Quello che non fa notizia

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Imagedi Juan Goytisolo. (Tratto dal quotidiano spagnolo “El Pais” del 5/11/2010. Traduzione di Gabriella Sanlorenzo).

Come sostengono i teorici delle scienze dell'informazione, il contenuto di una notizia varia in funzione della sua probabilità. Quanto più essa è improbabile, maggiore sarà la sua rilevanza. Che una pandemia causi migliaia di morti in Africa o che un capo militare organizzi un colpo di Stato e instauri una dinastia tribale, quasi non fa notizia. Lo sarebbe, al contrario, se accadesse in Europa o se qualcuno dei suoi presidenti decidesse di perpetuare il proprio mandato o se nominasse come erede del suo potere politico il proprio figlio. Questo desterebbe sorpresa e costituirebbe un vero “notizione” ...

Dico questo a proposito di quanto accade nei territori occupati della Palestina da decenni ed elencherò alcuni esempi che, dal momento che risultano “scontati”, paiono quasi non meritare l'attenzione della stampa.

Leggiamo un giorno, in un minuscolo riquadro, che alcuni coloni “estremisti” israeliani hanno dato fuoco alla mezquita di Beit Fajjar, un comune situato a sud di Belén e ci accorgiamo così - per caso - che è il quarto attacco organizzato da quei coloni contro i templi musulmani negli ultimi nove mesi: il contenuto informativo di questi atti vandalici è scarso e non merita l'attenzione dei mezzi di comunicazione.

Se i palestinesi di Hamas o della Jihad islamica dessero fuoco a quattro sinagoghe, i principali periodici europei e nordamericani commenterebbero, al contrario, con gran ricchezza di dettagli, la barbarità di tali atti e i loro editorialisti si straccerebbero le vesti con giusta indignazione.

Il fatto che alcuni coloni armati con kalashnikov irrompano nei campi adiacenti i loro insediamenti illegali e seghino gli olivi centenari di chi ha la sfortuna di vivere nella terra dei propri antenati, invece non fa notizia: eppure capita molto spesso nella Cisgiordania occupata. Tantomeno fa notizia il fatto che una famiglia palestinese venga “sloggiata” a forza dalla sua casa in Gerusalemme Est coerentemente con l'inesorabile processo di israelizzazione della città, né l'inarrestabile costruzione del Muro che isola le città ed i comuni cisgiordani e impone ai suoi abitanti condizioni di vita più crudeli di quelle esistenti in Sudafrica al tempo dell'apartheid, eccetera.

In quanto, poi, alla situazione regnante nel ghetto miserrimo di Gaza, dove si ammucchiano un milione e mezzo di palestinesi assediati per terra, mare e aria, tale abuso viene considerato da parte di alcuni come un fatto naturale, del quale sono responsabili gli stessi assediati per il solo fatto di avere votato Hamas.

La sofferenza e le umiliazioni quotidiane dei palestinesi hanno smesso di fare notizia.

Solo gli episodi di violenza ed attacchi brutali, come l'operazione “Piombo Fuso” del dicembre 2009 in cui si distrusse la Striscia (di Gaza, n.d.t.) con bombe aeree, obici e fosforo bianco o l'assalto alla flotta umanitaria turca, smuovono un’opinione mondiale che sembra essere stata mandata in letargo da parte della reiterazione di una violenza che è ormai pane di tutti i giorni.

La cecità ideologica e religiosa degli ultras che dettano la politica di Tel Aviv è solo comparabile a quella di coloro i quali tentano di cancellare dalle carte geografiche lo Stato ebreo. Ahmadinejad e Lieberman – con la sua luminosa idea di “ricollocare” i palestinesi in Giordania  - si complementano e rafforzano reciprocamente con la loro funesta retorica. Unicamente quelli che conservano un poco di lucidità e senso della giustizia (non dico senso comune perchè è molto poco comune ai tempi che corrono …) possono aprire il cammino che conduca all'esistenza di due Stati con le frontiere già internazionalmente riconosciute prima della Guerra dei Sei Giorni.

Disgraziatamente, la scarsa partecipazione dell'Unione (o Disunione) Europea e la patetica incapacità della Lega Araba (una vera barzelletta) non aiutano a consolidare un accordo duraturo ed equo. Il “messaggio delle scavatrici”, del quale si lamentava da anni Jeff Halper, e il vittimismo con il quale si proteggono i difensori della Grande Israele (quella che va dal Mediterraneo al Giordano, ma addirittura c'è chi la estende fino all'Eufrate) sono i peggiori nemici della pace a cui aspirano molti israeliani e la maggioranza dei palestinesi.

Per questo si dovrà seppellire il linguaggio del viceministro della Difesa di Tel Aviv Matan Vilnaì, quando afferma la necessità di provocare un olocausto ai palestinesi se non fosse cessato l'infruttuoso lancio di sassi a Siderot ed ascoltare le parole di qualcuno - così poco sospettabile di antisemitismo - come il grande antropologo recentemente scomparso Claude Lévi-Strauss: “Non posso sentire come una ferita aperta nel fianco la disgregazione dei Pellerossa e reagire al contrario quando si tratta di arabi palestinesi”.

Non aspettiamo che la “mediatizzazione” da parte della stampa di fatti come quello della carica in automobile da parte di un fautore della ristrutturazione urbanistica di Gerusalemme Est sui bambini che la colpivano a sassate ai piedi della muraglia antica della città, ci ricordi le dimensioni della tragedia vissuta da un popolo che nulla ebbe a che vedere con la mostruosità infinita dell'Olocausto.

Dobbiamo rimanere attenti, giorno dopo giorno, a quello che accade e che proprio per questo motivo non fa notizia.