Asti e il Dendroclasta

di Daniela Grassi.

Ho controllato con una breve ricerca e pare che in italiano il termine non esista.
Però a me è sorto dal profondo qualche giorno fa, quasi un neologismo spontaneo, e propongo di inserirlo nel dizionario partendo da esempi concreti, legati alla nostra attuale vita di cittadini astigiani ...

I portoghesi ci avevano già pensato; saranno particolarmente sfortunati o sensibili e la parola è dendroclastia (definizione: desrespeito pelas árvores ou indiferença em relação à sua preservação), da cui l’aggettivo dendroclasta  (definizione: que ou aquele que maltrata as árvores, que as derruba.)

Ad Asti da qualche tempo il Dendroclasta imperversa e si concretizza in una o più misteriose squadre di uomini forzuti dotati di motoseghe, i quali passano e abbattono alberi, indiscriminatamente, in un’area stabilita.
Non selezionano, non scelgono: questo sì perché è malato e costituisce pericolo, quest’altro invece può restare. No, perché l’ordine viene dal Dendroclasta, quest’entità oscura, e loro sterminano e abbattono tutto ciò che trovano.

E’ accaduto un paio di mesi fa accanto all’ospedale Cardinal Massaia (il Dendroclasta forse sbeffeggiava e minacciava sadicamente gli alberelli del Giardino della salute, tremuli e appena messi a dimora appena al di là di una trasparente recinzione?) e la scorsa settimana nell’area per fortuna ben più circoscritta del tratto di via Giobert che da piazza Lugano, superate le antiche mura, arriva fino a via G. Testa.
Ci siamo incontrati di prima mattina: io scendevo e un signore saliva.
Entrambi guardavamo alla nostra destra un panorama completamente mutato. Là dove fino a ieri c’era una macchia ombrosa, fitta e disordinata, di alberi e cespugli, ora non c’era più nulla.
Nulla: orizzonte piatto e pelato.

Proprio questo mi ha detto il signore sconosciuto, quando infine ci siamo incrociati: “Non è rimasto niente.” e più sottilmente: “non c’è più ombra.”
Eh già: non c’è più ombra, perché non c’è più nulla di fisico che possa proiettarla.
Non che quella piccola boscaglia non andasse ridimensionata, curata e ripulita; ci ho spesso pensato passando, ma vedere il nulla, la luce cruda, il vuoto, una
micro - deforestazione là dove fino a ieri, da sempre c’erano ombra e fruscio di foglie, non può non dare un colpo allo stomaco, uno sgomento sottile.

Non sono esperta, esprimo solo il mio sentire che ho visto riflesso anche negli occhi del signore che mi veniva incontro, certo un sentire ingenuo e un po’ infantile: siamo quasi in estate, alberi e arbusti nel pieno della loro attività vegetativa, della loro vitalità.
Se dietro queste azioni non ci fosse il Dendroclasta, il patologico que maltrata as árvores, non si sarebbe potuta fare in un altro momento questa operazione? Non si sarebbe potuto ordinare senza brutalizzare, come si fa in un giardino e non in un Vietnam?

Ore dopo, risalendo per la stessa strada, in mezzo alla devastazione ho visto saltellare un merlo smarrito. Ho pensato ai nidi, a tutte le creature a cui gli alberi e gli arbusti di quel piccolo e poco nobile boschetto ingarbugliato e arruffato davano sostegno e rifugio.
Certo sono soltanto una sentimentale, ma mi si è stretto il cuore e mi sono chiesta quando e dove il Dendroclasta nelle sue varie declinazioni tornerà a colpire, fulmineo e arrogante, a capo della piccola orda di motosega munita, e se mai riusciremo a batterlo sul tempo o ad intervenire nelle sue decisioni.

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