E' l'ora del 25 aprile

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Lo ricordiamo con un passo di Beppe Fenoglio (da "Il partigiano Johnny").

Lassú si schioccò indietro il berretto e: – Che ve n’è sembrato dell’inverno, ragazzi? – disse. – Non è stata una grande, tremenda cosa? Lo è stata, ve lo dico io, ed è la cosa della quale ci vanteremo maggiormente. Non è così?
Vi vedo legnosi e intirizziti. Animo, dunque! L’inverno venturo saremo in pace, forse in una bella camera, calda a ventidue gradi, forse in vestaglia, forse in pantofole e forse, pensateci! sposati. Pensate che tragedia, che comica! – e tutti gli uomini risero altamente e strainedly. – Scommetto la testa, proseguì Nord, – che ci assalirà allora una barbara nostalgia di questo terribile inverno e piangeremo, sì piangeremo sulla sua memoria. Quindi, un evviva a questo inverno!...

Gli uomini hurraed e nel successivo silenzio un vicino di Johnny disse con buona voce: – Ha ragione. Che diamine faremo il prossimo inverno, senza più la pelle da salvare, senza più fascisti con cui avere a che fare? – E nel vacuo interrogativo correva un alto brivido.

Nord continuò: – Noi siamo oggi centocinquanta, i migliori, le colonne della casa, la grande vecchia guardia invernale, – gli uomini si applaudirono, – …domani saremo trecento, entro il mese, ve lo garantisco, saremo mille. La settimana prima di marzo saremo duemila e avremo armi ed equipaggiamento per cinquemila -. Qui echeggiò un evviva selvaggio, da sentirsi oltre Belbo ed oltre Bormida, e lo seguì un altro applauso, meno eccelso ma altrettanto sentito, e Johnny voltandosi vide la cresta inferiore tutta guarnita di contadini che agitavano le mani. E Johnny benedisse l’inverno che aveva gestato nel suo freddo letale il calore di questo giorno necessario.

Dai ranghi sgusciò un uomo e si appressò a quel podio naturale di Nord: era basso e bruno, ex ufficiale dell’esercito e meridionale degli infimi.

– Comandante, – gridò, – tu parli dell’inverno come finito. Ma io ti ricordo che ce ne resta ancora un paio di mesi in questi disgraziatissimi posti settentrionali -. L’assembramento ruggì di risate.

– Io parlo, – proseguì, – io ho l’onore di parlare a nome dei paesani miei terroni, di noi che soffriamo atrocemente freddo e ne soffriremo fino al 21 marzo.

Nord rise. – Leo, che colpa ne ho io, ne abbiamo noi se voi siete sporchi, tremolanti terroni? – E di nuovo ruggirono risate mai il nord aveva tanto amato il sud e viceversa. E sui greppi costanti i contadini risero in cieca simpatia.

– Lasciatemi dirvi ancora un paio di cose necessarie, perché anch’io sto diventando mortalmente stufo di questo discorso. Dissi che avremo avuto armi ed equipaggiamento per cinquemila uomini. Ora mi spiego. Una nuova missione inglese, la più folta e completa della storia, è stata paracadutata nel territorio di Lampus. Rimarrà lassú il tempo necessario per rimpannucciarlo con una serie senza precedenti di lanci, poi scenderà da noi. Scenderà da noi e fa di noi una grande unità -. Un boato esplose e in esso miscelato qualche cantare, fuori da gole sforzate. – Avete tutti ben capito Johnny, parlo a te in particolare.

Sai il lavoro che ti aspetta. Avremo migliaia di uomini in uniforme, piazzeremo un bren ogni dieci metri del nostro fronte, cancelleremo dalla faccia della terra le loro guarnigioni di Alba e di Asti. E avremo tutto il resto: sigarette, medicine, cioccolato, biancheria, calze.

Il discorso e l’adunata insieme erano finiti, Nord si apprestava a ricalarsi in Valle Belbo per il suo nuovo quartier generale. Si voltò ancora da Johnny, per schernirlo: – Sei morto, Johnny, se il tuo inglese è un bluff.

Poi Pierre venne da Johnny e informò che si ripristinava il vecchio sistema dei presidi. Johnny scosse appena la testa, opacamente, più in indifferenza che in critica. – Come prevedibile, – disse Pierre, – io sono stato nuovamente destinato a Mango. Non ho chiesto te e Franco, e mi siete stati concessi. Naturalmente darò il via appena si presenterà il tuo lavoro con gli inglesi -. guardò intorno con imbarazzo e disse: – Dobbiamo avere venticinque uomini fra i presenti. Aiutami a sceglierli. Gli uomini vennero scelti ed inquadrati. Johnny e Franco marciarono a Mango a sistemarli, mentre Pierre saliva a dissotterrare il suo Mas. Dai nuovi ranghi Johnny lo seguì con gli occhi affrettarsi sulle sue gambe brevi e strenue verso il suo regno invernale e si sforzò di amarlo quanto prima. Ma quel patch non sarebbe stato cancellato né sommerso mai.

Johnny non si trovava più; quel patch, lungi dal scancellarsi, ampliava. Non sopportava più comunanza né routine, scapolava la collettività, la perlustrazione e la guardia. Pierre lo lasciava vivere ed oziare, con una sorta di acida comprensione, con una certa ugual premura e con Franco si accollò tutto il lavoro di risistemazione del presidio. In meno di una settimana esso rassomigliò all’antico presidio, ma con uomini più collaudati. Qualcun altro si era aggiunto, emergendo per ultimo dal maelstrom invernale, cosicché ora il presidio contava una cinquantina di uomini. Anche i borghesi, sembrava, erano tornati all’antica sodalità e condiscendenza, sicché Johnny era anche più profondamente ferito dalla constatazione che lui solo fra tutti non marciava più come prima. In più, risentiva come forse nessun altro quel normale, troppo normale progredire verso la primavera ed i suoi grossi, anormali fatti.

La situazione munizioni era la peggiore di tutte le scoraggianti registrate nella storia partigiana; in un serio impegno il più fornito degli uomini sarebbe andato in secco in meno di dieci minuti, personalmente a Johnny restava un caricatore da sten. Quasi ogni giorno, una staffetta partiva da Mango per il quartier generale di Nord a chiedere degli inglesi e dei lanci. Gli inglesi indugiavano ancora presso Lampus e nessuno poteva prevedere l’epoca della loro discesa presso Nord. E quasi ogni notte si poteva sentire sulle alte colline a sud il rombo da bourru bienfaisant dei quadrimotori inglesi ed al mattino qualche sentinella giurava di aver scorto, in un momento particolarmente favorevole, l’alone dei fuochi di terra nelle conche recipienti e, addirittura, il gioco luminoso dei fari di ventre degli aerei.

L’attesa era così esasperante che alcuni uomini minacciarono di passare ai comunisti. – Sappiamo benissimo, – dicevano, – che la Stella Rossa non riceve lanci. Ma almeno da loro uno ha subito il cuore in pace e non si rode il fegato -. E un altro, senza accenno alla transfuga.

– Lampus è certamente un grande capo, ed io mi metterò sempre sull’attenti davanti a lui, ma lasciatemi dire che mi pare un po’ troppo buono per se stesso.

Il giorno successivo un allarme sobered e frowned gli uomini e le cose.

Borghesi in fuga dalle colline avvisarono che i fascisti della città stavano puntando oltre Trezzo a Neviglie e Mango. Pierre schierò i suoi pochi uomini – alcuni stavano in trincea con pistola pura – e attesero sotto il cielo canuto, nel vento ghiacciato. Un altro stormo di fuggiaschi avvisò che erano già penetrati in Neviglie e stavano mettendola sottosopra con grim, silenziosa minuziosità. Ne presero nota e tennero sotto gli occhi la vaga cresta di Neviglio piantata a cipressi. Non c’era niente da vedere. Tuttavia due nobili di Mango salirono alla loro posizione a domandare se erano in grado di difendere ragionevolmente il paese.

Senza guardarli in faccia, Pierre disse che gli uomini avevano sì e no un caricatore a testa. Dissero i notabili: – In questo caso il paese spera che lasciate loro strada senza colpo sparare. Se non sparate, occuperanno il paese ma non dovrebbero farci nulla. Nulla alle vite, intendiamo dire. Quanto alle cose, ci siamo ormai fatti il callo -. Pierre annuì senza parole e i notabili ripartirono, mentre essi rifissavano la cresta di Neviglie.

Lunghissima era l’ombra e tetra, dei cipressi sulla neve grigia e corrotta.

Finché su di essa scivolò avanti la loro avanguardia, rannicchiata e elettrica, scrutando ed annusando tutt’intorno come bestie. Ma il grosso non venne in vista e dopo un po’ i pattugliatori tornarono indietro, nerastri, antennati animali sulla terra senza luce.

Allora Franco eresse e disse: – Dio santo, doverli evitare ed aver bisogno del contatto come e più dell’ossigeno.

Nel pomeriggio staccarono un uomo da Nord a esporgli il rischio di oggi e a batter cassa per armi e munizioni. Tornò a mani vuote, ma con promesse. La missione inglese aveva pressoché unito con Lampus e Nord nel frattempo stava accumulando un carico per Mango: un bren e disparate munizioni. Nella notte Pierre Johnny e Franco andarono da Costantino a sentire la Radio inglese. Il bollettino non li interessava, erano tutti appuntati ai messaggi speciali ai partigiani del nord, lasciandoli in una doccia scozzese di ira e speranza e frustazione.

Il carico tardava, furono più puntuali i fascisti. Una grossa colonna semimotorizzata salì da Asti e senza soste e senza intralci puntò direttamente su Mango. Gli automezzi erano stati fermati trecento metri dal paese ed ora gli uomini avanzavano verso l’obiettivo, desolato e spento e passivo in un mattino bianconero, con cenci neri d’inferno di nuvole sparse in un letto bianco latte, il cielo a specchio perfetto della terra sottostante, con le sue chiazze di neve intatta e di terra scoperta. I partigiani scamparono verso destra, pigramente, con molte fermate, talvolta stando in piena vista, pendule le armi vuote e i pugni ficcati in tasca, senza una dirittura in tutto il loro profilo. Pierre accennò ad un loro possibile fuoco dei mortai, ma questo non accelerò nemmeno un po’ gli uomini. E come l’avanguardia fascista entrava nell’alleanza del paese, gli ultimi indugiatori stavano esattamente a metà strada fra gli invasori e il grosso di Pierre. Franco brontolò: – Vi pare davvero che ci siamo sbandati? Questo è peggio dello sbandamento di dicembre -.

Raggiunsero gli altri in una conca, il vero albergo del freddo e del ghiaccio, e sedettero per ore rabbrividendo al vento e alla terra bagnata. Ore passarono e dal paese occupato non sorgeva colonna di fumo né detonazione né urlio; come uno di loro osservò, essi parevano i parenti nell’anticamera di una sala operatoria mentre il congiunto è sotto i ferri. Poi alcuni uomini, non potendone più, si levarono, con larghe applicazioni di fango sulle natiche smunte, e nauseatamente guardarono, oltre il parapetto della conca, al paese sotto tortura.

Johnny si coprì gli occhi, per accecarsi alla miseria della giornata.

Quanto aveva sognato il reimbandamento nei giorni più soli di dicembre e gennaio, e questo era quel sognato compire, quel sognato godere?

Sognò di essere già con gli inglesi, era già lontanismo da questi compagni con cui ora era ancora a contatto di gomiti e cosce, a operare per loro e non più per loro. Si risentì orribilmente a sentirsi gomitare, ma era semplicemente Franco che gli additava la colonna fascista evacuante Mango. Stavano allungandosi serpentinamente sulla strada a Sant’Ambrogio, sculettanti, gli zaini ballonzolanti a tempo di marcetta, poi la curva li ingoiò tutti e riapparirono solo più tardi sulla strada in cresta. Un uomo bestemmiò e risedette sul fango, quasi ci infisse il sedere. – Non spettatevi che io rientri in paese. Non ho questa faccia.

Per piacere non aspettatevi questo da me -. Franco vide il disagio negli occhi di Pierre e gli gridò di alzarsi e non far lo stupido, tutti gli ripeterono di non far lo stupido. Ma intanto Pierre aveva preso netto dominio e ordinò a Johnny e quattro altri uomini di tenergli appresso, di accertarsi che decampassero effettivamente, che non si trattasse di un trucco.

Si precipitarono per il pendio verso la strada grande, con le freschissime impronte dei fascisti nettissime sulla patina fangosa. Nel paese la vita civile stava rinascendo, riemergendo, molto cautamente: un uomo più ardito degli altri uscì primo sulla strada e domandò con avidità e pessimismo che mai andassero a fare ora e Johnny non rispose, ma vide la faccia di un suo compagno, gelida, quadrata faccia, solcata da lacrime roventi di vergogna e di velleità. Intanto qualcosa doveva esser avvenuto a monte, perché di lassú si gridava a loro e si facevano segnali.

Mossero intrigati a metà collina e tutto il grosso del presidio stava scendendo attorno a carro pieno di munizioni.

Pierre disse: – Fino ad ora ci siamo vergognati, ma il pomeriggio sarà diverso. Inseguiamoli, agganciando la loro retroguardia e facciamone fuori qualcuno. – Possiamo e dobbiamo farlo,- disse Franco. Il grosso degli uomini si era buttato sul carretto ed ora lo saccheggiava con mani rapaci ed occhi ciechi. Anche Johnny ci si buttò, ma in quel momento venne chiamato, dall’ufficiale che aveva comandato la scorta al carro. – Tu sei Johnny ? Vieni immediatamente al comando con noi.

– Verrò stasera, – disse Johnny.

– Ordine di Nord. Vieni immediatamente su con noi.

– Che c’è di nuovo?

– Sta arrivando la missione inglese.

Sarà da noi per le due. Con l’ordine di Nord. A capo sta un certo maggiore Hupp.

– Hupp!?

– Hup, hop, hip, o hap! L’essenziale è che è un maggiore inglese e ha la trasmittente.

Johnny si guardò intorno, gli uomini si erano già tutti rimpannucciati e si eccitavano per l’inseguimento.

– Dì a Nord che verrò infallantemente stasera.

– Stasera Nord ti metterà al palo.

– Stasera, succeda quel che vuole.

Mi giustificherò io con Nord -.

E si ributtò al carretto, ma era stato tutto ripulito e Johnny rimase con quel suo unico vecchio caricatore. Si mischiò alla colonna e Franco lo guardò interrogativamente.

Stava annodandosi alla fronte il suo fazzoletto azzurro. – Molto probabilmente finirà in un pasticcio, – disse Johnny, – . La mota dev’esser rimessa in moto, anche se i suoi primi denti macineranno proprio noi.

Pierre disse a Johnny: – Passa in testa e tira ai dieci all’ora.

Johnny eseguì e in un minuto le sue gambe già pistonavano freneticamente, con la travolgente sensazione del terreno che gli sfuggiva sotto i piedi come una guida di velluto. Condusse così per paio di chilometri e già era in vista il paese di Valdivilla. Si voltò giusto un attimo e vide dietro di sé Tarzan e Settimo che lo seguivano bene, Pierre che sgambava a mezza corsa e dietro la colonna già tutta sgranata. Penetrarono nel paese e pochi e tremuli individui li avvisarono che i fascisti si erano fermati un po’ per sosta riposo, in uno slargo fangoso si vedevano bene le impronte delle piastre dei mortai riposate. Un uomo più calmo degli altri profetò che a parer suo non li avrebbero raggiunti, a quest’ora gli ultimi fascisti avevano già valicato la strada di San Maurizio e stavano comodamente scendendosene su Santo Stefano.

Ma Pierre gridò di marciare avanti e Johnny riprese quel passo omicida, ogni tanto voltandosi a guardar dietro, la colonna sempre più frazionata, qualcuno fermo ai mucchi di ghiaia, piegato, scoppiato.

Pierre galleggiava ancora su quei marosi di frattura e sfinimento. Johnny braced e marciò più forte ancora. Dopo un’ultima curva apparve la sommità della collina, idilliaca anche sotto quel cielo severo e nella sua grigia brullità. A sinistra stava un crocchio di vecchie case intemperiate, appoggiate l’una all’altra come per mutuo soccorso contro gli elementi della natura e la stregata solitudine dell’alta collina, a destra della strada, all’altezza delle case stava un povero camion a gasogeno, con barili da vino sul cassone. Johnny rallentò e sospirò, tutto parendogli sigillare la speranza e l’inseguimento, il segnale per il ritorno a mani vuote. Si voltò e vide serrar sotto mozziconi della colonna, tutti sfisonomiati ed apneizzati dalla marcia. Quando una grande, complessa scarica dalle case fulminò la strada e Johnny si tuffò nel fosso a sinistra, nel durare di quella interminabile salva. Atterrò nel fango, illeso, e piantò la faccia nella mota viscosa. Si era appiattito al massimo, era il più vicino a loro, a non più di cinquanta passi, dalle case vomitanti fuoco.

Gli arrivò un primo martellare di fucile semiautomatico ed egli urlò facendo bolle nel fango, poi tutt’un’altra serie ranging ed egli scodava come un serpente, moribondo. Poi il semiautomatico ranged altrove ed egli sollevò la faccia e si sdrumò il fango dagli angoli. Set giaceva stecchito sulla strada. Poi fuoco ed urla esplosero alle sue spalle, certo i compagni si erano disposti sulla groppa della collina alla sua sinistra, il bren frullava contro le finestre delle case e l’intonaco saltava come lavoro d’artificio. Tutto quel fuoco e quell’urlio lo ubriacò, mentre stranitamente si apprestava all’azione ad occhi aperti. Si sterrò dal fango e tese le braccia alla proda erta e motosa, per inserirsi nella battaglia, nel mainstream del fuoco. Fece qualche progresso, grazie a cespi d’erba che resistevano al peso e alla trazione, ma l’automatico rivenne su di lui, gli parve di vedere l’ultimo suo corpo insinuarsi nell’erba vischiosa come un serpe grigio, così lasciò la presa e ripiombò nel fosso. E allora vide il fascista segregato e furtivo, sorpreso dall’attacco in un prato oltre la strada, con una mano teneva il fucile e con l’altra si reggeva i calzoni, e spiava il momento buono per ripararsi coi suoi nelle case. L’uomo spiava, poi si rannicchiò, si raddrizzò scuotendo la testa alla situazione. Johnny afferrò lo sten, ma appariva malfermo e inconsistente, una banderuola segnavento anziché una foggiata massa di acciaio. Poi l’uomo balzò oltre il fossato e Johnny sparò tutto il caricatore l’uomo cadde di schianto sulla ghiaia e dietro Johnny altri partigiani gli spararono crocifiggendolo. Johnny sospirò di stanchezza e pace. La raffica era stata così spinosa che Johnny aveva sentito quasi l’arma involarsi dalle sue mani.

L’urlio più del fuoco massimo assordava, i fascisti asserragliati urlavano a loro «Porci inglesi!» con voci acutissime, ma quasi esauste e lacrimose, da fuori i partigiani urlavano:

«Porci tedeschi!

Arrendetevi!»

Poi Johnny riafferrò l’erba fredda, affilata. L’automatico tornò su di lui, ma con un colpo solo, quasi soltanto per interdizione, Johnny stavolta non ricadde nel fosso, prese altre due pigliate d’erba e si appoggiò col ventre al bordo della ripa. Lì stavano i suoi compagni, a gruppi e in scacchiera, stesi o seduti, Pierre nel centro, che miscelava economiche raffiche del suo Mas nel fuoco generale. Johnny sorrise, a Pierre e a tutti, gli stavano a venti passi ma sentiva che non li avrebbe raggiunti mai, come fossero a chilometri o un puro miraggio.

Comunque superò tutto il risalto e fu con tutto il corpo nel grosso della battaglia. Il fuoco del bren sorvolava di mezzo metro, il semiautomatico stava ranging di nuovo su lui. Chiuse gli occhi e stette come una piega del terreno, tenendo stretto a parte lo sten vuoto. Un urlo di resa scrosciò nelle orecchie, balzò a sedere alto nell’aria acciaiata, brandendo la pistola verso la strada. Ma erano due partigiani che stavano a ripararsi dietro il camion per di là prender d’infilata certe finestre ignivome e correndo urlavano ai fascisti di arrendersi. Il fuoco dei suoi compagni gli scottava la nuca e gli lacerava i timpani, come in sogno individuò la voce di Pierre, urlante e vicina all’afonia.

Scoccò un’occhiata alle case ma non vide che una finestra a pianterreno, ed un fascista ripiegato sul davanzale, le braccia già rigide tese come a raccattar qualcosa sull’aja. La voce di Pierre gli tempestava nelle orecchie, incomprensibile. Braced and called up himself: questa era l’ultima, possibilità di sfuggire a quell’incubo personale e inserirsi nella generale realtà.

Sguisciando nel fango fece rotta su Pierre mentre un mitragliatore dalle finestre apriva sulla loro linea e Franco ci incespicò netto, e cadde, con un maroso di sangue erompente dal suo fazzoletto azzurro, e giacque sulla strada di Johnny.

Johnny scansò il cadavere, lentamente, faticosamente come uno che debba scansare un macigno e arrivò stremato da Pierre. Debbono arrendersi, – gridò Pierre con la bava alla bocca, – ora si arrendono -. E

urlò alle case di arrendersi, con disperazione. Johnny urlò a Pierre che era senza munizioni e Pierre se ne inorridì e gli gridò di scappare, di scivolar lontano e via. Ma dov’era il fucile di Franco? Girò sul fango e strisciò a cercarlo.

Ora i fascisti non sparavano più sulla collina, ma rispondevano quasi tutti al fuoco repentino e maligno che i due partigiani avevano aperto da dietro il camion. I fusti vennero crivellati e il vino spillò come sangue sulla strada. Poi dalla casa l’ufficiale fascista barcollando si fece sulla porta, comprimendosi il petto con ambo le mani, ed ora le spostava vertiginosamente ovunque riceveva una nuova pallottola, gridando barcollò fino al termine dell’aja, in faccia ai partigiani, mentre da dentro gli uomini lo chiamavano angosciati. Poi cadde come un palo. Ora la montagnola gridava e riceveva il fuoco generale. Johnny smise di cercare il fucile di Franco e tornò carponi verso Pierre. Gridava ai fascisti di arrendersi e a Johnny di ritirarsi, mentre inseriva nel Mas l’ultimo caricatore. Ma Johnny non si ritirò, stava tutto stranito, inginocchiato nel fango, rivolto alle case, lo sten spallato, le mani guantate di fango con erba infissa. – Arrendetevi! – urlò Pierre con voce di pianto. – Non li avremo, Johnny, non li avremo -. Anche il bren diede l’ultimo fallo, soltanto il semiautomatico pareva inesauribile, it ranged preciso, meticoloso, letale. Pierre si buttò a faccia nel fango e Tarzan lo ricevette in pieno petto, stette fermo per sempre. Johnny si calò tutto giú e sguisciò al suo fucile. Ma in quella scoppiò un fuoco di mortai, lontano e tentativo, solo inteso ad avvertire i fascisti del relief e i partigiani della disfatta. Dalle case i fascisti urlarono in trionfo e vendetta, alla curva ultima del vertice apparve un primo camion, zeppo di fascisti urlanti e gesticolanti.

Pierre bestemmiò per la prima ed ultima volta in vita sua. Si alzò intero e diede il segno della ritirata. Altri camions apparivano in serie dalla curva, ancora qualche colpo sperso di mortaio, i partigiani evacuavano la montagnola lenti e come intontiti, sordi agli urli di Pierre. Dalle case non sparavano più, tanto erano contenti e soddisfatti della liberazione.

Johnny si alzò col fucile di Tarzan ed il semiautomatico…

Due mesi dopo la guerra era finita.