Catastrofe incombente

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di Matteo De Salvia.

Questo titolo di giornale “Cassazione: legittimo il licenziamento se l'azienda vuole aumentare i profitti” mi ha richiamato a ripensare allo sconvolgimento che si prospetta nel mondo del lavoro, nonostante il dettato costituzionale che sancisce la valenza sociale del lavoro. Una vera e propria catastrofe: il lavoro, come l’abbiamo conosciuto e praticato per secoli, tende a sparire. Proprio così ...

Non si tratta solo dell’ennesima rivoluzione industriale dettata da nuove tecnologie immesse nel processo produttivo, ma di qualcosa di più profondo e radicale. Da una parte l’automazione dei meccanismi ripetitivi, dall’altro la robotica avanzata applicata in campi dove pareva non dovesse mai arrivare. E poi ancora la diffusione pervasiva delle applicazioni legate alle reti dell’informatizzazione e, soprattutto, lo sviluppo clamoroso dell’intelligenza artificiale che sta per trovare applicazioni pratiche inimmaginabili: una per tutte sarà lo sviluppo della capacità di diagnostica medica più certa e precisa di quella umana.
Il tutto sommato ai processi innescati dalla globalizzazione che ha fatto progressivamente delocalizzare nei “Paesi poveri” intere filiere di produzioni ad alto contenuto di mano d’opera; con conseguenze contrapposte: da una parte ha dato prospettive di benessere a circa un miliardo di individui che ne erano privi, dall’altra ha generato e diffuso disoccupazione e impoverimento per decine di milioni di lavoratori nei Paesi di prima industrializzazione.

Cose che pochi lustri fa solo gli scrittori di fantascienza potevano immaginare.
Se dal punto di vista della produzione di beni e servizi si faranno grandi passi avanti, liberando sempre più l’uomo dalla fatica, questa prospettiva produrrà la disoccupazione per molti milioni di individui. Con conseguenze inimmaginabili.
Né sembra che i Governi siano in grado d’intervenire, neanche con la ricetta keynesiana: “fate scavare dalla gente buche nel terreno e poi fategliele riempire” pur di dare loro uno stipendio per vivere. Oggi le buche possono essere scavate da macchine telecomandate anche a distanza.

Da qualche tempo si legge e si sente parlare di salario minimo, vitale, di cittadinanza quasi ad esorcizzare un evento troppo grande, che nessuno sa come affrontare, senza peraltro indicare da dove trarre le risorse, vista l’estrema mobilità del denaro che sfugge sapientemente alle pur necessarie imposizioni. Per poi dover affrontare le molteplici implicazioni connesse allo sconvolgimento delle vite una volta private dalla funzione personale e sociale dell’attività lavorativa.

Tutto questo avviene essenzialmente in nome e per conto del santo profitto vero totem venerato nella odierna civiltà capitalistica, fondata ormai sulla finanza di rapina a niente altro attenta se non a massimizzare il risultato di ogni investimento.

Quando ci si è rivoltati distruggendo le macchine che toglievano il lavoro (luddismo), si era accusati di gretta ignoranza. Oggi, che si è acculturati a livello mediamente elevato, nessuna manifestazione significativa di massa si vede all’orizzonte. Quasi che la cosidetta civiltà dei consumi abbia amputato il pensatorio, privandolo della capacità di esercitarsi nella valenza del noi e relegandolo nell’unica funzione di provvedere a se stessi. Da lì al ritorno ad una nuova barbarie, il passo non è molto lungo e il rischio dell’homo homini lupus di hobbesiana memoria non è del tutto infondato.

E’ deprimente costatare come sia sempre più difficile diffondere il seme che sviluppa l’accesso alla consapevolezza del nostro andare, per rifarci fronte di massa solidale in grado di difendere almeno quanto necessario ad assicurare la dignità a ciascun essere umano.