La necessità e le fatiche di una leadership democratica

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di Domenico Massano.

In una nota ricerca lo psicologo Kurt Lewin individuava tre stili di leadership: lassista, autoritario e democratico. I risultati indicavano come la leadership democratica, dove il leader conduce il gruppo in modo partecipativo, era legata a processi decisionali più complessi ma con risultati più stabili nel tempo e qualitativamente migliori, anche grazie alla valorizzazione dell’impegno collettivo ed individuale ed alla promozione della partecipazione ai processi decisionali stessi...

Presupposto e carattere essenziale di questo stile di leadership, è un profondo spirito democratico il cui atteggiamento fondamentale, come ricordava il filosofo Calogero, è “il tener conto degli altri”, anzitutto ascoltandoli: “Prima ancora che nella bocca, la democrazia sta nelle orecchie”. Concetto condiviso e tradotto in pratica dall’amico pedagogista Capitini che nel primo dopoguerra, diversi anni prima di promuovere la Marcia per la Pace PerugiAssisi, per ricostruire una cultura di pace e le basi democratiche della società, organizzava sul territorio cittadino i Centri di orientamento sociale, che erano basati su un concetto molto semplice: prima ascoltare e poi parlare, perché la vera libertà è quella che si costruisce insieme e che “via via risolve problemi circostanti”.

Partire dall’ascolto nell’esercitare una leadership democratica è stato un punto di riferimento costante nel “lungo cammino verso la libertà” percorso dal Presidente del sud Africa Nelson Mandela: “Nelle mie funzioni di leader, ho sempre cercato di ascoltare quel che una persona aveva da dire prima di azzardare il mio parere. Ancora oggi, spesso, la mia opinione rappresenta semplicemente una somma di ciò che è emerso nel corso della discussione”.

In questi tempi in cui sembrano dominare donne e uomini soli al comando, che ascoltano poco o nulla ma con una risposta (spesso ingannevole) pronta per tutto, leader autoritari concentrati sulla performance personale piuttosto che sul percorso comune, sul comunicato piuttosto che sul comunicare, sulla competizione piuttosto che sulla cooperazione, occorre ricordare l’importanza e la necessità di leader capaci di presidiare e promuovere l’essenza democratica delle nostre comunità, capaci di ascoltare e di favorire la partecipazione, contrastando, così, i processi di disgregazione e isolamento in atto, e favorendo la costruzione di contesti relazionali e di comunità di vita inclusive, sulla base dei principi di solidarietà, dignità, uguaglianza e giustizia sociale richiamati dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Tali aspetti sono di vitale importanza e trovano il loro primo ambito di sviluppo nelle città che sono anche, e forse soprattutto, tessuti relazionali ed emotivi. Proprio per questo La Pira, Sindaco di Firenze e membro della Commissione costituente dei 75, ricordava con parole ancora attuali che le città sono un importante strumento per superare “la crisi del nostro tempo, che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano”, determinando uno “sradicamento” delle persone, in particolare dal contesto della città, e che “non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico”, in un contesto cittadino in cui le dimensioni sociali ed ambientali siano ineliminabile punto di partenza nell’affrontare le questioni economiche.

Un radicamento nuovo anche per i percorsi sociali e di cittadinanza attiva che può nascere, però, dalla disponibilità dei partecipanti, singoli e/o associati, a superare personalismi ed individualismi, ad uscire dai propri steccati ideologici ed identitari, a dare continuità alle collaborazioni e contaminazioni reciproche, per costruire una buona politica che metta al centro le persone, i diritti ed il bene comune. Un radicamento nuovo che passa attraverso l’esercizio di una leadership democratica, importante antidoto alle attuali derive autoritaristiche, dirigistiche e aziendaliste (di stampo neoliberista), destinate a limitare le libertà, ad impoverire la democrazia, ad accrescere i contrasti, le divisioni e la frammentazione dello stesso tessuto sociale.

Le fatiche sono tante e i risultati non sono immediati. Ma fortunatamente alcune persone, come la storia e l’esperienza ci insegnano, continuano a seminare nella ostinata convinzione che, come dice un proverbio africano, “da soli si va veloci, ma insieme si arriva più lontano”.

È importante tener conto di questi aspetti per comprendere e misurare il valore e le ricadute del percorso politico astigiano condotto dal Dottor Paolo Crivelli che, come nella vita personale e professionale, si è messo al servizio delle persone, sempre incontrando, ascoltando, tenendo conto degli altri e conducendoli con mite determinazione con l’esercizio di una leadership realmente democratica. Un impegno che è stato a volte strumentalizzato, spesso travisato e ingiustamente criticato, ma che continua nella consapevolezza che “è stato seminato nel tessuto astigiano un modo nuovo e diverso di fare politica … a volte chi semina non raccoglie, ma prima o poi i frutti per la città di Asti arriveranno”.

I grandi sogni ed i grandi cambiamenti hanno bisogno di tempo e di seminatori, renderli possibili è l’atteggiamento di chi Capitini definiva un “persuaso”, ossia colui che “getta il proprio peso sulla bilancia, con tutte le sue forze, senza angolo di riluttanza. Questo amore (questo prendersi cura) che si spende instancabile sa che troverà sempre ostacoli, e questi ostacoli vincerà, sempre rinnovando l’atto persuaso”.