Quell'accanimento terapeutico contro i Comuni delle Aree Interne

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di Daniela Grassi.

Curioso davvero: in un Paese dove da anni di fronte alla sofferenza umana si blatera, si bercia e si bestemmia di accanimento terapeutico e di fine vita senza riuscire a ottenere una legge che difenda la dignità di ognuno/a, ecco che improvvisamente, trattando dei territori dove molti/e cittadini e cittadine si trovano a vivere, delle loro piccole, preziose comunità, una mannaia asettica nel linguaggio, scende a decretarne lo scientifico “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”...

Si legge tutto ciò nell’Obiettivo 4, p.45, del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI) approvato in forte ritardo nel marzo scorso e pubblicato in sordina solo ora.
Sulla copertina dell’algido documento, spicca la fotografia a colori di un tipico borgo italiano collinare, uno di quelli che il mondo definisce ” Wonderful” mentre un sorriso, anche d’invidia benevola, si stampa sul viso di chi pronuncia il termine. Ma gli intenti per quel borgo sono, a leggere, davvero contraddittori e la foto forse quella del”caro estinto”.

Obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.  (p.45 PSNAI 2021-2027).

No, non è uno scherzo: questo è l’auspicio all’accompagnamento alla morte di circa 4.000 Comuni italiani, presenti in ogni nostra regione perché queste sono le “Aree interne”, le quali contano oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, cittadini/e che vivono distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale.
Questi cittadini e i loro territori, sono forse portatori sani di qualche terribile malattia che li condanna a una morte a cui vanno accompagnati in modo da renderla socialmente dignitosa? Si direbbe di si e si potrebbe persino malignamente ipotizzare che tale malattia sia determinata dal fatto che essi vivono (e presuntuosamente vorrebbero continuare a farlo) lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità, cioè complicano fastidiosamente la vita dello Stato richiedendo di poter avere infrastrutture e servizi a cui, se si spostassero semplicemente e generosamente in grandi e disumane periferie, sempre più vaste e disumane, potrebbero accedere senza impacciare la vita degli altri.

Peccato che questi 13 milioni circa di egoisti, in gran parte non abbia alcuna intenzione di sottomettersi a tale proposta e peccato, infine, che siano loro e le febbricitanti e incoscienti - così pare - comunità che formano, a creare e custodire quella Bella Italia fatta di lingue e culture  differenti, di boschi, pascoli, sentieri, acque, borghi storici, paesaggi unici e variegati, cioè tutto ciò che fa della nostra nazione un unicum riconosciuto mondialmente. E peccato che tutti quei  prodotti enogastronomici difesi quasi con una crociata dallo stesso Stato che vuole accompagnare queste aree in un percorso di spopolamento irreversibile, proprio lì si producano.

Certo una bella e assurda contraddizione che induce maligni sospetti: ma se le popolazioni locali invece di essere aiutate a guarire, invece di essere accudite e incoraggiate nella loro spesso eroica azione di amore e orgoglio verso i luoghi in cui vivono, magari da generazioni (compresi i folli che vi sono tornati dopo che genitori e nonni avevano dovuto spostarsi verso le città industriali nell’epoca del boom economico), se si auspica che finalmente mollino, chi si dovrebbe occupare di curare i circa 4000 Comuni coinvolti e i loro territori? Chi dovrebbe coltivare vigne, oliveti, campi di legumi autoctoni, grani e altri prodotti salvati per i capelli da custodi dei semi che hanno creduto a tutto ciò contro ogni logica? Chi le specie animali e la fauna e la flora selvatica? Chi le architetture tipiche non di ogni regione, ma in certi casi di ogni provincia? E non si vorrà di certi territori fare ciò che già sta accadendo, enclaves di ricchi provenienti da altri Paesi dopo essersi liberati dei lamentosi autoctoni che vorrebbero scuole, presidi sanitari, piccoli ospedali dove curarsi e partorire in sicurezza, medici, sportelli bancari e postali sul territorio, luoghi dove riunirsi per ritrovarsi, scambiare opinioni e ragionare sul loro destino, magari lanciando idee stupefacenti e che, minimamente sorrette, potrebbero curare le loro malattie che forse così devastanti non sono?

Sulla Strategia nazionale aree interne occorre accelerare nella spesa delle molte risorse sul tavolo delle Regioni e delle aree progetto. Servono tempi certi e occorre agire verso la nuova programmazione europea, dal 2028, con Francia, Spagna, Germania, per un Programma Aree interne e montane che sia realmente trasversale ai fondi. Non senza un consolidamento del tessuto istituzionale. Comuni non da soli ma insieme per migliorare i servizi e rafforzare le politiche di sviluppo economico sostenibile. Rispondiamo su Alpi e Appennino a crisi climatica e demografica”.
Questo ha sostenuto il 9 aprile scorso Marco Bussone, presidente UNCEM, Unione Nazionale Comuni Comunità Montane,  intervenendo a Palazzo Chigi alla presentazione del Piano strategico per le Aree interne, alla presenza del Ministro Foti, con il Ministro Calderoli e diversi Sottosegretari di Governo.

E quindi? Cosa se ne deduce? E davvero si pensa che i 13mila coinvolti, sebbene afflitti a detta del Governo dal fatal morbo, si rassegnino al fatto di non potersi porre alcun obiettivo di inversione di tendenza o alla paternalistica e pelosa prospettiva di non essere abbandonati a se stessi, ma accompagnati da chi finge di interessarsi alla loro sorte in senso benevolo?

E infine, potranno scordarsi dell’art. 3 della Costituzione italiana:  «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»?
Gli estensori dello PSNAI  sì, sembrano averlo proprio dimenticato, ma i cittadini e le cittadine delle cosiddette Aree Interne, loro sicuramente no. E tutti e tutti noi dobbiamo aiutarli per conservare speranza, bellezza e democrazia.