La testimonianza di Taty Almeida, madre de Plaza de Mayo, ad Alba

Sono Taty Almeida, ho 3 figli di nome Jorge, Alejandro e Maria Fabiana. Sono una Madre de Plaza de Mayo, Linea Fundadora. Alejandro aveva 20 anni quando fu sequestrato dal regime dittatoriale: faceva il primo anno di medicina e lavorava (per scelta). Alejandro è uno dei 30mila desaparecidos d'Argentina e lo fecero sparire per la sua militanza politica. Non ho paura di dire la parola "militante" (in Argentina molti, quando parlano di desaparecidos, pensano 'qualcosa avrà fatto') perché militante è colui che si occupa dell'altro, in un rapporto di fratellanza e reciprocità ...

A quel tempo Alejandro e Fabiana vivevano con me ma io ignoravo la militanza di mio figlio: lui non mi raccontava nulla. Poi capii che lo faceva per proteggermi e per non darmi preoccupazioni. Era il 17 giugno del 1975, ancora prima del colpo di stato, quindi eravamo ancora - in apparenza - in epoca democratica perché lo stato autoritario fu dichiarato nel marzo 1976. Parliamo di un colpo di stato civico (perché molte aziende, tra cui quelle occidentali come la Fiat, la Mercedes, hanno fatto i propri interessi),  clericale (perché la cupola cattolica è stata completamente complice) e militare (il braccio armato della dittatura).

Quel giorno Alejandro, uscendo di casa, mi disse che non sarebbe andato a lavorare perché aveva un esame: sono state le ultime parole che ho sentito da parte sua. Non rientrava più a casa e io mi preoccupai. Di solito quando stava via a lungo mi lasciava sempre un messaggio, ma quella volta no. Andai così in camera sua, a vedere se mi aveva lasciato un avviso e trovai un'agenda telefonica. Nelle ultime 24 pagine erano scritte 24 poesie. Scoprii, tra le altre cose, che mio figlio era anche poeta. Leggendole conobbi un lato di mio figlio che non conoscevo: il suo amore per una ragazza, il suo amore per gli amici, il suo odio per le ingiustizie. Poi una poesia rivolta a me. Come di commiato, di saluto. Alejandro sapeva che sarebbe stato ucciso. 

La mia famiglia ha una storia molto particolare perché ho molti parenti che hanno fatto carriera militare. A quel tempo seguivo poco la politica, ma mi consideravo peronista. Mai avrei pensato che proprio i militari, sotto un governo peronista, fossero i protagonisti di quei crimini. Io non mi unii subito alle madri in piazza, la cui prima manifestazione è del 30 aprile 1977. Io mi unii a loro solo nel 1980, perché avevo paura che mi ritenessero una spia (tante infatti erano le madri infiltrate che fornivano informazioni per far incarcerare altri ragazzi). Poi un giorno mi decisi e scesi in piazza anche io: fu una liberazione, la cosa migliore che io abbia fatto in vita mia. Capii che non ero da sola e che potevo condividere le mie speranze, le mie paure con le altre. In particolare c'era una delle madri, la vicepresidente del movimento, che mi chiese l'unica cosa che importava: "chi cerchi? chi ti manca?". Le raccontai tutto e fu una catarsi per me: piansi e le dissi 'come sono stata stupida a venire solo adesso'. Lei mi rispose 'che ogni madre ha bisogno del suo tempo' e il mio momento era arrivato.

Memoria, verità e giustizia: è questo quello che le madri de Plaza de Mayo chiedono tutti i giovedì in piazza, dal 1977 a oggi. Noi non vogliamo vendetta: vogliamo dare la possibilità alle persone incriminate di difendersi, con un avvocato, come prevede un sistema giuridico democratico. Cosa che ai nostri figli non è stata permessa. L'Argentina è l'unico paese a non aver avuto vendette ed è l'unico paese dove i militari sono giudicati da tribunali civili.

Ricordo ancora quella prima manifestazione delle Madri. L'idea nacque da una donna, disperata, che cercava suo figlio e organizzò un incontro. Fino ad allora le madri si rivolgevano agli avvocati, ai preti, alla polizia che invece di aiutarle raccoglievano informazioni e le passavano al governo militare. Quella madre propose di smetterla di fare questi tentativi a vuoto, ma di mettere insieme le voci di tutte le madri, reclamare pubblicamente tanto da farsi sentire da Videla. Così si trovarono in piazza ma lo stato d'assedio impediva assembramenti di più di 3 persone. I poliziotti si avvicinarono e ordinarono alle donne di spostarsi, di muoversi. Così le madri si misero a coppie, e iniziarono a camminare sul rotondo. Da allora, quella manifestazione, si ripete in quella forma tutti i giovedì, ancora oggi. 

Continuammo a chiedere giustizia anche dopo il 1983, quando tornò la democrazia, anzi in quegli anni eravamo ancora di più. Una cosa bellissima da un lato, ma dall'altra una cosa tremenda, perché significava che erano tanti i desaparecidos. Solo allora capimmo e iniziammo a chiamarli così. Eravamo ancora ingenue: tante speravano che i propri figli fossero detenuti in attesa della scarcerazione. Per questo alla richiesta di giustizia, affiancammo la memoria, per evitare il rischio che succedesse di nuovo.

Sotto il governo Alfonsìn venne costituita una commissione d'inchiesta con il risultato che tra obbedienza assoluta e punto final, passò la linea dell'amnistia sotto il governo successivo, quello di Menem. Nessun responsabile venne condannato per la morte di 30mila persone. Poi arrivò il governo di Nestor Kirchner: badate, non lo dico per ragioni politiche, ma il suo è stato l'unico governo che non solo ci ricevette, quello lo fecero anche gli altri, ma l'unico che ci ascoltò e che pose i diritti umani al centro di una legge di stato. Succedeva nel 2003: nel 2006 arrivarono le prime sentenze di ergastolo. Con il governo di Nestor e con quello di sua moglie dopo, passammo 12 anni di tranquillità, dove vedemmo la nostra battaglia trovare finalmente accoglienza.

Ma ora è tornato un periodo buio. Non posso dire che Mauricio Macrì non sia stato eletto come governo costituzionale, però non posso nemmeno dire che sia un governo democratico, non confondiamo elezioni costituzionali con democrazia, perché da quando c'è lui tutti i giorni i diritti umani vengono costantemente violati, dalla salute all'istruzione, dal diritto della casa a quello del lavoro. Inoltre Macrì ha dichiarato pubblicamente che per lui i numeri dei desaparecidos sono stati gonfiati per ottenere dei risarcimenti.

Nonostante l'Argentina abbia perso lo stato di diritto acquisito pienamente negli anni precedenti, noi possiamo dire che non ci hanno vinto, che noi linea fundadora e le abuelas, siamo sempre di più e che continuiamo a reclamare i nostri diritti. Non ci sentiamo vecchie: la nostra è tanta giovinezza accumulata. Non abbasseremo mai le braccia e stiamo passando il nostro testimone ai giovani. La nostra vitalità è meravigliosa, e contagiosa, e se sono qui a parlare davanti ai giovani e all'estero, significa che questo fuoco rimarrà sempre acceso..

 

Taty Almeida ha 89 anni. Questa testimonianza è stata raccolta durante l'incontro pubblico organizzato ad Alba, il 9 aprile 2019, in una sala Riolfo gremita di gente. Alla fine dell'incontro Taty ha regalato una copia del suo libro dedicato ad Alejandro all'assessore Fabio Tripaldi, il quale ha scelto di destinare il libro alla biblioteca comunale così che tutti lo possano leggere. Una testimonianza da prendere come spunto, per un paese, qual è l'Italia, sotto anestesia politica. Un ringraziamento, oltre agli organizzatori, va a Ugo Zamburru, che ha tradotto l'intera serata. 

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