L'agricoltura nell'Astigiano: in dieci anni perso il 30% delle aziende

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A cura di Cia-Agricoltori Italiani, sede provinciale Asti.

Tra il 2013 e il 2023 l’Astigiano ha perso circa il 30% delle aziende agricole, la quantità di superficie coltivata, invece, è rimasta sostanzialmente invariata anche se si è modificato il mix delle produzioni. Il cambiamento climatico, gli incentivi della nuova politica agricola comunitaria (PAC), la crescita esponenziale di alcuni settori, come il dolciario, hanno guidato le scelte di investimento e modellato i profili delle nostre colline. L’hanno spiegato i presidenti di Cia Asti e di Cia Piemonte, Marco Capra e Gabriele Carenini, in occasione della conferenza stampa convocata per ragionare, dati alla mano, sulle trasformazioni del comparto, sulle difficoltà del presente e sulle sfide del futuro prossimo...

L’ufficio tecnico di Cia Asti guidato dall’agronoma Francesca Serra ha messo a confronto le principali coltivazioni astigiane - aziende e superfici - tra 2013 e 2023.

Vite da vino. Le aziende viticole nell’arco di un decennio sono passate da 5.147 a 3.349 (-35%) ma la superficie dei vigneti è rimasta sostanzialmente invariata, superando i 14 mila ettari.
Il dato è frutto degli accorpamenti tra terreni in atto da anni e nello stesso tempo segnala il mancato passaggio generazionale all’interno di molte aziende dove figli e nipoti decidono di non proseguire l’attività di famiglia”, ha spiegato Marco Pippione, direttore di Cia Asti. L’ultima vendemmia, secondo le stime degli esperti, ha avuto rese mediamente inferiori tra il 25 e il 30%. Sofferenza alta nel Sud astigiano, in particolare nell’area di Nizza,  penalizzata più di altre dalle siccità; a Nord del capoluogo le grandinate hanno causato danni gravi nella zona di Pino d’Asti, pesanti le ripercussioni in Val Cerrina.
«Bisogna intensificare la ricerca sui vitigni resistenti alla siccità e agli attacchi parassitari,  flavescenza dorata e mal d’esca, che da troppi anni danneggiano la viticoltura», chiede Cia Asti che non a caso ha assegnato il Premio Agrestino 2023 al CNR - Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante per le ricerche sul miglioramento genetico della vite.

Nocciolo. Gli ettari coltivati a nocciolo in provincia di Asti sono raddoppiati in dieci anni passando da 3.263 a 6.292, mentre le aziende sono rimaste stabilmente poco sopra le 2.400. Il picco di investimenti si è registrato tra il 2009 e il 2014: «Oggi il tema forte è la redditività - spiega Alessandro Durando, già presidente di Cia Asti e referente della corilicoltura in seno al direttivo provinciale - il nocciolo patisce terribilmente la siccità che rende la pianta anche meno resistente alle fisiopatie e ai parassiti. Il raccolto del 2023 è stato disastroso:  rese da 7 quintali contro i 18-20 attesi». Anche qui l’attenzione è focalizzata sulle tecniche agronomiche per parare i colpi bassi del clima e sulla valorizzazione della materia prima. Cia Asti ha contribuito alla nascita della Cooperativa Corifrut presieduta da Dino Scanavino, ex presidente nazionale di Cia, che si sta impegnando a trovare nuovi sbocchi di mercato per la pregiata Tonda Gentile del Piemonte.

Cereali. Il mais è lo specchio di quanto il cambiamento climatico stia influenzando le scelte degli agricoltori: gli ettari coltivati sono oggi 5600, nel 2013 erano 9600, quasi il doppio. E’ una coltura nemica delle temperature alte e della siccità. Le aziende l’hanno convertita in alternative che sono anche favorite dagli incentivi della Pac: il girasole, più rustico (passato da 300 a 1200 ettari), la soia (da 600 a 1200 ettari), l’orzo (da 1700 a 2100 ettari). La coltivazione di grano tenero è rimasta costante a 9.500 ettari, ma qui si scatena la rabbia degli agricoltori: «Il prezzo all’ingrosso non ripaga i costi di produzione con il gasolio agricolo alle stelle e rese più basse - denuncia il presidente Marco Capra - per questo Cia ha bloccato per quattro settimane la quotazione del grano tenero al borsino della Camera di Commercio di Alessandria-Asti».

Allevamento. Il comparto dell’allevamento bovino ha perso circa 400 aziende in 10 anni, passando da 988 a 603. I capi in stalla sono scesi da 47.700 a 42.000, di questi 17.800 sono di razza piemontese. «Tra 2022 e 2023 i capi di Piemontese sono scesi di 2000 unità, un dato che riflette la grande difficoltà degli allevatori a sostenere i maggiori costi di produzione a fronte di ricavi alla stalla  troppo risicati», denuncia Amedeo Cerutti, allevatore di Moransengo appena eletto vice presidente di Cia Asti. Sostenibilità economica degli allevamenti, tracciabilità della qualità, informazione al consumatore sono le tre azioni chiave della strategia di valorizzazione della Razza Piemontese promossa da Cia Asti e Cia Piemonte che punta ad un’azione sempre più sinergica con le associazioni degli allevatori. Va in questa direzione la proposta presentata nei mesi scorsi alla Regione: «Vogliamo una normativa che preveda l’obbligo di fornire le informazioni sull’origine della carne bovina consumata nel canale Horeca, al ristorante come nelle mense - spiega Marco Capra, presidente di Cia Asti - dobbiamo far conoscere i pregi della razza piemontese ai consumatori finali, seguendo l’esempio delle politiche di promozione avviate con successo dal mondo del vino. Abbiamo una IGP da valorizzare attraverso una serrata campagna di comunicazione. Deve crederci tutta la filiera e alla Regione chiediamo di supportarci in questo sforzo».
Sul fronte dell’allevamento caprino si registra nel decennio un incremento di circa 1100 capi trainato dal successo crescente del Roccaverano DOP.

Agriturismi. Il settore a livello astigiano asseconda la crescita in atto a livello nazionale, con incrementi del numero pernottamenti nell’ordine del 10-12% sia per i turisti italiani che per quelli stranieri. «Lavoriamo per creare una sempre maggiore sinergia tra gli operatori presenti sul territorio - afferma Franca Dino, presidente di Turismo Verde Asti e Piemonte - collegando tra loro gli agriturismi e le aziende agricole, ognuno con la sua specificità, si possa offrire ai turisti una gamma variegata di esperienze ancora più coinvolgenti».


Esenzione Irpef. La mancata proroga dell'esenzione Irpef per gli agricoltori che è vigente dal 2016  «è un pessimo segnale per le aziende agricole in un momento di profonda difficoltà dovuto all'innalzamento dei costi di produzione e degli oneri finanziari» denuncia il presidente di Cia Piemonte, Gabriele Carenini. «Parlare di sovranità alimentare e di sostegno alle produzioni nazionali – continua Carenini - e poi pescare nelle tasche degli agricoltori è scorretto. Per questo auspichiamo che in sede di conversione del decreto milleproroghe in discussione alla Camera si ripristini l'esenzione come è stato negli ultimi anni. Chiediamo alle forze politiche di essere conseguenti alle parole di impegno nel settore».

Peste suina. Cia Asti e Cia Piemonte esprimono la massima preoccupazione per il ritrovamento di un cinghiale affetto da peste suina nel territorio di Mombaruzzo, primo caso in provincia di Asti e per l’ulteriore allargamento della zona rossa. «Già vent’anni fa dicevamo che la sottostima della fauna selvatica avrebbe danneggiato gravemente il comparto agricolo e l’allevamento. Oggi vediamo un immobilismo totale rispetto a quanto chiediamo da anni per l’eradicazione del problema - dicono Gabriele Carenini presidente di Cia Piemonte e Marco Capra, presidente di Cia Asti - il grido d'allarme degli agricoltori non può più cadere inascoltato, bisogna che le autorità competenti intervengano al più presto, senza più tentennamenti, abbattendo il maggior numero possibile di cinghiali. A questo punto ribadiamo che l’unica soluzione possibile è l’impiego dell’esercito».

Il nuovo vice presidente di Cia Asti. Amedeo Cerutti, classe 1980, diploma alla scuola alberghiera,  alleva a Moransengo un centinaio di bovini piemontesi e meticci da svezzamento a cui si aggiungono una quarantina di asini; completa l’azienda l’attività di apicoltura con produzione in conto terzi. E’ stato eletto giovedì 18 gennaio dal direttivo. Da Cerutti un messaggio in difesa dell’ecosistema del bosco che consente la conservazione della biodiversità e dei prodotti che ha sempre dato e un accenno alla crescita decennale delle aziende apistiche, dato che, probabilmente, vede nel suo complesso una forte presenza di hobbisti.

«Il brand Piemonte oggi funziona bene nel mondo, dobbiamo lavorare in sinergia con tutte le filiere, è necessario avvicinare i giovani rendendo il comparto agricolo attrattivo. Siamo custodi di un territorio che è bene e patrimonio comune: dobbiamo saper accogliere i turisti che hanno voglia di conoscere cose nuove, autentiche e caserecce anche con strutture di accoglienza e ristorazione diffuse nei piccoli borghi che rischiano l’abbandono. Questo è un percorso che va sostenuto con incentivi e meno burocrazia», ha concluso Carenini.