Le mafie crescono nel Nord Italia. Ma non ad Asti ...

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Imagedi Alessandro Mortarino.

 

Non è stato un semplice incontro quello che la società civile astigiana ha organizzato la scorsa settimana con Giulio Cavalli e Gian Carlo Caselli, ma un autentico abbraccio. Un’occasione perfetta per ragionare a 360 gradi di infiltrazioni mafiose attraverso le voci all’unisono di un magistrato e di un “sotto scorta” che ci ricordano che il terreno adatto per l’inserimento della criminalità organizzata nel tessuto sociale sia un’economia ricca ma in crisi. Come quella delle città del nord Italia. Ad esempio Asti ? Assolutamente no. O, forse, sì ? Lanciamo una proposta …

Una proposta molto semplice: costituire un Osservatorio provinciale sulle mafie, sulla falsariga di quello creato poche settimane fa da “Libera” a Novara. Con due obiettivi principali:

 

- osservare i fenomeni riconducibili alle mafie presenti sul territorio astigiano, superando il livello della cronaca ma cercando di metterne in evidenza le dinamiche, gli aspetti culturali, sociali ed economici che sono alla base di quanto osservato;

 

- sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità della rivoluzione culturale necessaria al nostro paese per liberasi dalle mafie.

 

Come spiega Domenico Rossi, referente di “Libera Novara” «diventa sempre più evidente come il problema delle mafie non sia né un problema di “brutti, sporchi e cattivi” né un problema di alcune regioni del nostro Paese. Sufficiente guardare alla storia delle infiltrazioni criminali nelle regioni del Nord per capirlo o alla significativa presenza di beni confiscati ai mafiosi (135 in Piemonte e 957 in Lombardia al 1° dicembre 2010). Negli ultimi anni le inchieste della magistratura hanno dimostrato come, ormai, siamo di fronte a una presenza capillare e significativa di organizzazioni che seguono una logica di vera e propria colonizzazione di spazi dell’economia, della politica e delle istituzioni».

 

La proposta deriva anche dall’esito (abbastanza sterile) del dibattito conseguente ad un articolo comparso sul settimanale economico nazionale “Il Mondo” che, a Novembre, aveva collegato le parole di Ivan Lo Bello (presidente di Confindustria Sicilia e uomo di punta della “ribellione” imprenditoriale dell’isola nei confronti di mafia e “pizzo”) con quattro dati definiti “di fiuto”: «il problema dell'infiltrazione delle mafie nelle aziende è ormai più importante al Nord che al Sud; l'economia di Asti è particolarmente esposta perché il tessuto industriale si sta frantumando e quello politico-sociale non è preparato a reagire; la 'ndrangheta ad Asti è molto forte e sta crescendo ancora; la tecnica di infiltrazione più insidiosa è quella che utilizza il sindacato per controllare le aziende. Sul primo punto, c'è ormai una vasta letteratura. Sulla crisi di Asti, invece, si è scritto poco. Crisi drammatica non solo nel comparto enologico, che vede le bollicine astigiane in depressione ormai da qualche anno, ma anche in quello industriale.

 

Il forte interesse della criminalità organizzata calabrese per le aziende astigiane, è emerso durante l'inchiesta battezzata “Il crimine”, resa pubblica lo scorso settembre in occasione di 300 mandati di cattura (la più grande operazione mai condotta contro la 'ndrangheta) spiccati dal sostituto procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, lo stesso magistrato che alcuni giorni più tardi è stato oggetto di un tentativo di intimidazione da parte delle 'ndrine, che hanno lasciato rinvenire un bazooka di fronte alla Procura. In quella occasione è emersa una intercettazione ambientale condotta nell'agosto 2009 in un podere del potente capo 'ndrangheta Domenico Oppedisano dove si parla dell'intenzione di costituire ad Asti una “società” o una “locale” (così si chiamano le cellule della malavita calabrese). A parlarne sono lo stesso Oppedisano e Rocco Zangrà (autotrasportatore residente ad Alba) che gli chiede formale autorizzazione. Entrambi sono poi stati arrestati. Poiché le regole dell'organizzazione impongono che per costituire una “locale” servano almeno 50 uomini in servizio permanente ed effettivo sul territorio, questo significa che in provincia di Asti ci sono come minimo una cinquantina di esponenti della 'ndrangheta attivi, ai quali aggiungere i collaboratori e i collusi che vi gravitano attorno».

 

Ad Asti e provincia queste parole sono state bollate come semplici fantasie ed è stato un rincorrersi a minimizzare, a garantire che certamente le mafie sono parte integrante delle società settentrionali, ma che Asti ne è immune …

 

Troppo rapida questa ”assoluzione”, a nostro parere.

 

Ecco perché pensiamo sia utile la costituzione di un Osservatorio provinciale che ragioni sulle connessioni tra fatti isolati, analizzi progetti autorizzativi di nuove costruzioni e/o impianti milionari presentati da società talvolta appena costituite e prive di esperienze o capitali (anche nel settore ora trainante delle fonti energetiche rinnovabili: si pensi ad estesi campi fotovoltaici proposti da sas o società individuali in ogni angolo d’Italia), realizzi una mappa degli appalti pubblici. Senza presumere necessariamente dolo o colpe, ma lavorando seriamente sulla conoscenza e sulla trasparenza.

 

Non dimentichiamoci che anche nell’astigiano l'attività di "Cosa Nostra" è già stata ampiamente rintracciata a Moncalvo, dove troviamo oggi una cascina restituita alla collettività dopo essere stata confiscata al trapanese Francesco Pace, braccio destro di Vincenzo Virga (e destinata a centro per donne tossicodipendenti). (AltritAsti si è occupata del tema attraverso questo articolo di Liliana Maccario).

 

Di queste “prove” dell’infiltrazione delle mafie (al plurale …) hanno parlato a lungo al Centro culturale San Secondo sia Cavalli e sia Caselli, moderati con stile impeccabile dal nostro “quasi” avvocato Giuseppe Vitello, rappresentante dei giovani di Libera.

 

Se i ragionamenti di Caselli potevano esserci già noti, grazie alla sua puntuale presenza sui media, la testimonianza civile di Giulio Cavalli è stata una vera iniezione di stimoli a superare le indifferenze. Per chi non lo conosce (in  questo caso suggeriamo una visita al suo sito web http://www.giuliocavalli.net), Cavalli si è definito come «un teatrante/giullare non particolarmente eccelso, tanto da essere stato bocciato alla scuola del “Piccolo” di Milano; e di essere ora considerato un giornalista pur non avendone alcun titolo. Così, quando qualche boss decise di farmi avere una serie di avvertimenti per invitarmi a sospendere i miei spettacoli sulle correlazioni tra mafie, imprese e politici del nord, mi è accaduto l’inverosimile: i teatranti mi hanno offerto la loro solidarietà non considerandomi un collega e i giornalisti idem. Così ho dovuto darmi alla politica e diventare consigliere regionale – di minoranza – in Lombardia …».

 

Cavalli vive sotto scorta. E la cosa non lo rende né felice né orgoglioso. Scrive ed interpreta testi teatrali di impegno civile e libri che stanno riscuotendo un importante successo.

 

Un testimone. Che merita seguaci …