Italia Nostra: la soluzione per fare bene l'Asti–Cuneo esiste

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di Adriana Elena My, presidente del consiglio regionale di Italia Nostra Piemonte.

Sull’Autostrada Asti-Cuneo da più di trent’anni si spendono parole, articoli di stampa, interventi di personaggi della politica, dell’economia, della società civile. Tutti esprimono opinioni, divulgano notizie più o meno attendibili, denunziano ritardi o inadempienze, propongono soluzioni, plaudono ad una ormai prossima ultimazione...

A giudizio degli addetti ai lavori, è noto che si tratta di un’opera sbagliata sin dall'inizio e le conseguenze dell’errata impostazione iniziale hanno prodotto un tracciato cervellotico non rispondente alle esigenze del territorio; un’infrastruttura dimensionata per un flusso di traffico di oltre 26.000 veicoli/giorno, ben al di sopra delle previsioni e, alla luce dei fatti, rispetto alle reali necessità, con un Piano Economico Finanziario bisognoso di continui aggiustamenti, tali da portare al lungo blocco dei lavori.

Italia Nostra, attraverso l’adesione all’Osservatorio per la Tutela del Paesaggio di Langhe e Roero, da molto tempo segue le vicende della AT-CN, avanzando proposte costruttive di soluzioni, in nome e per conto della società civile del territorio, cercando anche continuamente il dialogo con i referenti del progetto di completamento, al solo scopo di ottenere un completamento più funzionale per i residenti e per gli utenti e per assicurare al territorio UNESCO, nel cui ambito ricade l’ultimo tratto il minor danno ambientale e paesaggistico.

Infatti, il tratto di percorso dell'AT-CN da Cherasco ad Alba si trova nella “buffer zone Langhe del Barolo” ovvero una zona tampone immediatamente adiacente ad un’area tutelata dall’Unesco e che deve garantire un livello di protezione aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità. Inoltre, in prossimità del luogo ove verrebbero costruiti gli impalcati, non previsti nel progetto originale(!), vi è il complesso monumentale e territoriale, riconosciuto dall’UNESCO come “Residenze Sabaude” denominato “Complesso Carloalbertino di Pollenzo”.

I viadotti che si andrebbero a costruire per terminare l'autostrada AT-CN passerebbero molto vicini alla cinta muraria del castello di Pollenzo, con grave e irreversibile danno al paesaggio e agli edifici storici in esso compresi.

Oltre alle beffe di un progetto sbagliato, dovremmo subire anche un danno irrimediabile alla bellezza dei luoghi interessati. Non solo per il terreno sottratto all’agricoltura dal nastro di asfalto (circa 200 ha di terreni coltivabili e/o destinati all’allevamento di bestiame), ma anche per tutti i lotti divisi dall’infrastruttura che, per evidenti difficoltà di accesso, sono inesorabilmente destinati all’abbandono.

Gli abitanti delle Langhe e del Roero desiderano fortemente, come tutti, il completamento dell'opera, ma non vogliono l’adozione di una soluzione qualsiasi, non concepiscono che venga terminata peggio un’opera concepita e realizzata male. Vogliono una via di comunicazione che dia risposte ai reali bisogni del territorio e non consideri solo le esigenze di cassa del Concessionario.

Il nuovo tracciato esterno previsto (che costituisce comunque una variante rispetto al tunnel previsto nel progetto originario) deve ancora percorrere tutto il processo autorizzativo: dovrà essere giudicato positivamente alla VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica), divenuta obbligatoria a seguito dell’approvazione del Piano Paesaggistico Regionale (PPR) nel 2017. Il PPR precisa appunto che il riconoscimento UNESCO richiede politiche territoriali rivolte alla tutela del valore universale del sito (che considera già ferito dalla collocazione non appropriata del nuovo Ospedale) e colloca tutta l’area del lotto 2.6 nella cosiddetta “buffer zone” di zona di interesse Unesco.

Inoltre, mancano ancora:

1. Il Piano di tutte le Autorizzazioni richieste per l’intero lotto 2.6, incluse le pratiche in quanto aree in Buffer zone, debitamente correlato dal relativo cronoprogramma, dato che i tempi di completamento delle opere sono fortemente condizionate dai tempi di ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie;
2. Il Piano degli Espropri, di estremo interesse per i proprietari dei terreni attraversati dal nuovo tracciato all’aperto;
3. Il progetto dettagliato del sistema Free-flow, che consenta di capire chiaramente quali utenti potranno beneficiare della gratuità del tratto percorso e quali dovranno pagare il pedaggio e in quale misura;
4. L’elenco ufficiale delle opere complementari incluse nel progetto;
5. L’assicurazione che tutte le Valutazioni (VIA, VAS, ecc.) da implementare per giungere alla fine del processo autorizzativo siano eseguite raffrontando le due soluzioni in gioco per il lotto 2.6.b, in galleria e all’aperto, con approfonditi bilanci costi-benefici per ognuna di esse, tali da fugare ogni dubbio sulla bontà della soluzione adottata.

Inoltre il recente documento della Commissione Europea del 12.2.2021 C(2021) 1054 “Orientamenti tecnici sull’applicazione del principio DNHS cioè “non arrecare danno significativo” a norma del regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza, afferma che la VIA e la VAS non sono più sufficienti per giudicare le criticità ambientali, ma occorre anche verificare se l’opera in esame possiede i requisiti DNSH.

Si deve inoltre considerare che il Ministero dei Trasporti aveva a suo tempo bocciato la soluzione all’aperto: dal verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi presso la sede del Ministero dei Trasporti il 7 febbraio 2002 emerge infatti che la campagna di indagini geognostiche svolte sulla collina di Verduno, volta ad analizzare la stabilità del versante interessato dalla progettazione, evidenziò come le problematiche di carattere geologico–geotecnico sarebbero risultate estremamente invasive dal punto di vista territoriale. Il versante in oggetto è infatti sede di una paleofrana. La formazione gessoso-solfifera posta sotto la coltre è sede di fenomeni carsici; ovvero si hanno a profondità compresa tra 10 e 40 m. numerose cavità, anche di dimensioni ragguardevoli (dell’ordine di alcuni metri) derivanti dalla dissoluzione dei minerali gessosi ad opera delle acque di circolazione idrica sotterranea.

A nostro avviso, quindi, la soluzione con il tracciato esterno non rispetta i requisiti previsti dalle norme nazionali ed europee.

Riteniamo che la soluzione per fare tutto per bene e rapidamente esiste: si tratta dell’ipotesi della galleria a due fornici con carreggiata ridotta che ha completato da tempo tutto il processo autorizzativo, concluso dopo lunghi anni di trattative e numerose Conferenze dei Servizi. Si risparmia suolo riducendo la carreggiata al minimo previsto dalle norme; si formalizza e sancisce la gratuità del percorso da Castagnito a Cherasco, a parziale ristoro del danno subito dalle comunità locali per l’utilizzo da parte dell’autostrada della viabilità esistente e per agevolare l’accesso al nuovo Ospedale; si realizzano le opere complementari già previste, necessarie per il territorio.

La disponibilità dei fondi del NextGeEU, non immaginabili in passato, potrebbe risolvere il problema finanziario: la provincia di Cuneo ha richiesto 357 milioni di € per realizzare infrastrutture essenziali. La metà di questi sarebbero più che sufficienti per completare l’opera. In alternativa potrebbe essere messa in vendita la quota del 35% detenuta da Anas nella società Autostrada Asti-Cuneo S.p.A, risolvendo così anche un annoso conflitto di interessi.

Le esigenze di profitto della società autostradale A33 Asti-Cuneo, ampiamente soddisfatte dall’ultimo accordo governativo, non possono e non devono essere anteposte ai bisogni reali della popolazione. Si deve invece ricercare un equilibrio tra le opposte necessità, equilibrio che dovrebbe essere la prima preoccupazione delle forze politiche e degli amministratori centrali e locali. Le associazioni locali, le forze ambientaliste, i giovani preoccupati del loro futuro, non possono accettare soluzioni rabberciate.

Un’opera destinata a durare molte decine di anni corre quindi il rischio di diventare una triste eredità per le generazioni future.