La strana guerra al paesaggio di Angelo Gaja

Stampa

di Alessandro Mortarino.

Il 27 maggio del 2011 (quasi dieci anni fa, dunque) Laurana Lajolo mi invitò a partecipare a un dibattito pubblico dedicato al "Patrimonio del terreno agricolo". In quell'occasione raccontai dei primi tre anni di disseminazione culturale del Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio, dell'imminente nascita del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, delle battaglie che in tutta Italia molti agricoltori stavano sviluppando per mantenere a destinazione agricola i loro terreni improvvisamente "baciati" come edificabili da nuove fantasiose Varianti urbanistiche. Al tavolo dei Relatori, al mio fianco, Angelo Gaja mi osservava annuendo. E alla fine si complimentò con me per tutte quelle iniziative che mi disse di condividere in toto. «Il territorio e il paesaggio sono il nostro vero valore aggiunto, ma non tutti lo capiscono». La scorsa settimana, nel cuore dei territori fenogliani, mi sono imbattuto in una devastazione sconvolgente: sotto Cascina Langa un cantiere enorme, ruspe, distruzione. E' la nuova cantina (sotterranea) di Angelo Gaja...

Dieci anni fa quell'Angelo Gaja che mi strinse la mano condividendo le nostre azioni per la salvaguardia della "sacralità" del suolo e del paesaggio e che cavò dal taschino il suo biglietto da visita dicendomi «mi venga a trovare», fu per me un piacevole riscontro di una sensibilità trasversale che da mesi stavo riscontrando anche (finalmente) al di fuori dal solito circuito di attivisti ambientali. E che questa rispondenza arrivasse da uno dei principali players del mondo del vino, fu uno stimolo in più per moltiplicare l'impegno e la profusione di energie.

Che cosa sia successo - ad Angelo Gaja - in questi dieci anni, non sono in grado di decifrarlo. Purtroppo il suo biglietto da visita è rimasto sepolto in uno dei cassetti della mia scrivania e mi è mancata l'occasione per andarlo a trovare, chiacchierare con lui, magari capire che il Gaja pubblico covava esigenze individuali dissonanti.

Qualche anno fa ero rimasto sorpreso dal notare che i terreni ben esposti che accompagnano il quartier generale della Resistenza piemontese (Cascina Langa) fino al Boscasso per annunciare il vicino Pavaglione, luogo della Malora, stavano cambiando forma: i noccioleti venivano estirpati e l'operazione mi fece preoccupare. Una breve indagine mi portò a registrare che l'area era stata acquistata dall'azienda agricola di Gaja e immaginai che il nostro illustre Winemaker si stesse preparando per un impiantamento di vigna: quella terra è particolarmente adatta per le uve a bacca bianca e l'altitudine (700 metri) mi faceva presagire che anche per lui fosse giunta l'ora di prepararsi per produzioni di "bollicine" o per una viticoltura "sempre più in alto" (fenomeno già preoccupante) in grado di fronteggiare il cambiamento climatico.

I media furono più veloci delle mie supposizioni (sospettose) e riportarono le dichiarazioni tranquillizzanti di Gaja che parlavano di un semplice investimento senza altri fini. In effetti i terreni divennero prato, una collina ridente e pacifica durata alcuni anni.
Ora paiono un campo di battaglia. Di una battaglia ancora in corso e che tale resterà per un po': «dopo i campi di sterminio, ora abbiamo lo sterminio dei campi», scrisse il poeta Andrea Zanzotto.
Una guerra perennemente in atto. In un luogo che echeggia di guerre, in cui il Johnny fenogliano e tanti altri partigiani trovarono rifugio nel terribile inverno del 1944, l'ultimo inverno prima della liberazione.

Una guerra che continua. Il nemico è ora la terra. Il suolo. Il paesaggio. Il territorio.
Esattamente gli stessi elementi che qualunque Winemaker - celebrato o meno - riconosce come atout essenziali per uno storytelling in grado di evidenziare qualità e differenze e costruire (o mantenere) un'immagine, narrando i "valori" che compongono un brand.

Non so se Angelo Gaja sia passato in queste settimane a visitare il "Ground zero" delle sue azioni, là nel "vero Sinai delle creste collinari".
Se non lo ha ancora fatto, mi permetto di invitarlo a colmare subito questo riscontro necessario e a dirci qualcosa, esprimere le sue emozioni.

Se lo ha già fatto e non ha ritenuto di aprire bocca, ne prenderemo atto.

Immagino che Gaja ritenga che fra qualche anno, rimosso il cantiere, quelle ferite saranno risanate da una cantina sotterranea ricoperta di verde e circondata da curatissimi vigneti: il Tempio di Gaja.

Ma non il Tempo di Gaia.

Come dopo una guerra, come una ricostruzione che segue una distruzione voluta dall'uomo.
Apparenze che non cancellano la memoria.

Dentro a una bottiglia di vino che cosa c'è se non amore?

"Darmagi", mi verrebbe da dire.
Cioè "che peccato".
"Darmagi" è però anche un rinomato Cabernet Sauvignon prodotto da Angelo Gaja: un vino con cui oggi proprio non inviterei nessuno a brindare...