non è possibile rinnovare i contratti delle utenze), costituisce un cantiere aperto di socialità, di domiciliarità, di ricomposizione di legami sociali, di buon uso di edifici altrimenti destinati all'abbandono. Si tratta dell'annuncio di un diverso declinare del diritto alla città, protagonisti i cittadini non solo il partito del mattone.

Questo progetto, moltiplicato su tutto il territorio nazionale, da una molteplicità di soggetti in “movimento”, che si riconoscono nello slogan “una sola grande opera: casa, lavoro, dignità”, acquista senso compiuto in un diverso ordine del discorso. E' questo ordine del discorso che l' amministrazione dovrebbe intendere. Altrimenti le occupazioni si moltiplicheranno, così pure le richieste di requisizione degli edifici vuoti e inutilizzati oltre un certo numero di anni. Non è una minaccia, è una semplice previsione che inizia ad avverarsi. Proprio in questi giorni il sindaco di Cosenza ha requisito un edificio occupato da molte famiglie (novanta persone).

Perché tutto il resto sono chiacchiere. Oppure è il tentativo di ridurre il danno, con denari pubblici (fondo morosità incolpevoli, fondo avvio alla locazione, Agenzia casa), pagando alla proprietà morosità e tasse, senza distinguere tra piccola e grande proprietà (società immobiliari, come in salita al Fortino, banche come in strada Volta), nell'attesa che tutto torni come prima della “crisi”. Oppure è il tentativo di rimettere in moto il mercato immobiliare, con i redditi del ceto medio impoverito, nella forma del social housing.
Essendo quelli modesti e precari, di una fascia sempre più ampia di popolazione, ormai fuori mercato. Per questi cittadini fuori mercato, spogliati di diritti, che incarnano il peggio delle politiche abitative del governo e degli enti subordinati, l'amministrazione prepara nuovi centri di accoglienza (l'Oasi). Con la benedizione della Caritas, che almeno non rinuncia, nelle sue espressioni nazionali, a reclamare una buona politica, per evitare che la sua efficiente filantropia si trasformi alla lunga in conferma della presente ingiustizia.