Il grande business delle acque minerali

Stampa

di Alessandro Mortarino e Rosario Ragusa.

Il 22 marzo si è celebrato in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell'Acqua e, anche quest'anno, i media hanno ampiamente documentato i principali rischi che una delle risorse fondamentali per la vita del pianeta intero - e per la permanenza dell'uomo sul pianeta stesso - sta correndo. Speriamo che questa volta di acqua non se ne discuta solo una volta all'anno, ma anche nei restanti 364 giorni! Tra i temi di rilievo si è parlato (anche, ma non troppo) di canoni di concessione: poveri per le casse degli Enti pubblici, ma molto arricchenti per quelle delle aziende imbottigliatrici ...

Le statistiche parlano chiaro e il rapporto di Legambiente e Altreconomia "Acqua in bottiglia: un'anomalia tutta italiana" lo confermano: le Regioni incassano pochi milioni di euro a fronte di un giro d'affari per le aziende che vale 2 miliardi e 790 milioni di litri, debitamente imbottigliati - quasi tutti in contenitori di plastica - e commercializzati.
In media le Regioni richiedono alle aziende appena 1 millesimo di euro al litro, 250 volte meno del prezzo che in media i cittadini pagano per una bottiglia.

Il mercato è in mano ad un ristretto gruppo di aziende che controlla quasi tre quarti del fatturato delle acque in bottiglia: Sanpellegrino, San Benedetto, Sant’Anna, Norda, Lete, Rocchetta-Uliveto, Ferrarelle e Spumador.
E si tratta di un mercato "ghiotto", dato che gli italiani sono al primo posto in Europa e al secondo posto nel mondo (dopo il Messico) nella classifica dei principali consumatori di acque da tavola, con 206 litri annui di consumo pro-capite e una spesa media mensile pari a 10,75 euro, in incremento del +4,7% rispetto al 2015 e del +8,6% rispetto al 2014 (dati Istat 2016).
Nove italiani su dieci bevono oggi acqua minerale, il 19% in più rispetto a 20 anni fa (dati Censis).
E pensare che fino agli anni '60 le acque minerali non erano la bevanda di tutti i giorni, ma un prodotto medico-terapeutico rigorosamente venduto in farmacia ...

Il settore delle Acque Minerali appare in ottimo stato di salute, tanto che gli utili delle aziende del comparto hanno registrato nel 2016 un totale di 252.344.410 di euro, in aumento del +9,6% sul 2015. Discorso analogo per l’utile medio per azienda, pari a 3.194.230 di euro, che segna un aumento dell’8,2% sul 2015. Rispetto al 2015, sono diminuite le aziende in perdita (15) e aumentate quelle in utile (64). Nel 2016, l’incidenza degli utili sui ricavi è del 7,8%, di poco superiore rispetto al 7,2% del 2015 (fonte Competitive Data su bilanci delle prime 175 società di capitali del comparto delle Acque Minerali e Soft Drink).

A livello locale, le 27 aziende imbottigliatrici operanti hanno riconosciuto alla Regione Piemonte 2.850.648 di euro e questa ne ha riconosciuto una parte ai Comuni ed alle Comunità Montane coinvolte, trattenendo circa 900.000 euro per sè, cioè il 30% di quanto incassato. Facendo qualche rapido conto, si evince che le ditte captatrici (ad esempio Lauretana, Monviso, Lurisia, Crodo Lisiel, Cozie ...) hanno pagato alla Regione Piemonte la "bellezza" di 0,00103 euro per ogni litro emunto.

Una cifra davvero irrisoria. E alquanto diseducativa sotto il profilo anche (e soprattutto) ambientale.

Legambiente, presentando il nuovo rapporto, chiede un intervento urgente proponendo di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Un canone comunque irrisorio, ma già 20 volte superiore a quello attuale, che permetterebbe alle Regioni di incrementare gli introiti di almeno 280 milioni di euro l’anno, da reinvestire in politiche e interventi in favore della rete idrica.


Per il Piemonte questo aumento tariffario porterebbe a 55.352.387 di euro l'incasso per la Regione (a fronte dei 2.850.648 euro attuali: un abisso !).

Non è la prima volta che questa richiesta viene manifestata, ma senza alcun riscontro; pare quasi che l'aumento (che parrebbe sacrosanto) sia un tabù in un paese in cui i "brand" delle acque da tavola risultano essere tra i principali investitori pubblicitari tanto della TV di Stato quanto delle emittenti private, con buona pace per le casse del Tesoro e di quelle dell'imprenditore Berlusconi. E in un paese in cui 280 milioni di euro di nuovi introiti l’anno da reinvestire nel miglioramento della rete idrica pubblica fanno, evidentemente, paura.

Perchè la nostra "modernità politica" vuole che i Privati assumano il controllo della gestione degli acquedotti. Già, forse è proprio questo il punto ...