Da Cuneo alla Siria per combattere per la liberazione

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*di Davide Grasso.
 
Siria, questa sconosciuta. O conosciuta male. Volentieri rispondo alla domanda "cosa ti spinge a lasciare l'Italia per combattere in Siria?". Premetto che non sono l'unico. Di recente due persone sono morte nelle file dell'Ypg. Purtroppo uno dei due è morto cinque giorni prima che l'IS sia stato dichiarato battuto in quella zona. Sapeva che la possibilità di cadere sul campo era possibile ... Ci sono un ragazzo di Cremona, uno di Pisa, una ragazza pugliese.. è un fenomeno diffuso. La domanda legittima è perché si parte da Torino per andare a partecipare a un guerra lontana come la Siria. Io posso parlare per me. Partiamo dalle mie origini: io sono di Cuneo e ci ho vissuto fino ai 18 anni. Ho sempre patito la mancanza di partecipare a un qualcosa di collettivo, per migliorare le condizioni degli altri, lottare contro le ingiustizie. Mi sentivo isolato: guardavo la tv senza essere protagonista del mio periodo storico.
 
Anni dopo sono venuto a sapere cosa succedeva a Kobane, in Turchia, sul confine siriano. Era il 2014. Ho conosciuto una realtà inaspettata: a mia insaputa esisteva un movimento collettivo, di massa, in un luogo diverso dal mio, in medio oriente, che proponeva una pratica alternativa di sopravvivenza, con tutta una serie di riforme economiche, di spazio alle donne, alle famiglie condivisibili, che lottava sotto un regime violento che si era impadronito della buona parte della Siria. Uno stato che aveva un potenza militare, nazionale, ma che non riusciva a contestare l'avanzata dell'isis.
 
Kobane è una città piccola, di poche decine di migliaia di abitanti. Ma qui, bande di ragazze armate riuscivano a tenere testa agli attentati suicidi dell'isis, fino a scacciarli nel 2015 e a inseguirlo in Siria. Le persone che sono riuscite a fare questo parlano curdo, una lingua diversa dall'arabo, anche dal turco. I curdi rappresentano 40 milioni di persone alle quali non è mai stato permesso di avere uno stato.

 

Grazie a un mio compagno torinese, che era stato là due anni prima, sono venuto a sapere che lo stato islamico era combattuto da un movimento curdo che non passava sui media, non veniva raccontato. Non solo uno movimento razionalista che rivendicava autonomia per i curdi ma anche di liberazione delle donne, oggetto cardine della loro causa perché l'Isis è contro la libertà delle donne. Lo stato curdo metteva poi in discussione il capitalismo, in quanto i curdi portano avanti un nuovo socialismo.
 
Non credevo fossero così forti ma che soprattutto potesse accadere in Siria. Da una parte c'è un pregiudizio degli occidentali verso gli orientali: abbiamo poche conoscenze, si parla di islam senza aver letto il Corano, senza conoscere davvero quella cultura, ma poi sulla Siria i mezzi d'informazione hanno fatto di tutto per non farci capire la situazione, come un caos insipiegabile, sul quale è diventato impossibile prendere una posizione. La guerra è descritta come tanti movimenti che si fanno la guerriglia tra loro. Invece grazie a Kobane abbiamo potuto farci una nostra idea e capire quello che poi ho scritto nei miei libri, per sensibilizzare. Ho scoperto una situazione più semplice. Ci sono 3 fazioni dal 2011, una governativa fatta da uno stato di polizia e di privilegiati economici che non sopportano le critiche, una seconda che è di tipo islamista con visione teocratica, spezzettata in tanti piccoli gruppi armati che vanno da 50 persone ciascuno a 20 mila, feroci e autoritari contro altre religioni e stili di vita, e poi la terza che è la confederazione di rivoluzione democratica che vuole ridare al popolo il potere di decidere le proprie sorti, basati sul pensiero di Ocalan, sui suoi libri. Ricordiamoci che gli occidentali hanno spartito i confini che non rispettano le popolazioni, per cui la confederazione propone una collaborazione che parte dal basso, sviluppando una collaborazione tra popoli a livello locale, con al primo posto l'autonomia delle donne. 
 
Quando ho scoperto tutto questo, sono riuscito a capirne la semplicità. Lavoravo come operatore sociale con disabili, il mio contratto non è stato rinnovato, con la mia liquidazione ho scelto di andare in Turchia nelle regioni curde, per conoscere questi movimenti, con un reportage di 15 giorni. E' stata un'esperienza molto importante, ho conosciuto una persona importante, un giovane che si trovava a difendere il suo quartiere dalle truppe di Erdogan, colui che ha trasformato la Turchia da stato laico a stato islamista e oscurantista. Un ragazzo di 20 anni con il mitra, era la prima arma che vedevo in mano a un ventenne, la sua tranquillità nel difendere la sua autonomia, ma quello che mi ha scioccato è quando ho preso l'aereo da Instabul a Roma ho visto la notizia della sua morte. Era l'ottobre del 2015. In Italia non c'è stata notizia di questa guerra, fatta dalla Turchia verso i curdi.
Quando sono rientrato mi sono posto tante domande e ho deciso di partire per dare una mano a queste persone. Avevo paura, non volevo accettare la possibilità di morire, ma in quei giorni avevo saputo di Parigi, dell'attentato al Bataclan. Io ho studiato e lavorato a Parigi, conoscevo la città, sapevo che un milizano islamista che facesse quello significava non attaccare uno stato, un tipo di occidente, ma attaccare i giovani europei cosmopoliti, la generazione Erasmus, persone di tutte le lingue, di tutti i colori, quindi un attacco al multiculturalismo, gente che vive contaminandosi in ottica metropolitana. Io sono parte di tutto questo, e così ho deciso di difendere questa libertà di scelta, fermare chi veniva ad attaccarci, non avevo scelta in relazione al mio percorso di vita. Dovevo fare qualcosa, provavo un forte desiderio di ristabiliere la giustizia, non restituire la morte, ma mettere qualcuno della nostra generazione disarmata a presentarsi laddove questo attacco era stato pianificato, alla pari e quindi armati. 
 
Nel libro Heaven racconto la mia esperienza. In pubblico non parlo di guerra, perché è molto problematico, non sappiamo cosa sia, non è come nei film o videogiochi. Conosco solo mia madre che cambia canale davanti ai film di guerra, gli altri ne guardano e prendono posizione senza sapere cosa sia. Non ne parlo a cuor leggero. Ho preferito meditare sul racconto e metterlo per iscritto. 
Io non ho mai fatto il serizio militare, mi sono recato in quei luoghi senza sapere come usare le armi. Dovevo ricevere una formazione militare, io sono un civile e non ho mai apprezzato la violenza, io non mi sono mai affezionato al mio kalashnikov, usato perché non c'è altra alternativa a difendere i civili, con queste persone non ci parli, cerchi di fare prigionieri e devi usare le armi. 
Purtroppo abbiamo ricevuto una formazione che era insufficiente per affrontare la guerra, ho visto gente sconvolta, noi non avevamo una tecnologia supportata dallo stato, soldati cona armi avanzate e sensori notturni, noi eravamo un'armata popolare fatta di contadini, che andava ad affrontare il nemico con armi anni 70 che si inceppano, che fanno morire gente valida per causa di assenza di mezzi, anche sanitari, perché è una zona sotto embargo, uno scenario folle. 
Noi diamo valore alle nostre vite, ci preoccupiamo di cose che agli altri non importa, diamo un valore diverso alle cose.

Prima di unirmi alle Ypg dissi a un ragazzo curdo, "per me è giusto quello che fate", e allora lui mi ha risposto " allora se è tutto così giusto, perché non ti unisci a noi". È stato spiazzante. Lì ho capito l'impostazione mentale di noi occidentali, per cui la vita di un arabo vale meno della nostra, come la vita di un palestinese vale meno di un israeliano. Ho conosciuto personeche si stupiscono di quanto noi siamo freddi nei loro confronti, di quanto ignoriamo quello che sta succedendo da loro. 

 
Quando sono tornato nel 2017 non sono più riuscito a tornare là, è una cosa irripetibile. È giusto mettere fine allo stato islamico e alla sopraffazione dell'uomo sulla donna. Ho continuato a sostenere la causa scrivendo libri. Sostenendo la causa palestinese e quella irachena. Sostenere il sistema economico comunitario dei curdi, a favore dei poveri, le cooperative che creano un welfare alternativo, senza abolire la proprietà privata, quindi non come in Russia nel '17, sono cooperativa dove ognuno aderisce se vuole farlo. 
 
Il 3 gennaio ho ricevuto la visita della polizia politica (in Italia esiste ancora) e mi ha notificato l'obbligo di apparizione in tribunale insieme ad altre 4 persone che hanno fatto le stesse mie scelte. Un'audizione folle perché nessuno ha commesso un reato, perché non ci sono leggi che impediscono che tu ti unisca a eserciti stranieri ma non ti permettono di unirti a movimenti terroristi, e noi siamo l'unico stato che considera l'ypg terrorista e quindi ci propongono una limitazione della libertà, tra cui espulsione per due anni rinnovabili da Torino e scegliere un comune da cui non uscire, annullati passaporto e patente, l'impossibilità di parlare in pubblico (non più di due persone alla volta), non uscire la sera e avere un libretto di colore rosso dove annotare dettagli su di noi. Senza processo, senza potersi difendere nei tre gradi di giudizio. Merito di una legge del 1931 sul confino e chiamata "misure di prevenzione", di epoca fascista. Non è necessaria un'accusa o una sentenza, ma secondo decreto dei giudici, sulla base di carte che dicono che abbiamo scritto di essere contrari al capitalismo e che parliamo positivamente di rivoluzione. Se aggiungiamo che abbiamo ricevuto formazione militare, siamo considerati soggetti pericolosi. Potenziali terroristi. Invece il mio punto di vista è quello di rafforzare la società... Fra 90 giorni c'è la sentenza e c'è una pagina facebook che di chiama "io sto con chi combatte l'Isis". 
 
 *Questa testimonianza è stata raccolta e trascritta da Altritasti durante l'incontro di Davide Grasso al CinemaVekkio, il 7 aprile 2019.