Mandami a dire. Ogni giorno...

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di Marisa Pessione.

Entrare in punta di piedi nel mondo degli ultimi e sentirsi come uno di loro. Perchè sei stato uno di loro. Una forma di condivisione che ti fa capire l'altro senza nessuna velleità di salvarlo, ma con la consapevolezza di offrirgli un'opportunità per esprimersi e raccontarsi. Pino Roveredo, scrittore triestino che ci ha lasciati da circa un mese, ha sperimentato tutto ciò e ha dato voce, attraverso racconti e diversificate forme di espressione artistica, gestuale e teatrale, a quegl'ultimi (malati psichiatrici, alcolisti, tossicodipendenti, ex detenuti) suoi compagni di strada nella perdizione reale e immaginifica...

E dalle sue parole viene fuori questa sua reale vicinanza a quel mondo sommerso (di cui ne ha fatto parte in alcuni periodi della sua vita) che esiste e ha il giusto diritto di essere raccontato.

«Degli ultimi mi sento sempre parte integrante. Non vorrei per tutta la vita diventare primo in qualcosa. Dopo non rimane più spazio per niente. Da mio padre ho ereditato un grande amore per il ciclismo: ma la mia passione sono i gregari, non i campioni. Ho insegnato ai miei figli ad essere qualche volta maglie nere, senza l'ansia di diventare a tutti i costi primi in classifica. E' la brutta ansia di questa società che rifiuta di conoscere la sconfitta e insegna ai ragazzi a viverla come un dramma. Senza capire che, invece, è un passaggio della vita».

Ma Roveredo è capace di ascoltare con una sensibilità particolare tutto quello che lo circonda. Figlio di due genitori sordomuti, ha colto la fortuna di aver conosciuto il silenzio prima del rumore: «per anni,con papà e mamma, ho parlato il linguaggio dei gesti. E forse devo a questo un certo modo di scrivere, di togliere e aggiungere alle frasi, di tagliare i verbi. Nell'abbraccio infinito del silenzio, ho imparato che comunicare con i gesti richiede un'esplosione di fantasia per capirsi, distinguere. Ci vogliono anche molto rispetto e attenzione per parlare con le mani e ascoltare con gli occhi. E non si può mentire perchè la distrazione del destino che ha tolto ai sordi un senso, ne agevola altri».

L'incontro con la sue parole è stata per me un bella sorpresa, un'immersione dolce che mi è casualmente capitata un paio di anni fa e ha lasciato un piacevole segno nelle mie emozioni. E in una notte d'estate, su una collina delle Langhe dove lo sguardo si perde nel buio e ne assapori il suo silenzio, tiri fuori dal tuo zaino anche un po' di cibo per la mente da condividere con altri.
Così Roveredo è entrato a fa parte di queste colline, con le sue pennellate a tinte forti su quell'universo di emarginati e sul loro rapporto difficile con la libertà e la dipendenza ma anche con i suoi tenui colori acquerellabili che avvicinano all'amore e alla dolcezza. Ma è entrato anche a far parte di ognuno di noi che lo ha saputo ascoltare, anche solo in una notte d'estate.

La vita è un gioco fatto di capriole in salita (titolo evocativo di un suo libro autobiografico) dove tutto è possibile, ma senza certezze sul domani che ci aspetta e sul sentiero da percorrere per salvarsi. L'unica capriola non riuscita è quella che ci porta al termine della nostra esistenza. Ma non possiamo raccontarla. O forse non è così?

«Un giorno arriverà il tramonto e si siederà sopra il sole, ma in quel momento il sole si rifiuterà di scendere giù, giù in fondo al mare, allora succederà che ci sarà luce tutto il giorno, sarà la volta che i curiosi non si sveglieranno dal riposo e tu, tu non sarai astratta come il sogno. Sarà un giorno senza numero, senza mese, senza anno, e io e te avremo conquistato l'eternità.
Ci credi? Se sì, mandami a dire».