Presunta omofobia nelle Langhe: è il caso di esporsi

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a cura del collettivo De-Generi.

L’episodio di violenza venuto a galla a Benevello – un’aggressione, un vero e proprio raid punitivo ai danni del compagno del figlio e di chi lo accompagnava, da parte di un uomo e un complice – ci ha scossi profondamente. Ha portato alla luce un aspetto della nostra cittadina, e più in generale della provincia italiana, che nasconde dietro una facciata di perbenismo una cultura intollerante, in cui la tradizione e l’attuale stato delle cose vanno difesi a ogni costo: anche con la violenza. Il fatto che non siano resi noti i nomi dei responsabili (forse perché “stimati professionisti”?) ci fa riflettere su quanto possa essere alta, al contrario, la soglia di tolleranza nei confronti di comportamenti inammissibili, frutto di una cultura che li ritiene, sotto sotto, in qualche modo giustificabili ...
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Ci rivolgiamo a tutti i cittadini rispettabili che non ritengono questa notizia così grave. A chi pensa che “non è il caso” di esporsi, perché bisognerebbe accontentarsi di poter vivere la propria vita in una dimensione privata, a casa propria.
A chi pensa che esprimere la propria identità e il proprio orientamento sessuale sia “un’ostentazione”.
A chi pensa che una legge contro l’omofobia non sia necessaria, perché l’omofobia, in fondo, è un’opinione.
A chi pensa che le battaglie per la rivendicazione di diritti fondamentali siano opera di una lobby gay, con qualche misterioso secondo fine.
A chi pensa che per garantire la serenità di una famiglia siano sufficienti (e necessarie) esclusivamente la presenza di un uomo e una donna, niente di più e niente di meno, e che in nome di questo non riconosce altri modelli possibili.

A chi pensa che sia soddisfacente una legge che permette a una coppia dello stesso sesso di diventare una “formazione sociale specifica”, e che non vede in questo una forma di discriminazione. A chi pensa che ogni forma di critica e protesta sia “polemica”.
A chi sostiene che non si deve sempre prendere una posizione, perché l’importante è “mediare”.
A chi pensa che, come De-Generi, abbiamo sollevato un “polverone” per la questione della sala cinema negata, perché in fondo non era necessario, nuovamente, “non era il caso”.
Noi rispondiamo sì, era il caso. Era il caso di sottolineare un episodio di insensata discriminazione nei confronti di un gruppo, non perché ci piace attaccarci a singoli e circoscritti episodi, ma perché è da avvenimenti come questo che una cultura basata sul pregiudizio e la paura del diverso trova nutrimento.
E ci sono casi in cui prendere posizione è un dovere: perché sono tanti gli ambiti in cui prevale la soggettività del giudizio, ma esiste anche una morale, una qualche forma di civiltà, che dovrebbe essere oggettivamente riconosciuta.

È necessario denunciare le ingiustizie: se leggete le storie di Martin Luther King, di Gandhi, o addirittura di Gesù Cristo, vi emozionate di fronte al loro coraggio, al loro dirompente anticonformismo dedicato a una causa giusta. Ma se, accanto a voi, qualcuno trova la forza di battersi per quello in cui crede, chiudete i battenti di fronte a tanta “aggressività”.
E non è giusto che, nel 2016, ci siano distinzioni tra cittadini, o famiglie, di serie A e cittadini di serie B, in nome di qualche differenza che dovrebbe giustificare un trattamento diseguale. Ed è fondamentale approvare delle leggi di tutela, perché i cambiamenti della mentalità e della società civile possono avvenire in tempi molto lunghi, e il minimo che può fare un sistema democratico è offrire qualche garanzia di protezione contro l’odio e la violenza.

E per questo bisogna “esporsi”: non è detto che le nostre battaglie abbiano gli esiti sperati, ma è sicuro che, se non le portiamo avanti, le cose non cambieranno da sole. E l’obiettivo di ciascuna battaglia per i diritti è di diventare, il prima possibile, completamente “inutile”: noi vorremmo che non ci fosse bisogno di scrivere, di dire, di scendere in piazza per affermare tutto questo, ma, purtroppo, ce n’è ancora bisogno. È il caso.