Non sta andando tutto benissimo, nelle Langhe. Di cemento, diserbo e altre storie

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di Paolo Casalis.

Premessa.
Non amo parlare male di quella che considero la mia terra, anzi.
Alle Langhe ho dedicato interi documentari (e qui su Intravino lo sappiamo bene, ndr), ne ho parlato (bene) con centinaia di turisti, ci ho scritto sopra una Guida, insomma mi vanto del mio minuscolo ruolo nella promozione del territorio.
Quando però c’è qualcosa che non va bisogna dirlo, serve a poco mettere la testa sotto terra come fanno gli struzzi. (Loro almeno uno scopo ce l’hanno: diventando simili a cespugli, confondono i predatori. Ma noi?)

Chi scrive è un appassionato ciclista, e anche in questi mesi di lockdown ha sempre avuto la fortuna di pedalare in lungo e in largo per le colline delle Langhe. Partiamo da ciò che funziona.
Abbiamo un territorio fantastico, che attira (e attirerà) i turisti per la sua bellezza.

Vorrei dettagliare questo punto, perché a quanto pare non è del tutto chiaro ai suoi abitanti: i turisti non vengono qui per i vini o per il tartufo, perché nei migliori ristoranti di New York o Hong Kong possono trovare esattamente gli stessi vini, e più o meno gli stessi tajarin al tartufo. E neppure vengono per i nostri alberghi e resort con piscina. Sono bellissimi, ma fanno ridere in confronto a ciò che si può trovare all’estero – o anche solo in altre regioni d’Italia – nella categoria extralusso.

Chi viene qui lo fa per la bellezza del territorio, per quel fascino fatto di un fittissimo tessuto sociale e produttivo (quello sì, non ripetibile) di piccole cantine, produttori artigianali, osterie, chef, contadini,. Un terroir, insomma, qualcosa di caratteristico, unico e inimitabile.

Ma forse il concetto non è ben chiaro, o forse non amiamo troppo i turisti, e i loro soldi. Altrimenti non mi spiegherei perché ci mettiamo tanto impegno nell’allontanarli. Nelle ultime settimane ho scattato decine di foto come quelle che vedete in questo pezzo, ma avrei potuto farne altre 1000, o più.

Non si può non partire dal cemento. Lo so, è un discorso pericoloso, chi lo fa rischia di passare immediatamente per passatista, conservatore, reazionario, noioso. Chi dice certe cose è additato come la Cassandra di turno, il pessimista, il bastian contrario, il comunista, il pauperista.

Pazienza, mi prendo tutti questi ruoli.

Ogni anno in Langa nascono decine di cantieri, e non si tratta solo di villette a schiera, anzi. Ogni anno decine di produttori (non sto esagerando) decidono che la loro vecchia cantina non è più sufficiente. Non credo sia una questione di ettolitri di vino prodotto, visto che i numeri del Barolo e degli altri grandi vini da anni sono sostanzialmente stabili.

È più una questione di ego: servono volumi più grandi per contenere un ego più grande. E va bene, ci sta, è umanamente comprensibile, e poi in fondo è un miglioramento, è il progresso.

Il problema è che per ogni cantina “a impatto zero” (Elio Grasso, tanto per citare un esempio classico, l’invisibile caverna di Batman) ce ne sono decine con un impatto disastroso, per non parlare dei cantieri decennali, e delle grandi incompiute….

Non mi va di fare nomi. E poi sarebbero troppi, si va dal piccolissimo produttore a quello famoso la cui cantina mastodontica a breve dominerà le Langhe dall’alto, come da una plancia di comando.

Da rivaleggiare con Antinori, ma non esattamente ciò che cerca il turista che viene in Langa, se ricordate quanto scritto poche righe sopra.

Poi ci sono gli altri cantieri: quelli enormi, come l’autostrada Asti-Cuneo, che nel disinteresse generale pare avviarsi verso la soluzione più impattante, anziché pensare ad una galleria.

E quelli più “piccoli”, le zone industriali che continuano ad allargarsi, i capannoni che ormai occupano ogni fazzoletto di fondovalle, ma anche le creste dell’Alta Langa. Chi siamo noi per venire esclusi dal progresso, sembrano dire con una sola voce i paesi delle Langhe (e del Roero), chi siamo noi per negarci una manciata di capannoni? Loro sì, e noi no?

L’errore è sempre la stesso: vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca. Vogliano i turisti americani che si siedono nei ristorantino e ordinano bottiglie di Conterno da 300€, ma vogliamo anche avere una piccola zona industriale, mica siamo contro il progresso, noi!

E poi c’è il vino, meraviglioso vino, guai a chi ce lo tocca!

Peccato che a volte sarebbe meglio non vedere come viene fatto! Peccato che una piccola percentuale di produttori (che nelle zone più “nascoste” e in quelle meno pregiate non è neppure tanto piccola) continua a fare largo uso dei diserbanti e della chimica.

Neppure le zone più pregiate sono indenni: Ravera, Bordini, Santa Maria, l’elenco sarebbe troppo lungo, né quando vado in bici di primavera posso fermarmi a fotografare ogni vigna diserbata, sarei sempre con il piede a terra.

E non parliamo dei noccioleti, lì ti viene proprio voglia di bandire le creme e le torte di nocciole dalla tua dieta personale!

Ma i turisti non sono scemi, hanno gli occhi anche loro. Peraltro il turismo – soprattutto quello del vino – è cambiato, e oggi chi visita le Langhe cerca esperienze, non solo bottiglie. Vuole entrare in vigna, vuole toccare con mano, sporcarsi le scarpe.

Aspettiamo che siano loro, a farci notare queste cose? Temo che quando accadrà sarà ormai troppo tardi.

Temo che, se continuiamo così, nelle Langhe non andrà tutto bene.

Pubblicato su Intravino.it