No rain, no truffle

di Maurizio Bongioanni.

In centro ad Alba c'è un'osteria. Si chiama "Osteria dei sognatori" e durante la Fiera del Tartufo ha esposto una lavagna esterna con su scritto "No rain, no truffle". Che di tartufo quest'anno non ce ne sia lo hanno già detto in tanti, inutile ripetersi. Ma la Fiera del Tartufo va avanti, vendendo quel poco che la terra offre (e pure a prezzi esorbitanti). Naturalmente è utopico - anche solo - pensare che la Fiera si fermi un anno a riflettere sugli ormai chiari a tutti effetti del riscaldamento globale. Ma sognare non costa nulla ed è l'unica cosa che ci rimane da fare ... 

{jcomments on}Allora sogno un'amministrazione coraggiosa che dica: "Quest'anno non ci interessano gli introiti economici ma vogliamo lanciare un monito per le generazioni correnti: dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere, spostarci e consumare risorse perché, come vedete, non c'è più tartufo. Sul tartufo abbiamo creato un impero commerciale, eppure questo rischia di sgretolarsi con la stessa velocità e senso di meraviglia con cui si è venuto a creare. Insomma, fermiamoci un attimo a riflettere". 

Ripeto: assurdo, utopico, magari pure controproducente dire questo. Eppure queste parole immaginarie contengono una verità: per troppo tempo non ci siamo presi cura del nostro territorio, e questo ora ci sta chiedendo il conto. Abbiamo cementificato in ogni dove, il cemento ha sottratto al suolo il suo ruolo di equilibratore ambientale (come sapete il suolo assorbe diossido di carbonio, altrimenti fluttuante nell'aria) e abbiamo preferito i guadagni - sicuramente più facili - a breve termine di investimenti senza futuro. Oggi il tartufo, domani - chissà - la natura ci chiederà di ripagarla in vino. 

Inutile allarmismo? Forse sì. Ma la gente non è ancora abbastanza preoccupata del cambiamento climatico. E il vino segue, come il tartufo, il ciclo della natura. Quest'anno sappiamo tutti come è andata l'annata, lo dicono i numeri: meno vino, ma di qualità maggiore. Poco ma buono, sì, ma fino a quando? Certo, ci sarà (per sempre?) sicuramente qualcuno che comprerà quel poco di vino che le nostre secche terre saranno in grado di produrre: d'altronde c'è selezione economica, nel nostro mondo capitalista la legge del più forte è la legge del più ricco, e in un momento di crescente disuguaglianza i ricchi sono sempre meno ma sempre più ricchi. Il tartufo di quest'anno è rivolto a loro, come lo sarà il poco e pregiato vino del futuro. 

Maè giusto vendere il tartufo a questi ricconi? Scommetto che sono i primi a non preoccuparsi della Terra. Poi magari mi sbaglio ma propongo un'educazione al consumo che accompagni la vendita del tartufo, un messaggio del tipo "occhio perché quello che state comprando riflette in pieno il nostro comportamento sulla natura. Quindi abbiatene cura, non solo del tartufo, ma di voi, e di conseguenza, di noi".

 

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