Note critiche sulle biomasse

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di Michele Bertolino (Legambiente Piemonte)
Se l'utilizzo di biomasse ai fini di produzione energetica è neutro dal punto di vista della produzione di CO2 e, quindi, si ascrive a pieno nei dettati del protocollo di Kyoto, vanno fatte però alcune riflessioni sull'origine di queste biomasse.

La legislazione italiana da due definizioni contrastanti delle biomasse:

• Decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 'Attuazione della direttiva 2001/77/Ce relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità' definisce
• fonti rinnovabili 'le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas)'
• biomassa, 'la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani'.
• D.P.C.M. 8 marzo 2002, D.Lgs. 152/06) definiscono biomasse:
• materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;
• materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate;
• materiale vegetale prodotto da interventi selvicoltura, da manutenzione forestale e da potatura;
• materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti;
• materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli;
• sansa di oliva disoleata (')
• liquor nero ottenuto nelle cartiere dalle operazioni di lisciviazione del legno ('.)

In questo quadro apparentemente semplice la stessa A.R.P.A. Piemonte non ha interpretazioni univoche su cosa sia classificabile come biomassa a cosa come rifiuto. Esempio lampante il caso Silvateam. Azienda monregalese che presentando una proposta ad Asti ed una a Cuneo alimentate con lo stesso prodotto (cippato detannizzato in autoclave) ed ha suscitato due interpretazioni contrastanti (la prima nel senso di una classificazione come rifiuti e la seconda come biomassa). Nella interpretazione finale dell'ufficio legale dell'A.R.P.A. Piemonte si è deciso per la classificazione biomasse.

La prima problematica in merito all'utilizzo delle biomasse a fini di combustione per produrre energia è pertanto la definizione delle medesime ossia cosa i proponenti intendo bruciare nei 15-20 anni di vita dell'impianto?
In Piemonte non siamo all'anno zero nell'utilizzo delle biomasse a fini di produzione energetica, al contrario siamo tra le regioni con più impianti esistenti. Ad oggi vengono già prodotti 120 MWt in oltre 120 impianti di dimensioni medio piccole con una sola eccezione oltre i 10MWt ossia la centrale termoelettrica di Airasca, che ha una potenzialità di 49,5 MWt pari a 12,8 Mwe con un rendimento del 25%. Proprio questo impianto ha evidenziato grosse difficoltà di approvvigionamento delle biomasse in un raggio di azione ragionevole.

Non è ovviamente accettabile costruire degli impianti per alimentare i quali si debbano trasportare per tre quarti del mondo l'olio di palma dall'Indonesia, anziché il cippato dalla Russia e dall'Amazzonia. È questo un primo punto della questione: le biomasse devono essere prodotte in un raggio di azione che sia compatibile con il beneficio che se ne ottiene dal loro utilizzo. Al riguardo oggi non c'è limitazione, viviamo in un mercato globale e si verifica la distorsione opposta, cioè oggi il cippato può arrivare dalla Russia a 25 euro/ton, l'olio palma o di cocco a 22 euro/ton nel porto di Genova, e ciò entra in competizione con il sistema di produzione di biomasse locale che non è compatibile. Il cippato di legna prodotto in Piemonte o Liguria ha un prezzo tra i 45 ed i 50 euro/ton.

La combustione di biomasse non è una pratica che ha soltanto aspetti positivi, anzi ha impatti ambientali elevatissimi: rispetto all'impiego di gas metano si hanno fattori di emissione di circa 18 volte per gli NOx e circa 43 volte la produzione di polveri PM.

La forma di incentivazione scelta dall'Italia per le centrali alimentate a biomasse è oggi estremamente carente in quanto è meramente finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il risultato è che questi impianti vengono costruiti e gestiti con rendimenti risibili, pari al 20-25% (il 75 per cento dell'energia si spreca). Di solito i proponenti hanno interesse a produrre energia elettrica e basta e tendono ad offrire il calore a titolo gratuito agli enti pubblici coinvolti nei procedimenti a fini di teleriscaldamento evitando accuratamente di esserne coinvolti nei relativi costi di costruzione e gestione.

In merito sarebbe necessaria una modifica legislativa degli incentivi che dovrebbero essere in qualche modo collegati al rendimento energetico effettivo dell'impianto.
Al contrario la recente finanziaria ha ampliato i certificati verdi a favore della combustione di biomasse sia in valore assoluto che in durata.

Il risultato inevitabile sarà un fiorire di iniziative nei prossimi anni finalizzati alla produzione di energia elettrica mediante la combustione di biomasse.
La nuova frontiera saranno le così dette culture energetiche, non è ammissibile da parte nostra che si proceda in questa direzione senza un preventivo un bilancio energetico dal quale emerga con chiarezza quanta energia si spende per la produzione di queste biomasse e quanta se ne ricava nel momento in cui si utilizzano. Oggi non ci sono parametri o limitazioni legislative al riguardo.
Non solo ma un 'effetto collaterale' già visibile ad oggi è l'impatto legato alla sostituzione di colture ad uso alimentare con colture ad uso energetico è l'incremento dei prezzi dei cereali, generato dalla distorsione del mercato causata dai certificati verdi, con conseguenti costi a danno di tutti i cittadini che da un lato pagano gli investimenti per le centrali con le loro bollette elettriche e dall'altro pagano gli aumenti dei beni di prima necessità come il pane.

Ad oggi l'utilizzo di biomasse prevalentemente avviene in forni a griglia, fissa o mobile ed è facilmente dimostrabile che la conversione di un forno a biomasse in un forno a rifiuti generalmente ha un payback, ossia un ritorno sull'investimento dell'ordine di un anno e mezzo o due. Un'operazione quindi che qualsiasi imprenditore intraprende in modo appetibile. Caso emblematico è l'impianto della Riso Scotti, premio all'innovazione amica dell'ambiente 2004 da parte di Legambiente Lombardia, nato per la termovalorizzazione degli scarti di produzione della filiera del riso ed attualmente in fase di conversione a CDR.

Va evidenziato che l'apporto energetico legato alla combustione di biomasse non può che essere marginale. In Europa l'utilizzo di biomasse a scopo energetico sia come combustibili primari che come biofuel ammonta a circa 65 Mtep/anno, pari al 3-4 per cento dei consumi primari; consumi decisamente superiori alla media si riscontrano in Svezia e Finlandia (17 e 18 per cento circa) e in Austria (13per cento), dovuti principalmente all'esistente filiera produttiva del legname legata o alla produzione di cellulosa e carta o all'uso come materiale da costruzione. I consumi percentuali dell'Italia sono invece decisamente inferiori alla media (pari a circa il 2 per cento del fabbisogno complessivo). Si stima che un corretto sfruttamento delle biomasse sia come combustibili primari che come biofuel in Europa potrebbe offrire un potenziale pari al 10% del consumo globale di energia.

Si ritiene opportuno evidenziare che l'utilizzo di biomasse è molto più diffuso nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. Esse rappresentano infatti il 10,53% delle fonti energetiche a livello mondiale e soltanto il 2,8% a livello dei paesi OCSE. Inoltre appare evidente dai dati degli ultimi anni che la maggior parte dei Paesi industrializzati sta affrontando le tematiche delle biomasse più nella direzione della produzione di biocombustibili che in quella dalla combustione tal quale, principalmente non tanto a fini di bilancio energetico quanto di riduzione dell'impatto sulle emissioni in atmosfera legate all'uso di combustibili fossili.
In Italia, nel 2004, il consumo complessivo di biomassa è stato di circa 3,6 Mtep di cui circa 0,5 Mtep riguarda il consumo di biomasse legnose per la produzione termoelettrica.
Nel 'Piano Energetico Ambientale Regionale'(pag 45 a. L'approvvigionamento):

'Attualmente i punti più deboli della filiera della biomassa appaiono quelli a monte, che riguardano la programmazione e la successiva gestione dell'approvvigionamento dell'impianto, correlati al dimensionamento e al rifornimento dello stesso, nonché alla garanzia di un bilancio ambientale positivo anche attraverso la valorizzazione delle aree boscate.
Appaiono quindi necessarie misure per lo sviluppo di una gestione forestale adeguata dell'area che si intende utilizzare come bacino di approvvigionamento dell'impianto, nonché per la realizzazione di nuovi impianti, ma solo dopo attenti e veritieri studi sulla disponibilità della materia prima, sulla efficienza dei cantieri di lavoro, sulle infrastrutture stradali, sulla sicurezza di continuità di approvvigionamento degli stessi.'

Nel merito ritengo che sia necessaria una regolamentazione regionale, anche sull'onda del fatto che alcune provincie hanno già introdotto o stanno vagliando autonomamente delle linee guida (Asti e Cuneo) che tendono a limitare l'utilizzo di biomasse per fini energetici nel rispetto del piano energetico, mentre il Governo nazionale sembra dedito alla incentivazione totale. Insomma ritengo che serva una azione di governo del territorio da parte della Regione che definisca limiti e campi di applicazione. Non mi pare che vi sia ad oggi una volontà politica in merito.

In conclusione dal mio punto di vista sono accettabili soltanto impianti che abbiano le seguenti caratteristiche:

• solo legno vergine e scarti agricoli
• solo produzione locale
• solo piccoli impianti (4-6 MWterm.)
• solo con teleriscaldamento (sostitutivo)