La presenza di Dio nelle elezioni presidenziali Usa

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di Giulio Cesare Bertolucci.
ImageIn Italia, dopo decenni di governo democristiano e dopo i secoli precedenti di Controriforma, Risorgimento, presa di Roma, fascismo etc. etc. non possiamo onestamente dire se i politici ispirati al cattolicesimo e gli uomini delle alte gerarchie cattoliche, sia laici che sacerdoti, avessero fede o no in Dio.

Possiamo però affermare, senza alcun timore, che avevano una Fede Incrollabile nella Chiesa Cattolica. Tutto, del resto, secondo copione: la Controriforma studiata dai Gesuiti voleva esattamente questo ...

In America, secondo la riforma e l’etica protestante, non ha tanta importanza avere fede in questa o in quella chiesa: di fatto le affiliazioni cambiano e la cosa non ha importanza; gli stessi cattolici (ad esempio gli irlandesi, gli italo-americani, i latinos etc.) non fanno riferimento ai dettami del Vaticano: ogni politico cattolico USA del resto sa che commetterebbe un immediato suicidio politico se menzionasse la vicinanza delle sue posizioni su temi scottanti (l’aborto o i matrimoni gay, ad esempio), alla predicazione Papale e/o ai dettami della Curia Romana e/o delle Conferenze Episcopali Cattoliche presiedute dai vari Cardinali Ruini e simili di turno. Chi, in USA, esprime propri pareri o posizioni anche politiche su temi scottanti per le coscienze religiose di qualunque estrazione, lo fa perché crede in Dio, senza intermediari: questi ultimi, incluse le innumerevoli Associazioni e le varie Chiese di qualsivoglia denominazione, sono dei contenitori/raccoglitori di pareri e posizioni anche utili in politica, ma non fondamentali. E, soprattutto, cambiano nomi e scopi nel tempo.

Bibbia alla mano e si parla con Dio: Obama lo fa.
Il Candidato del Partito Democratico USA, Barak Hussein Obama, non ha avuto finora problemi a parlare di Dio nella sua campagna elettorale. Sarà perché di fatto ha dei problemi con Dio: dalle chiacchiere che è in effetti un Musulmano (l’11% degli Americani lo crede), ai dubbi di cattolici ed ebrei che visceralmente non accettano certe sue uscite da predicatore fanatico.
                            
Il problema di Dio in politica è una preoccupazione seria per i Democratici, nella imminente fase finale delle elezioni Presidenziali. Quattro anni fa, con la rielezione di Bush, il partito aveva finalmente capito ciò che avrebbe dovuto essere ovvio fin dal principio: e cioè che fare una campagna elettorale con un immagine laica e secolare, in un Paese profondamente religioso come gli Stati Uniti, era la ricetta sicura per essere battuti. Il giovane Bush sconfisse largamente il suoo avversario Kerry presso gli elettori “alla ricerca di valori” (il nostro Di Pietro non c’entra). Vinse anche per un’impressione viscerale diffusa da sempre nell’elettorato USA, e cioè che c’è sempre qualcosa di profondamente “non americano” nel secolarismo professato dai Democratici. Sette americani su dieci dicono abitualmente ai sondaggisti di volere che il loro Presidente abbia una forte fede personale.
                             
I Democratici, pertanto, con rinnovata intelligenza (e cinismo), hanno schierato personalità di forte impronta religiosa (beninteso non come il nostro - ad esempio - Buttiglione: siamo pur sempre in America): un ex pastore metodista in Ohio, un ex missionario in Virginia e un cattolico antiabortista in Pennsylvania. Inoltre hanno introdotto nell’organizzazione della campagna elettorale degli specialisti responsabili “di raggiungere il voto religioso”.
                             
I principali candidati democratici hanno parlato e parlano di Dio con un gusto mai prima sentito nel partito. Hillary Clinton ha sempre sottolineato di essere “una persona che prega” e di avere avuto in gioventù il desiderio di diventare un pastore; e ha definito l’aborto “una tragedia”, fra la rabbia dei progressisti.  Inoltre, alcuni Democratici hanno affermato e affermano che la lotta alla povertà ha le sue radici nella fede cristiana. Beh, è vero: i Vangeli parlano diffusamente della povertà, ma non fanno alcuna menzione dei matrimoni gay.
                           
Ma nessuno ha parlato e parla di Dio così bene come Obama, che ha una grande storia di conversione a suo credito: nato da un padre negro e da una donna bianca, entrambi agnostici, ha sentito “il richiamo dello spirito di Dio” fin dall’età giovanile, facendosi battezzare all’età di 26 anni. Ha parlato di Dio al suo partito, accontentandone sia la corrente religiosa che quella laica. E in questo ha battuto anche i repubblicani sul loro terreno, dato che,  ovviamente, avevano abbracciato la religione per motivi politici. Il Dio di cui parla Obama è quello di Abramo Lincoln (Repubblicano, il grande ricostruttore della Patria) e di Martin Luther King (Democratico, il grande emancipatore non violento dei negri e delle minoranze): si tratta di un Dio alla base delle più grandi riforme sociali che hanno reso – agli occhi degli americani – migliore e più grande l’America.
                            
Nel suo discorso alla Convenzione Democratica del 2004, quando si fece notare per la prima volta come “cavallo di razza” politico,  Obama parlò di un Dio “possente e tremendo”, vincendo consensi sia fra i Democratici che i Repubblicani. Sembrava che Obama e i Democratici avessero trovato tutte le soluzioni ai problemi di Dio nella politica. Ma……

Stava per andare tutto in pezzi.
Due predicatori ad alto numero di ottano nella città natale di Obama, Chicago, hanno scosso e mandato quasi a pezzi l’immagine di un Dio per tutti. Primo, il reverendo Jeremiah Wright della Chiesa della Trinità, negro e mentore e padre spirituale di Obama in anni giovanili, si è messo a urlare per TV “Dio maledica l’America”; poi, poche settimane fa, padre Michel Pfleger, un prete cattolico bianco, ha attaccato Hilary Clinton, definendola una “ragazza viziata e capricciosa”. Decisamente, una botta a qualsiasi tentativo di riconciliazione e di riforma sociale.
                              
A ben vedere, l’episodio ha qualche rassomiglianza con il famoso “non possumus” del Cardinal Ruini contro il Governo Prodi più o meno un anno fa, quando di fronte agli italiani attoniti e alle prese con  crisi economiche, reddituali, fiscali  e finanziarie mai prima affrontate e dolorose, la Chiesa minacciava la crisi di Governo su qualche stupidaggine di patti di convivenza civile come i DICO. L’hanno pagata cara, sia il cardinale Ruini, l’allora premier Prodi e le rappresentanze cattoliche in Parlamento, per la prima volta senza numeri nel potere legislativo del nostro Paese.
                               
Tornando all’America, i problemi divini di Obama non sono limitati alla Chiesa della Trinità, che ha formalmente abbandonato pochi giorni fa. Può darsi che abbia tranquillizzato l’etnia ebrea con discorsi molto equilibrati e inequivocabili il 4 Giugno. Ma i dubbi sul fatto che la sua “vera religione” potrebbe essere l’islamismo, permangono su una non piccola parte dell’elettorato.
                                
Obama può anche avere dei problemi con l’elettorato cattolico – un gruppo che è stato il più forte “swing bloc” (blocco pendolare decisivo) dai tempi dell’elezione di Ronald Reagan e che è sovrarappresentato in tutti gli Stati “swing” (pendolo). Hilary Clinton conquistò il 72 % del voto cattolico nelle primarie della Pennsylvania, ma solo il 59 % dei Democratici cattolici (paragonato al 70 % dei Protestanti) ha dichiarato in un sondaggio che voterebbe per i democratici se Obama fosse il candidato. Obama lascia i cattolici perplessi: in Massachusetts, ad esempio, neppure il robusto appoggio dei Kennedy gli ha conquistato la maggioranza di quei voti.

E poi c’è John McCain.
Le buone notizie per Obama sono che ha di fronte un avversario repubblicano che ha con Dio un mare di problemi. McCain ha un orecchio piuttosto sordo in fatto di religione: appartiene a quella generazione di politici dell’epoca pre – Reagan del Partito Repubblicano di Nixon e Ford, che ritenevano che la religione fosse qualcosa da coltivare privatamente. E’ molto più a suo agio nel parlare di coraggio, determinazione che di compassione e di problemi sociali, e durante un discorso prima della fine delle primarie non è apparso neppure sicuro nel definirsi un Episcopale o un Battista (negli Stati del Sud, chi non è dalla parte dei battisti è bene che si prepari a tornare a casa).
                                 
McCain ha anche fatto un grosso pasticcio nell’organizzare la sua campagna per quanto riguarda l’aspetto “divino”. Inizialmente aderì alla destra religiosa estrema (il reverendo Hegee ritiene che l’anticristo arriverà sulla terra sotto le vesti di un ebreo omosessuale) e il reverendo Parsley è violentemente anti–gay. E nell’opinione di molti suoi simpatizzanti non si sta occupando in modo serio dell’evoluzione nella Chiesa Evangelica, il che potrebbe fargli perdere parecchi voti.

La lotta ad armi pari e il gioco del “chi sarà fatto vincere ?”.
Quanto sopra rende, dopo molti anni, sostanzialmente paritaria la lotta di Obama e di McCain per la conquista del voto religiosamente orientato. La lotta sarà dura, con i Democratici alla caccia del voto Cattolico ed Evangelico, e con i Repubblicani che senza pietà cercano di fare di Obama e del suo ex padre spirituale Wright dei pericolosi rivoluzionari razziali e sovvertitori dell’ordine costituito.
                                   
E pensare che c’erano, sia in America che in Europa, molte persone che speravano che la politica americana bigotta, ignorante, arrogante, senza la benché minima cultura storica e con i paraocchi e inzuppata di religione fosse tramontata e che sparisse con l’uscita del bigotto Bush. Grave disillusione; e in Europa in particolare non ci resta che stare a vedere che succede, pensando che da tutto l’enorme pasticcio americano uscirà l’uomo più potente del mondo, che determinerà anche il nostro futuro.
                                    
Si può fare un gioco, quando si parla di elezioni Presidenziali americane, ed è quello del “chi sarà fatto vincere”. Non che sia totalmente ingiustificato: il secondo Nixon e Carter, ad es.,  furono creati dal nulla ed eletti da potentissime macchine elettorali. Clinton fu eletto abbastanza sinceramente, stante il peccato orribile del primo Bush di aumentare le tasse mentre aveva promesso in diretta TV di non toccarle. Il primo mandato del secondo Bush venne deciso da una Corte di Giustizia per una differenza di neanche 300 voti in Florida. Quindi, il gioco applicato a Obama e McCain non è ingiustificato.

Se viene fatto vincere McCain. Continua la presenza in Iraq e nel medio Oriente, con forti azioni molto possibili contro l’Iran. In queste settimane il Presidente Bush non fa mistero che con l’Iran “tutte le opzioni sono aperte”, intendendosi che un bombardamento degli impianti di arricchimento Uranio anche sotterranei dell’Iran è un azione inclusa in dette opzioni. I più autorevoli commentatori del New York Times e del Washington Post speculano che l’ordine di attacco – con la famosa “superbomba penetrante da 20 Ton”- (di cui su Internet si trova un’esatta descrizione, filmati dal vero inclusi) potrebbe essere dato in Ottobre, in modo che gli americani, un mese dopo, identifichino in McCain l’Unico Leader in grado di guidarli almeno per i prossimi quattro anni con carisma “bellico” e con cognizione di causa secondo i canoni tradizionali del mondo occidentale. Il complesso militare-industriale e la lobby ebraica che sostiene Israele sembrano essere dalla parte di McCain.
Se viene fatto vincere Obama. Di colpo il Terzo Mondo, che ora odia l’America visceralmente, ed in particolare l’Africa dalle immense risorse ora “prenotate” dalla Cina, vedrebbero nel nuovo Presidente “uno dei loro”, con incalcolabili ricadute nel pianeta, e con non pochi problemi per Cina, Giappone, Paesi Arabi ed Europa, i cui capi dovrebbero deferire, dopo tutto, ad un negro mezzosangue. La grande industria petrolifera e quella delle grandi infrastrutture a livello mondiale, sembra essere dalla parte di Obama.


Riferimenti: Economist, New York Times e Washington Post.