A cura di ARI – Associazione Rurale Italiana.
Quello sbandierato come un accordo equilibrato fra le due sponde dell’Atlantico, in realtà è un tentativo colonialista dell’amministrazione Trump di trascinare l’Europa in un vortice speculativo e bellicista in cambio di tariffe doganali assolutamente previste e prevedibili conoscendo l’insostenibile indebitamento degli USA. Con la scusa di una utopistica reindustrializzazione statunitense, gli Stati Uniti d’America ci impongono la fine del modello europeo del welfare costringendoci a continuare ad esportare con una conseguente un’emorragia di risorse finanziarie enorme che andrà a impattare sulle già residuali politiche di sostegno all’agricoltura, al sociale e all’ambiente...
Tuttavia, con il falso pretesto della semplificazione burocratica, le forze economiche che dominano l’economia dell’UE avevano già da tempo aperto la strada a un profondo processo di deregolamentazione del quadro giuridico europeo (si veda la deregolamentazione della legislazione sulle sementi, quella relativa alla semplificazione, le proposte della «nuova PAC» post-2027 e la caduta delle regolamentazioni UE sullo sfruttamento delle fonti naturali di energia come fracking, gas, miniere, ecc.).
Oltre al recente accordo sull’aumento dell’eccezione de minimis, l’UE si impegna a lavorare per garantire una maggiore flessibilità nell’applicazione del “Carbon Border Adjust Mechanism” (CBAM), ovvero la tassa sul carbonio alle importazioni, un sistema che obbliga gli importatori di determinati beni a pagare un costo aggiuntivo proporzionale alle emissioni di CO₂ incorporate nei prodotti importati. La Commissione UE ha già segnalato che in futuro potrebbero essere inclusi altri settori ad alta intensità di carbonio, e il dibattito riguarda anche prodotti agricoli primari (cereali, carne, latte) provenienti da Paesi con pratiche agricole con un forte carico di emissioni e prodotti agroindustriali (zucchero, oli vegetali, alimenti trasformati). Le aziende statunitense otterranno così uno sconto aggiuntivo sui propri prodotti introdotti nell’UE, aumentando la propria competitività.
Un’ulteriore minaccia per l’agricoltura contadina è rappresentata dagli “impegni di alto livello relativi alla protezione e all’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale”. Le norme statunitensi in materia di brevetti e quelle dell’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) hanno punti in comune, ma anche differenze strutturali che influenzano notevolmente le strategie e i termini di presentazione. In particolare, l’oggetto brevettabile negli Stati Uniti è molto più ampio, poiché include software, metodi commerciali e sementi, mentre quello dell’EPO è più restrittivo in quanto le varietà vegetali non sono brevettabili.
Con il recente accordo sui dazi USA-UE, segnale di benevolenza verso l’agroindustria americana, vedremo arrivare in Europa generi alimentari di scarsa qualità o altri di cui siamo già produttori. La speranza in cambio è di poter continuare ad esportare a dazi sostenibili quei generi che alimentari non sono, come ad esempio il vino di cui siamo produttori in esubero totale, risultato di un’agricoltura industriale che in Italia come in Europa ha prosperato in questi anni grazie al sostegno pubblico.
E’ bene ricordare che non sono i burocrati di Bruxelles ad avere firmato l’accordo con gli USA ma i governi europei e il nostro – quello della “sovranità alimentare” – in prima fila.
QUI trovate un’analisi più dettagliata dell’accordo USA-UE e l’impatto sulla già martoriata agricoltura contadina, a cura di Antonio Onorati.