Referendum costituzionale: "Le ragioni del No"

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di Maurizio Bongioanni

Recentemente il presidente del consiglio Matteo Renzi è stato a Cuneo dove, in un teatro, ha messo in scena il ruolo del difensore della Costituzione. Con la campagna "Sì al referendum costituzionale" Renzi sostiene che la Costituzione va cambiata per semplificare la politica (abolendo il Senato, o meglio, risparmiare sulla sua elezione inserendo sindaci o rappresentanti delle Regioni) e alzare il premio di maggioranza per aumentare la stabilità politica.
Sul palco assieme al presidente del consiglio c'erano anche alcuni partigiani dell'ANPI. Mentre l'ANPI a livello nazionale appoggia la decisione contraria, ovvero il No, qui a Cuneo alcuni partigiani sono saliti sul palco insieme a Renzi per spiegare perché votare Sì...
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Questi appartenenti dell'ANPI cuneese sostengono infatti che "lo spirito della nuova legge elettorale punta a dare al paese maggioranze chiare e stabili evitando governicchi e maggioranze pasticciate e incoerenti". Una posizione non nuova, già nota a L'Unità (voce del partito PD) che ad aprile ne dava notizia tra le proprie pagine. Al fondo del suo comunicato stampa - già, non un vero e proprio articolo ma d'altronde  l'Unità è un organo di partito, non un giornale - tali sostenitori (senza scrivere nome e cognome) proponevano che "l’Anpi provinciale non aderisca al comitato per il no della provincia di Cuneo lasciando liberi i propri iscritti di schierarsi come credono".

In attesa che l'ANPI di Cuneo faccia chiarezza sulla propria posizione - al momento infatti nessuno ha detto o scritto nulla - mi permetto di citare alcune ragioni del no riportando l'analisi di un piccolo libricino che in 52 punti chiari spiega perché la Costituzione non vada modificata. Il libro in questione si chiama semplicemente "Le ragioni del no" e lo ha scritto Duccio Facchini di Altreconomia.
Non riporteremo ovviamente tutti i punti (per leggerli vi consigliamo di comprare il libro) ma ci limiteremo ai punti fondamentali (in corsivo riportiamo pari pari le parole del libro).

- In primis: in caso di vittoria dei Sì, grazie all’abnorme premio di maggioranza concesso dall’Italicum alla Camera, tutti i poteri saranno concentrati nelle mani di una sola forza politica (anche con un consenso molto limitato) e del suo leader: questo modifica – di fatto – la forma di governo, passando da una democrazia parlamentare a una “democrazia plebiscitaria” o “di investitura”.

- Inoltre il Senato non sarà affatto abolito ma sarà trasformato in un ramo del parlamento non eletto dai cittadini né realmente rappresentativo dei territori. I senatori (sindaci già eletti nei Comuni o rappresentanti delle Regioni) si divideranno tra le istituzioni locali e quelle nazionali, rischiando di fare male una e l'altra funzione. Tra l'altro a questi senatori-sindaci sarà estesa l'immunità parlamentare.

- Passando all'iter della riforma costituzionale, la costituzionalista Lorenza Carlassare ha ricordato che questa riforma è una proposta di brevissimo respiro: le sue previsioni rispondono infatti a valutazioni contingenti, di mera tattica politica che hanno in mente solo lo scenario attuale, mentre le Costituzioni sono fatte per “durare nel tempo”, adattarsi a situazioni politiche difformi.

- Il testo poi, come è stato più volte ammesso, è mal scritto e poco comprensibile persino agli addetti ai lavori: una riforma nata per semplificare ha come paradosso quello di aver prodotto nel caso dell'articolo 70 una legge di 438 parole contro le 9 del dettato precedente. Tullio De Mauro, linguista, ricorda che nel caso della nostra Costituzione, quella vigente e che si vorrebbe cambiare, era stata nominata una sottocommissione per riguardare la lingua usata. I testi furono visti e rivisti. Invece in questo caso si riducono le tematiche sulle quali le Regioni possono legiferare e allo stesso tempo si parla di una Camera rappresentativa delle "istituzioni territoriali". Mentre al governo viene riservata una "clausola di supremazia", cioè il potere di intervenire anche in materia non di propria competenza.

Dal punto di vista tecnico sottolineiamo: 

- La partecipazione popolare non viene ampliata, nonostante gli annunci del Governo. Le firme da raccogliere necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare infatti triplicano, passando da 50mila a 150mila.
- Con il sistema elettorale “Italicum” può governare chi ha ottenuto solo il 25% (o anche meno). Il voto del 75% dei cittadini che hanno votato altri soggetti politici “vale” tre o quattro volte meno del voto degli elettori del partito che conquista il “premio”. Un grave discrimine tra gli elettori.
- Il Parlamento sarà composto in maggioranza da non-scelti: grazie al combinato dei 100 capilista bloccati previsti dall’“Italicum” e delle candidature plurime, il Parlamento sarà composto per il 60% da deputati che non sono stati eletti tramite preferenze ma nominati dai partiti

Dal punto di vista propagandistico è bene sapere che:
- È falso che la Carta “attenda una riforma da 70 anni”: è bene ricordare che le leggi costituzionali di modifica sono state già 16. L’ultima, nel 2012, senza passare attraverso il referendum
-Il Senato non “costa 1 miliardo”. In realtà, nel 2015 la Camera alta ha “speso” 540,5 milioni di euro
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I promotori della riforma hanno più volte tentato di falsificare la storia e di appropriarsi del pensiero altrui: ad esempio arruolando Enrico Berlinguer o Pietro Ingrao tra i sostenitori del “Sì”.
- “Se vince il no avremo governi instabili”: i toni (allarmistici e infondati) utilizzati dal Governo in carica sono identici a quelli impiegati dal centrodestra durante la campagna referendaria del 2006
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Un altro artificio retorico è il “mito” della governabilità: i fautori della riforma rivendicano l’esigenza assoluta della governabilità sostenenendo che “il Parlamento blocca l’attività del Governo”. Ma l’82,1% delle leggi approvate nella XVII legislatura (iniziata il 15 marzo 2013) è partito dall’esecutivo e in ben 52 casi sui Ddl governativi è stata posta la fiducia. Nella XVI, 2008-2013, la quota è stata del 76%.

Insomma, in attesa di sapere come la pensa l'ANPI, qui c'è un po' di materiale per approfondire la questione. Sperando che possa tornare utile quando si andrà a votare (già, quando di preciso, ancora non lo sappiamo).