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Confessioni di un Direttore Gestione Rischi di Wall Street ...

Imagedi Giulio Cesare Bertolucci.

Un Ingegnere, ex dirigente d'industria, ci racconta le segrete confessioni di un Dirigente responsabile della più delicata delle mansioni all'interno di una grande Banca d'Affari di Wall Street, la gestione dei rischi.
Ovvero: quando la garanzia di qualità è prevista ma non si applica ...

 Una doverosa premessa ...

Una quarantina d’anni fa l’industria mondiale, esaurita la prima ondata di consumi postbellici durante la quale bastava buttare sul mercato dei prodotti fatti alla “va là che va bene”, iniziò a misurarsi con i problemi di mercato e quindi sulla qualità dei prodotti e dei servizi.

La qualità dei prodotti si fa in primis con un contraddittorio interno all’azienda, ma, singolarmente, i primi furono i giapponesi che, non potendo contare sull’apporto costruttivo del contraddittorio aziendale delle proprie organizzazioni, (nessun dipendente giapponese, in nessuna occasione o riunione, osa parlare se non con il permesso del gran Capo e secondo quello che lui vuole sentire) adottarono il sistema messo a punto da due americani (Juran e Deming) di garanzia della Qualità, che divenne una caratteristica organizzativa e produttiva permanente dell’industria giapponese e dei suoi prodotti.

Oddio, l’assenza di un contraddittorio aziendale si registrava anche - ad esempio - in Fiat, ma per fare carriera e non qualità, ed oggigiorno lo si registra a Palazzo Madama e a Montecitorio, ma questa è un’altra storia.

In sostanza, il Giappone fu il primo a voler adottare un sistema che mettesse la produzione della sua industria al livello dei migliori del mondo, e cioè dei tedeschi, la cui struttura industriale operava da decenni al massimo della qualità per mentalità, disciplina, livello e preparazione della propria classe dirigente.

Chi scrive ha partecipato a riunioni (ad esempio di verifica prodotto) con dirigenti tedeschi; e non sono cose che si dimenticano ...

Il fenomeno dell’adozione della garanzia della Qualità, peraltro tuttora in corso, investì tutta l’industria manifatturiera occidentale ed ebbe fra le sue manifestazioni più visibili ed eclatanti la realtà del settore automobilistico.

A Detroit, ad esempio con le linee di montaggio popolate da centinaia di operai che spesso si ubriacavano in modo pesante tutti i weekend e non di rado durante la settimana, alla fine degli anni '50 esisteva un racket delle macchine “del mercoledì”, con tangenti pagate dai concessionari più introdotti per averle nei propri saloni.

Alla Fiat Mirafiori, ancora a cavallo del 1990, le macchine destinate al mercato tedesco erano contrassegnate sulle linee di montaggio da un cartellino giallo che chiedeva “una maggiore attenzione”. Ma tutti i costruttori facevano più o meno lo stesso.

La caratteristica più penetrante dei sistemi organizzativi di garanzia della qualità era l’imposizione della ricerca della qualità fin dalla progettazione e che il responsabile, padrone o dipendente che fosse, sia per le piccole, medie e grandi industrie, doveva avere il potere di arrestare la produzione in caso di difetti.

Ebbero luogo nei vari anni e dovunque degli scontri da coltello, perché nessun responsabile della produzione era disposto a rallentarla o a fermarla anche in presenza di difetti e nessun responsabile delle vendite voleva che si spargesse voce di “fermate” nella produzione per la stessa causa. Ma ad ogni modo il quadro qualitativo dell’industria occidentale migliorò via via e oggi la cosa si può considerare affermata.

Beninteso: nell’Industria; non nelle Banche e non nell’industria finanziaria globale, la cui megacrisi globale ora in atto è stata dovuta proprio a questo: il sistema di garanzia della Qualità esisteva ed era sulla carta di altissimo livello: ma nessuno ebbe il coraggio di “fermare la produzione”, quando non di violare la legge per non perdere vendite, gratifiche, premi etc. etc.


Le “confessioni” di un Direttore del Centro Rischi di una grande Banca d’Affari. La mia responsabilità, con uno stipendio altissimo e con premi di fine d’anno a sei cifre, era di controllare che la Banca non incorresse in rischi non necessari. Ma all’inizio del 2007 i mercati finanziari di tutto il mondo apparivano sostanzialmente privi di rischi. Nel corso di una riunione con i miei collaboratori vennero identificati i cinque rischi principali per i successivi 12 mesi. Si trattava di fare un’analisi molto accurata sui rischi in caduta/perdita delle varie operazioni di investimento, ma sembrava irrealistico immaginare da che parte questi rischi potessero arrivare.

Per quattro anni gli spreads (differenze fra interessi dei BOT e dei prestiti) erano diminuiti, i tassi Overnight, Libor ed Euribor erano ai minimi storici, il costo del denaro era basso, virtualmente non c’era nessun credito inesigibile nel portafoglio prestiti della Banca, e livelli di volatilità erano storicamente fra i più bassi. Era il quadro di rischi più benigno degli ultimi 20 anni.

Come responsabili della gestione rischi dovevamo approvare le richieste di credito e le transazioni proposte dai banchieri e dai traders in prima linea. Inoltre dovevamo monitorare e riferire il livello di rischio nel portafoglio totale della banca, e fissare dei limiti per le posizioni creditorie e di rischio di mercato.

La possibilità di una crisi di liquidità era un elemento di costante attenzione da parte nostra, ma in quel momento potevamo solo constatare che sul mercato ne arrivava sempre di più. Gli Investitori Istituzionali, i Fondi Edge, i Fondi Sovrani dei Paesi ricchissimi, la Società Private Equity, erano tutti alla ricerca di titoli sui cui investire. E questo era il motivo degli spreads in diminuzione mentre i rapporti Debito/Profitti stavano salendo. “Ma da dove diavolo potrebbe venire una crisi di liquidità ?” qualcuno chiese durante la riunione.

E nessuno poteva dare una risposta valida.

In retrospettiva, avremmo dovuto prestare più attenzione ai primi segnali di pericolo. Nessuna crisi arriva totalmente e all’improvviso dal grande cielo azzurro, e ci sono sempre avvisaglie alla quali occorre prestare la massima attenzione e nel modo corretto.

Nel Maggio 2005 vi era stata la prima “crisetta” del mercato dei crediti “strutturati” che aveva dato il primo segnale dell’uragano che poi si sarebbe manifestato. In quel mese le obbligazioni della General Motors vennero derubricate a livello “spazzatura” dalle Agenzie di Rating. Dato che di queste obbligazioni ne avevano tutti i Fondi strutturati, aveva avuto luogo una sensibile dislocazione nel mercato.

Come molte altre Banche, noi avevamo un portafoglio di “Debiti Collateralizzati” (CDO), e cioè di pacchi di titoli garantiti da Attivi fondiari o finanziari. La nostra attività e il nostro mestiere era di comprare pacchi di attivi, parcheggiarli nei nostri Bilanci, trasformarli in titoli CDO e venderli agli investitori sul mercato. Eravamo molto ansiosi di vendere i titoli “non da investimento – cioè ad altissimo rischio”, e la nostra approvazione ad ogni transazione era condizionata che questo rischio doveva essere azzerato.

Nei nostri Bilanci trattenevamo pacchi di titoli AAA e super AAA, (considerati sicuri), e si riteneva che il rischio di svalutazione fosse ben protetto dai pacchi di titoli meno sicuri sui quali si potevano verificare perdite.

Nel Maggio 2005 trattenevamo Fondi AAA, aspettandoci che salissero, e vendevamo Fondi meno pregiati, essendo certi che avrebbero perso valore. Dal punto di vista di un Responsabile dei rischi, era una posizione perfetta: avere una posizione a lungo sui titoli a basso rischio e una a breve su quelli ad alto rischio.

Ma il “fatto General Motors” scombiccherò tutto il quadro: gli AAA calarono e i meno pregiati salirono, risultando in perdite alla chiusura.

Era una cosa apparentemente contro ogni logica, e non fu capita se non dopo, causata da un meccanismo automatico che si era verificato nei mercati a livello di confronto fra Fondi in vendita: era successo che si era verificata una momentanea riduzione nel volume dei Fondi ad Alto Rischio e una sovrabbondanza di quelli AAA: il mercato aveva reagito in modo bovino e nessuno l’aveva capito.

Questa mini-crisi di liquidità doveva ripetersi su una scala ben maggiore nell’estate del 2007, ma non avevamo tratto le giuste conclusioni.

Come Responsabili dei rischi, avremmo dovuto insistere per vendere tutti i tipi di Fondi, e non solo quelli ad alto rischio. Ma non credevamo che i titoli AAA avrebbero avuto una diminuzione di prezzo di più dell’1 %. Un crollo del 20 % su titoli virtualmente senza rischi non era concepibile, ma in seguito successe. Il rischio di mancanza di liquidità non era stato valutato al giusto prezzo nel trattare Fondi: il mercato concedeva sempre qualcosa in tal senso, ma solo a margini molto bassi e prima ovviamente della crisi del credito.

Quindi, come avevamo fatto a trovarci in una situazione di così grande volume di compravendite? Fu dovuto ad un numero di fattori e, come è spesso il caso, avvenne in modo così graduale da non essere quasi percepito.



Combattendo l’ultima guerra.

La nostra gestione Rischi era focalizzata su due aree fondamentali: il nostro portafoglio prestiti e il più classico rischio di mercato nella compravendite. I prestiti erano “illiquidi” per definizione ed erano registrati nel Registro Bancario, e non valutati al valore attuale nel Registro Compravendite (mark to market). Era molto importante effettuare una rigorosa analisi del credito per minimizzare le perdite sui crediti non esigibili. Di fatto i Rischi sui Prestiti e i Rischi sulle Compravendite erano ben capiti, trattati e revisionati. Azioni, Titoli di Stato, Titoli in Valuta erano un’attività molto ben gestita nel registro Compravendite e monitorati con frequenza quotidiana.

La breccia nel nostro sistema di Gestione del Rischio si aprì anno dopo anno e gradualmente con il crescere dei cosiddetti CDO (Debiti Collateralizzati), di ogni varietà e tipo, come ad esempio Mutui Fondiari, debiti sulle carte di Credito, certificati dell’industria cinematografica per produrre film etc.

Questi Pacchi di titoli non si sapeva dove collocarli ed erano, in modo impreciso, parcheggiati fra i rischi sui prestiti e i rischi compravendite. I responsabili della valutazione Rischi sui Crediti non ne presero mai la responsabilità, ritenendo che fossero un rischio di compravendita, e altrettanto fecero i responsabili del Rischio sulle Compravendite, che li ritenevano un rischio di credito.

La crescita esplosiva e la profittabilità di questi strumenti finanziari del mercato del credito strutturato non fece che aumentare il problema, e la nostra risposta come responsabili dei rischio non fu adeguata.

Stabilimmo dei limiti di portafoglio a ciascuna categoria di titoli ma per il resto lasciammo che i traders se la cavassero da soli. Da parte nostra assumemmo che, primo, questi titoli venissero valutati automaticamente al valore attuale (mark to market) nel Registro Compravendite, e ogni perdita pubblicata su base quotidiana secondo la prassi.

Secondo: assumemmo che, se si fossero registrate perdite, avremmo potuto facilmente liquidare le nostre posizioni, in particolare se di livello AAA e AA. La nostra attenzione era sempre concentrata sui titoli di basso pregio e a più alto rischio, in particolare quelli emessi nei mercati emergenti.

Le crisi di pochi anni prima in Russia e Argentina avevano lasciato un bruciante ricordo sui pericoli di scarsa liquidità e spreads di credito in aumento.

Inoltre avevamo fiducia nella Agenzie di Rating (Standard &Poor, Fitch etc). Era inconcepibile che una nostra valutazione di rischio fosse più severa di quella delle Agenzie, che erano semplicemente considerate come la voce di Dio in persona.

Pertanto la nostra Banca era più o meno tranquilla e soddisfatta con la sua gestione dei Rischi e si preoccupava però sull’enorme aumento del volume di titoli trattati. Avremmo dovuto vendere i titoli migliori, ma l’incentivo non c’era: la liquidità era abbondante, le perdite basse, e inoltre c’era un piccolo margine positivo nel “carry”, cioè nel trattenere nei nostri conti i titoli invece di finanziarli nel mercato interbancario, molto liquido.

Gradualmente le strutture dei crediti del tipo CDO divennero sempre più complicate, e la loro collocazione nel Registro delle Compravendite evitava l’analisi più rigorosa applicata ai rischio Crediti, che avrebbe potuto rivelare qualche debolezza.

Le pressioni sui dirigenti responsabili della Gestione Rischi per approvare transazioni di ogni tipo erano pesantissime. La Direzione della Gestione Rischi, come ogni buona Direzione di Garanzia della Qualità, riferiva direttamente e indipendentemente al Consiglio di Amministrazione, che le affidava il controllo della salute finanziaria della Banca. Ma questa situazione metteva in urto la Gestione Rischi con i Traders, che vendevano e compravano e facevano affari, e cioè coloro che dovevano essere controllati.



Operatori e loro “protettori” senza scrupoli, senza etica e senza una missione.

Agli occhi dei traders, e cioè di coloro che direttamente operavano sui mercati, la Direzione Rischi non lavorava per far fare affari alla Banca: aveva il potere di dire di no e pertanto era un ostacolo ad uno svolgimento positivo del lavoro e metteva a rischio sia il volume delle transazioni che le gratifiche e i premi spettanti ai singoli operatori. E questo non era ovviamente gradito e sovente i contrasti erano violenti, con chiamate in causa dell’alta Direzione, alla quale è sempre più facile denunciare un ostacolo al business che un motivo di prudenza dettato da fatti ed esperienze precedenti.

La Direzione Rischi era sempre sospettosa di operazioni ad alto margine, che invariabilmente significavano rischi maggiori. Le critiche definivano i gestori dei Rischi come gente che “ostacolava”, “che non aveva sensibilità commerciale”, che “ostruiva il regolare andamento del lavoro” etc. Talvolta i gestori dei rischi si procuravano guai a causa delle loro caratteristica professionale, di essere cioè ottimi analisti ma scarsi comunicatori, specie quando alti Dirigenti mettevano in dubbio le loro cautele. Non c’era spazio per convincere con pacati ragionamenti: davanti ad un parere negativo, le reazioni degli operatori erano sempre violente, e di rifiuto di qualsiasi argomento anche spiegato razionalmente.

Alla radice di tutto, tuttavia, si collocava un difetto filosofico: l’obiettivo dell’Azienda è di vendere e fare profitti, non di analizzare per possibili rischi, e nelle Banche, con le transazioni sempre più numerose e rapide, la bilancia pende sempre dalla parte di chi fa gli affari. E questo si traduceva in atteggiamenti anche in circostanze ufficiali: spesso, durante le riunioni, i gestori dei rischi venivano messi in minoranza, con inviti a “prendersi la responsabilità diretta” delle opposizioni a certa operazioni, e con i massimi vertici che, pur non opponendosi direttamente ai gestori dei rischi, si mettevano più o meno apertamente dalla parte dei traders, affermando non di rado che, alla peggio, le posizioni a maggior rischio si sarebbero potute vendere in fretta.

Cioè, nella Banca e a tutti il livelli, si abbandonava la mentalità del più normale buon senso. Particolarmente frustrante era di dover esaminare, con al massimo un’ora di preavviso, una proposta articolata di acquisto di un dato volume di certi titoli, preparata in settimane di studio dagli operatori: ogni diniego veniva bollato come “frutto dell’ignoranza e della superficialità”.

Alla fine, i gestori dei rischi su piegavano e rimuovevano gli ostacoli anche alle operazioni più marginali.

Col tempo, pertanto, la Banca si trovò ad avere all’attivo un volume enorme di titoli “a basso rischio” ma che invece avevano un rischio altissimo. Ed era evidente che, con miliardi di dollari investiti, anche una piccola oscillazione nei prezzi poteva tradursi in perdite sensibilissime: ma il buon senso comune non era più di casa fra le operazioni bancarie. Non si era prestata attenzione ai miliardi di Dollari di titoli AAA, come i mutui fondiari, “coperti” patrimonialmente dalla proprietà degli immobili ma potenzialmente illiquidi in massa se un'onda improvvisa avesse colpito – come poi colpì - i milioni di persone che non sarebbero riusciti a pagarne le rate. Sempre abbandonando il buon senso, non avevamo calcolato che una perdita del 20% su una cifra molto grande può causare molti più danni di una perdita dell’80% su una cifra più piccola.



Cosa fare per il futuro?

Beh, l’industria manifatturiera ha imparato da anni che cosa deve essere fatto per non mandare a monte i mercati: i responsabili della qualità hanno sempre l’ultima parola e nessuno si sogna più di accusarli di “ostacolare” l’andamento degli affari, come si faceva una volta.

Il personale della gestione rischi di una Banca, ovviamente, deve operare davanti a fenomeni rapidissimi e pertanto la sua preparazione e il suo addestramento, oltre che la loro coscienza professionale, devono essere del massimo livello. Una risposta sarebbe di trasferire dei traders a fare i gestori dei rischi; sfortunatamente, avviene il contrario, quando un buon gestore dei rischi diventa trader: il mestiere è più elettrizzante, più vario e i premi e le gratifiche sono maggiori: nessuno premia un gestore dei rischi se blocca un affare, ma tutti premiano il trader che lo porta a casa.

E quindi si tratta di cambiare una mentalità e il cammino è lungo.

Ma anche la più accurata gestione dei rischi di Banche e Istituzioni Finanziarie poco può quando c’è una realtà politica, mega-economica e finanziaria che sovrasta tutti: se una Nazione leader, diciamo gli USA, assume come politica di far costare poco e pochissimo il denaro, buttandone sul mercato volumi mai visti, perché non opera anche nel valutare tramite le Banche i rischi che, ad esempio, i mutuatari si assumono comprando case che sembrano castelli ?

In Italia, Francia e Germania, ad esempio, una Banca che concede un mutuo si accerta che l’onere del mutuo stesso sulla famiglia che lo contrae non incida per più del 30 – 35 % del reddito familiare. In America e in Inghilterra no.

Anzi, in America per stimolare l’economia si sono per almeno tre anni praticate condizioni di mutuo folli, con costi fino al 50 –60 % dei redditi con rifinanziamenti pazzeschi, clausole di interessi negativi per i primi 3 – 5 anni, nessun accertamento sui redditi reali dei mutuatari e chi più ne ha più ne metta.

I maligni dicono che l’Amministrazione Bush abbia scientemente favorito questo fenomeno (un Ministro dell’Economia, Paul o’Neill, venne cacciato appena nominato perché vide il baratro a cui l’economia mondiale andava incontro, e voleva porre qualche rimedio aumentando ad esempio il costo del denaro) per arrivare alle elezioni del prossimo 4 Novembre con un’economia “in tiro” e far vincere i Repubblicani malgrado il disastro delle guerra in Iraq. Bush non c’è riuscito ed ha coronato la fine della sua Presidenza con la crisi finanziaria più grave della storia umana, che ha visto e vede l’America, odiata da tutti, diventare sostanzialmente “comunista” sul mercato finanziario, usando a palate il pubblico denaro - e cioè le tasse dei contribuenti - per arginare una crisi da follia.

E non è finita ...

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