Dove va l'associazionismo astigiano?

Stampa

di Alessandro Mortarino.

Lo scorso sabato 1° luglio la Bottega astigiana Altromercato di via Cavour 83, gestita localmente dalla Cooperativa di Consumo Della Rava e Della Fava, ha festeggiato il suo tredicesimo compleanno con una serie di iniziative, tra cui una sfilata delle collezioni primavera-estate di abbigliamento ed accessori da filiere etiche e sostenibili. La mattina è stata invece dedicata ad una riflessione sul percorso di questi ultimi tredici anni; Giulia Grosso e Paolo Fiscelli, durante una conferenza stampa partecipata da alcuni esponenti di associazioni del territorio, hanno voluto concludere l'istantanea sulla situazione lanciando qualche utile spunto sul futuro, del movimento legato al fair trade ma anche dell'intera sfera del Volontariato astigiano. Non dobbiamo nasconderci, infatti, che negli ultimi anni l'intero associazionismo astigiano (e non solo) gode di salute precaria e forse è opportuno avviare una riflessione. Che guardi avanti...

Non solo è opportuno iniziare a riflettere in forma collettiva, ma crediamo sia necessario e urgente farlo, qui ed ora. E questo primo "sasso" lanciato dagli amici della Rava e Fava lo vogliamo raccogliere per invitare tutta la comunità di Altritasti a contribuire ad una discussione ormai indispensabile.

Perchè il Volontariato è in difficoltà e lo è (non da oggi) principalmente per ragioni "anagrafiche": i Volontari di ieri sono ancora quelli di oggi, mentre la componente giovanile - il ricambio generazionale essenziale in ogni ganglio della società - continua ad assottigliarsi. E se già - da sempre - il Volontariato ha rappresentato una minoranza, uno spicchio (spesso assai piccolo) della società, oggi rischia di toccare il fondo. Il numero di volontari – in un rapporto uomini-donne di 6 a 4 – è calato del 15% a livello nazionale, secondo le rilevazioni Istat 2021 su 2015.

Per il commercio equo-solidale tutto ciò si sta traducendo nella riduzione - appunto anagrafica - di persone consapevoli di ciò che significa una filiera produttiva e, ovviamente, anche di acquirenti altrettanto consapevoli. Nel corso di questi tredici anni la Bottega astigiana, nata a ridosso della grande crisi finanziaria mondiale del 2008, ha subito ulteriori scosse in negativo fino ai lockdown pandemici del 2020, che si sono fatti sentire anche per tutto il 2021 e che nel 2022 sono stati ulteriormente acuiti dagli eventi bellici tra Russia e Ucraina con la crisi energetica collegata, che ha finito per mettere in ginocchio alcuni produttori e trasformatori delle filiere bio locali.

Potere d'acquisto delle famiglie in calo: è certamente questo uno dei principali fattori che ha inciso e sta incidendo sui risultati della stessa Bottega. Ma se pensiamo che i trend di vendita della Bottega di Asti sono sostanzialmente allo stesso livello di quelli di città del mezzogiorno (più o meno con la medesima popolazione del nostro capoluogo) che godono però di una ben inferiore capacità di spesa e di risorse bancarie delle famiglie, ci fa comprendere come esista anche un gap culturale da colmare. Lo stesso gap che sta toccando tutta la realtà associativa e cooperativa: ma senza i giovani e senza ricambio, il genuino welfare "dal basso" rischia di scomparire o di perdere le proprie sane caratteristiche.

Da qui l'invito ad avviare una riflessione, che rivolgiamo a tutte le associazioni, movimenti, reti dell'astigiano: questa è la realtà. Che ci piaccia oppure no.

I giovani sono meno motivati di un tempo? Personalmente ritengo che non sia così, ma è indubbio che le condizioni sociali ed economiche di oggi rendano sempre più difficoltoso l'impegno civico-assistenziale di chi è costretto a dedicare le proprie giornate districandosi tra più attività economiche e più datori di lavoro precario per portare a casa una minimamente dignitosa retribuzione che permetta l'indipendenza. Quando va bene. Altrimenti occorre ricorrere all'aiuto di mamma e papà (se mamma e papà possono...). Come poter chiedere ai giovani di ritagliarsi anche uno spazio-tempo da dedicare al volontariato? E' davvero tutta "colpa" loro?

E se i volontari venissero pagati? O almeno rimborsati? Sarebbero più facilmente disponibili a tornare a reintegrare le schiere del Volontariato?
L’ILO - l’Organizzazione Internazionale del Lavoro - sostiene che fare un lavoro volontario non è in contraddizione con la validità concettuale del volontariato stesso. Il volontariato è un lavoro funzionale non retribuito, ma sempre di più pare indispensabile per i servizi di welfare allargato del sistema.
Naturalmente con una necessità in più: quella di reperire fondi aggiuntivi per far funzionare la macchina associativa e un ruolo molto più attivo da parte dello Stato o degli Enti locali sotto il profilo finanziario. Con un rischio evidente: che il "bene comune" assuma sempre più un valore economico-finanzario. Cioè l'opposto di ciò di cui le nostre comunità hanno bisogno.

Mille altre riflessioni preliminari andrebbero aggiunte, ma qui ci fermiamo e attendiamo Vostri segnali o risposte. Avendo ben chiaro l'invito che gli amici della Rava e Fava hanno iniziato a diffondere: è necessario che questi problemi non vengano vissuti come criticità puramente individuali ma come esigenza ed emergenza di/per tutte e tutti.
Occorre, cioè, fare Rete. Ripensare le Reti esistenti. Creare Reti nuove o Reti che sappiano creare Tessuti sociali.

E questo è davvero il nostro compito...