Un ultimo saluto a Vittorio Delpiano, cioè a Toio dell'Alta e Altra Langa

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In questi giorni si stanno moltiplicando le parole di commiato e di ricordo legate alla figura di Toio Delpiano, prete operaio, artigiano fine, uomo profondo che ha appena abbandonato la sua esistenza terrena lasciando un impronta che rimarrà indelebile. Abbiamo raccolto, tra i tanti ricordi, tre brevi lettere che forse potranno aiutare i pochi che non lo hanno conosciuto a farsi un'idea di questo grande personaggio...


Ho diviso la mia infanzia fra la Val Maira e San Benedetto Belbo. Proprio lì, nella vecchia scuola del paese, venivo in gita con l’Estate Ragazzi della Parrocchia del Duomo di Alba. Per cui ho imparato ad amare quei luoghi fin da piccolo. Ne ho scoperto una magia, un senso, un profumo che mi ha pervaso le ossa fin dall’adolescenza.
Ricordo i giochi notturni, le prime cotte da batticuore e l’emozione di stare insieme in semplicità con gli amici. Quell’atmosfera unica di vivere insieme e di dormire sotto lo stesso tetto.
Per me San Benedetto Belbo era un posto del cuore prima ancora di conoscere Toio.
Iniziavo ad intuire come mai fosse un luogo fenogliano. Perché era un posto dell’anima e dello spirito.
Toio l’ho conosciuto nel 2004.
Giravo un piccolo cortometraggio per la scuola e una mia compagna di classe di Bossolasco mi disse che c’era una persona a San Benedetto Belbo che avrebbe potuto ospitarci per i giorni necessari alle riprese.
Rimanemmo 4 giorni da lui. Toio e Lorenzo mi accolsero da a prescindere. Fui subito folgorato da quel modo e da quello stile di vita.
Ricordo qualche anno dopo, quando tornai per girare un altro lavoro, la sorpresa di mia madre che un giorno, venendoci a trovare, trovò tutto aperto, ma senza nessuno in casa.
I miei genitori quel giorno avevano portato dei sughi fatti in casa e del vino. E proprio in quel momento arrivò una signora.
Non ricordo chi fosse. Ma aveva una torta appena fatta in casa che appoggiò sul tavolo della cucina.
E disse loro: “Qui è così. Chi ha bisogno, può venire a prendere. Chi può, porta qualcosa”.
E’ stato l’inizio di una profonda amicizia. Per me Toio è stato come un fratello. Un fratello maggiore che mi ha insegnato l’essenza della vita.
Negli anni sono tornato spesso a San Benedetto Belbo.
C’era sempre un posto per dormire, un piatto con qualcosa da mangiare e tante discussioni da fare insieme.
Anche io, nel mio piccolo, venivo per cercare l’ispirazione. Per cercare qualcosa.
Con Toio spesso si parlava di film e delle sue sceneggiature. Perché Toio sapeva far tutto.
Mi piaceva la sua visione di quel Gesù di cui era profondamente innamorato. Mi toccava il fatto che quel “Don” non se lo vedesse bene addosso, perché “Don” mi aveva spiegato, per lui era solo Dio.
Lo sentivo critico nei confronti di quella Chiesa da cui si sentiva sempre molto distante, eppure in cui sapeva stare dentro. A suo modo, a sua maniera.
Oggi finisce un’era. Oggi qui a San Benedetto Belbo si conclude un’epoca.
Per la quale credo avremo tutti a ringraziare in eterno, per averla vissuta e incontrata nella nostra vita.
Toio non c’è più.
L’ultima casa senza chiavi delle Langhe perde il suo custode più prezioso.
Eppure oggi, rimaniamo noi.
Proprio a questo pensavo in questi giorni.
Rimangono Giovanni e Graziella che proprio dietro a casa di Toio hanno costruito un altro bell’angolo di Paradiso e hanno trasformato la scelta coraggiosa di vivere in un modo diverso i nostri giorni, in un esemplare percorso di vita.
Rimangono Ivo e la sua bella famiglia in cui vedo lo spirito della Terra, della tradizione, del profondo rispetto per la natura e per la vita.
E rimanete tutti voi che con la luce della casa di Toio avete illuminato i vostri passi e le persone che avete accanto.
Tutti abbiamo preso un pezzettino di quella vita straordinaria e coraggiosa.
Perché le scelte di Toio lo sono state davvero.
Dove troveremo oggi un’altra casa pronta ad ospitarci in qualunque momento, chiunque ci si presenti davanti?
Dove troveremo ancora porte che non conoscono chiavi?
E ancora un pasto caldo, un letto in cui dormire?
Dove troveremo ancora una casa slegata dall’economia e dal denaro?
Solo Toio insieme al buon Lorenzo ha avuto il coraggio che serve per donare così tanto.
Toio lo sapeva. Non stiamo andando incontro a tempi facili.
Su questo il suo pensiero era molto fermo. Come sempre, non le mandava a dire.
Anche questo virus è solo la prima di tante ben più difficili battaglie a cui saremo chiamati.
E allora proprio qui, a San Benedetto Belbo, dove dimora una fiamma di speranza permanente, in questo luogo di lotta partigiana e di ispirazione fenogliana; qui, dove Toio ha costruito un piccolo paradiso in terra slegato da tutte le logiche di quest’epoca moderna dalle quali anche noi facciamo fatica a slegarci; qui alla fine di un’epoca, a noi che rimaniamo, va l’augurio più grande.
Oggi è il tempo in cui smettiamo di imparare da Toio, ma dobbiamo iniziare a mettere in pratica quello che abbiamo visto fare a lui.
Che San Benedetto Belbo rimanga un luogo di lotta, dove un mondo diverso possa ancora essere possibile.
Che questo sia sempre un luogo a cui tornare.
Che ci possa insegnare a staccarci dal materiale di cui viviamo.
Un posto dove una luce, anche nella più buia delle notti, sarà sempre accesa.
Toio ci lascia in eredità un percorso iniziato tanti anni fa.
L’augurio è che adesso che lui se ne è andato, possiamo trovare la forza e il coraggio di dar voce e vita a quell’esperienza che tanto ci ha dato.
Caro Toio, vecchio amico, la morte, diceva qualcuno, è solo un’altra via. Dovremo prenderla tutti un giorno.
Ci incontreremo ancora. 
Hai voluto andare avanti tu per farci trovare, quando sarà il momento, un’altra casa aperta, un altro pasto caldo e un posto dove ritrovarci e stare nuovamente insieme.
Buon viaggio amico mio e tanti tanti auguri a tutti noi.
Emnauele Caruso.

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Caro Toiu, ho appena saputo che ci hai lasciati. Per un momento mi son passati nella memoria quegli undici anni trascorsi insieme in seminario, in un periodo straordinariamente ricco e intenso della nostra Chiesa albese (1960-'71). Dall'esterno gli stimoli del Concilio e dall'interno la luce di grandi maestri come Bussi, Vigolungo, Boero e Lisa. Ad un certo punto sei stato trapiantato sull'Alta Langa a vivere la tua missione di monaco, prete, operaio. Hai poi trovato a San Benedetto i ruderi di un vecchio monastero che ti inviarono a ricostruire. Lo hai rinnovato con le tue mani e là hai potuto ospitare la tua comunità, punto di riferimento per tante persone che avevano bisogno di orientare la propria vita e approfondire la propria fede.
Da San Benedetto avevi ereditato il "prega e lavora" che in te era diventato preteeoperaio. La preghiera che nutriva te e gli altri, che facevano riferimento a te, era quella della Bibbia, mentre il lavoro in te aveva una infinità di risvolti e le mani callose lo rivelavano: trasportatore su strade nazionali, muratore, contadino, idraulico, apicoltore, botanico e iconografo.
Toiu, tu eri tutto questo ma non ti esaurivi in nessuna di queste attività: la tua identità di prete era quella del prete operaio che il Concilio aveva ispirato come una indicazione concreta per uscire dalle canoniche e dalle sacrestie e immergersi tra la gente, per umanizzare il mondo senza mai diventare del mondo.
Sempre molto concreto, con i piedi per terra e di una disponibilità assoluta. Ti spostavi tra le parrocchie dell'Alta Langa dove c'era bisogno, senza alcuna pretesa se non quella di poter essere utile. Sapevi farti a pezzi per gli altri offrendo il tuo tempo, il tuo lavoro, il tuo ministero e da ultimo anche la tua salute.
Prega per noi affinché non ci addormentiamo prima della morte.
D. Renato Rosso, compagno di Seminario

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Vittorio Delpiano era un prete, ma era anche un artigiano, ma era anche un profondo conoscitore della natura delle Langhe, dell’Alta Langa, quella di San Benedetto Belbo, dove viveva. Furono i coniugi Ricchiardi, che vivono a poca distanza da lui, a farmelo conoscere e a convincermi che in un libro sulle persone dell’Alta Langa lui non poteva mancare.
Ma mi avvisarono anche che non aveva una gran voglia di parlare di sé, men che meno di farsi fotografare. In realtà, ci trovammo subito in sintonia, e accettò di buon grado di farsi intervistare per "Lontano da Farinetti", il libro in cui confluivano le testimonianze di personaggi di varia estrazione e cultura, ma tutti lontano dal mondo ricco e artificiale della Bassa Langa.
Fu così che il burbero Toio (o “Toiu” alla piemontese, come era conosciuto Vittorio Delpiano in tutta la Langa e non solo) si aprì e mi parlò di come nacque la sua passione per i muretti a secco: fu negli anni Ottanta dello scorso secolo e c’era da recuperare una foresteria del 1600 (che poi divenne casa sua) e tanti muri e muretti a secco tutto intorno. Lui acquisì la competenza da un anziano del luogo, gli piacque e divenne uno dei massimi esperti di questa antica tecnica in Italia e non solo. Ma questa non era la sua unica passione, c’era anche quella per le specie arboree, visto che entro cinquecento metri da casa sua si trovavano tutte le specie vegetali delle Langhe, favorite anche dal microclima creato dal torrente Belbo.
Una passione fine a se stessa? No, certo, non era da Toio, persona molto pratica. Cominciò a raccogliere e catalogare con infinita pazienza e competenza esempi di quei legni e il tutto confluì in una xiloteca, ospitata in una delle stanze a pianterreno della foresteria, una stanza sempre aperta perché la cultura, la conoscenza doveva essere accessibile a tutti.
Quando lo intervistai nel 2018 erano 126 gli alberi e arbusti catalogati. Io pensavo che fine avrebbe fatto questo tesoro alla sua dipartita…
“Sì, va bene tutto, ma Toio, tu hai tempo di fare anche il prete?” Sì, ce l’aveva, ma con una notevole sofferenza nel cuore: “Come prete, secondo me il Cristianesimo è morto, rimangono le rappresentazioni, ma il significato esperienziale è perso”. Del resto: “Sta prevalendo un modello assai disumano di vita, che mira al profitto, all’arricchimento fine a sé stesso”. Quando il libro fu edito, ci trovammo tutti, ovviamente a casa sua: chi se non lui avrebbe potuto mettere a disposizione la sua casa? Fu una giornata di amicizia e di festa.
Dopo lo incontrai ancora una volta che andai a incontrare Leonardo Marengo, che abita a due passi da lui. Era molto meno burbero. Mi confidò che il muretto a secco che Leonardo stava erigendo secondo lui non sarebbe durato, e sorrise.
Toio se ne è andato nella notte di venerdì. Il funerale non potrà essere celebrato in chiesa perché ci saranno troppe persone.
Fabio Balocco