Prepariamoci a un mondo da 10 miliardi di persone

di Donato Speroni.

Le nuove proiezioni dell’Onu ci dicono che la popolazione mondiale continuerà a crescere, almeno fino alla seconda metà del secolo. Come evitare che si determini una situazione esplosiva per l’umanità e per l’ambiente?
Si è parlato molto della minaccia della plastica negli oceani, al punto che si stima che il peso di questo materiale disciolto nelle acque, se non si interverrà efficacemente, nel 2050 potrebbe superare quello dei pesci. Ora però si profila una nuova minaccia: la plastificazione delle coste. Il nuovo materiale si chiama plasticrust ed è stato scoperto sulle scogliere dell’isola di Madeira da un gruppo di ricercatori del Marine and Environmental Research Center (Mare)...


(https://futurism.com/the-byte/strange-plastic-crust-spreading, segnalato sulla rivista Science of the total environment).
 
Si presenta come una crosta bluastra, “simile a un vecchio chewingum spiaccicato su un marciapiede” e la sua estensione è in aumento, tanto da coprire ormai il 10 per cento delle rocce costiere dell’isola. Gli stessi ricercatori stanno ora studiando se il fenomeno si verifica anche altrove.

Ecco un’altra notizia che si aggiunge allo stillicidio quasi quotidiano delle informazioni sulla trasformazione del Pianeta indotte dall’opera dell’uomo, in questa era ormai comunemente denominata Antropocene. Molte di queste modificazioni sono iniziate quando la popolazione mondiale era composta da due o tre miliardi di persone. Che avverrà in futuro con una popolazione almeno tripla?

La domanda è oggi più che mai legittima, alla luce delle nuove proiezioni demografiche pubblicate il 17 giugno dall’Onu. Ogni due anni, la Population division del Palazzo di vetro compie questo esercizio: secondo l’ipotesi più attendibile, la popolazione mondiale passerà dai 7,7 miliardi di quest’anno a 8,5 nel 2030, per poi crescere a 9,7 nel 2050 e a 10,9 nel 2100. Le dinamiche della popolazione saranno molto diverse da una regione all’altra: infatti, l’Europa passerà dagli attuali 748 milioni a 710 nel 2050, mentre l’Africa quasi raddoppierà, da 1,3 a 2,3 miliardi, con un aumento ancora più marcato negli Stati sub-sahariani.

Più della metà dell’incremento demografico da oggi al 2050 avverrà in nove Paesi: nell’ordine, India (che entro il 2027 supererà la popolazione cinese, destinata a scendere nel 2050 dagli attuali 1,44 miliardi a 1,40), Nigeria, Pakistan, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e Stati Uniti. La presenza degli Usa tra i Paesi demograficamente più vivaci deve far riflettere, perché segnala la profonda differenza rispetto alla situazione europea, con tutte le implicazioni economiche che questo potrà comportare.

Il tasso di fecondità globale, che era di 3,2 bambini per donna nel 1990, è già sceso a 2,5 e si prevede che arriverà a 2,2 nel 2050. Questo significa che nella seconda metà del secolo la popolazione mondiale tenderà a stabilizzarsi intorno ad un valore vicino agli 11 miliardi.

Tra le componenti più significative delle dinamiche demografiche, il Rapporto dell’Onu cita i flussi migratori, che tra il 2010 e il 2020 hanno visto 14 Paesi del mondo ricevere più di un milione di migranti e altri 10 cederne oltre un milione. Tra i Paesi destinati a ricevere in futuro un afflusso netto di migranti per riequilibrare le perdite dovute al saldo naturale, il Rapporto cita nell’ordine (con qualche sorpresa) Bielorussia, Estonia, Germania, Ungheria, Italia, Giappone, Russia, Serbia e Ucraina.

Quali riflessioni possiamo ricavare dai Population prospects 2019 dell’Onu? La prima è che dobbiamo abituarci a pensare a un mondo ancora più affollato di quello attuale, dove per ogni tre persone ora viventi, nella seconda metà del secolo ce ne sarà almeno una quarta. Già oggi l’Overshoot day ci dice che consumiamo ogni anno le risorse prodotte da un Pianeta e mezzo. Questa erosione delle risorse, a meno di cambiamenti radicali degli stili di consumo, è destinata ad aggravarsi, non nascondiamocelo, man mano che una fascia crescente della popolazione dei Paesi in via di sviluppo accederà agli stili di vita tipici della classe media. L’Agenda 2030 ci appare oggi più che mai come una bussola indispensabile per non deteriorare le condizioni dell’ambiente e dell’umanità, ma dobbiamo anche allenarci a guardare oltre il 2030 e riflettere su un modello di sviluppo compatibile con una popolazione così numerosa.

Un’altra importante riflessione è che in questi anni si è parlato troppo poco di demografia. Per una somma di ragioni, in gran parte ideologiche, dai tempi della International Conference on Population and Development tenutasi al Cairo nel 1994 (25 anni fa!) l’Onu ha sempre toccato di sfuggita i temi della politica demografica. Anche nei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, il tema è accennato solo nel target 3.7:

Entro il 2030, garantire l'accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, compresi quelli per la pianificazione familiare, l'informazione e l'educazione, e l'integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali.

In realtà c’è molto da fare in questo campo, soprattutto nei Paesi più poveri, che sono anche quelli dove i tassi di fecondità rimangono più alti, tanto da annullare qualsiasi possibilità di aumento del reddito pro capite. Non si tratta solo (ma anche) di insistere sulla informazione sessuale, soprattutto nei confronti delle giovani donne, ma di fare un grande sforzo per la scolarizzazione delle ragazze: ogni anno di scuola in più diminuisce il rischio di matrimoni precoci e stimola le giovani a pensare che esistono alternative migliori rispetto alla maternità adolescente.

In ogni caso, bisogna essere coscienti dell’entità della sfida, in termini di SDGs. Come dice il commento ufficiale dell’Onu:

Molte tra le popolazioni che crescono più rapidamente si trovano dei Paesi più poveri, dove l’aumento demografico comporta ulteriori sfide nello sforzo per sradicare la povertà (SDG 1), raggiungere una maggiore uguaglianza (SDG 5 e 10), combattere la fame e la malnutrizione (SDG 2), rafforzare l’estensione e la qualità ti servizi sanitari ed educativi (SDG 3 e 4).

Al tempo stesso, la grande massa di giovani che sono o saranno presto in età da lavoro, potrebbe offrire a questi Paesi un importante “dividendo demografico”, a condizione di realizzare investimenti in grado di offrire occupazione e sviluppo. Anche questa è una grande sfida, alla quale la nuova Europa uscita dalle votazioni di maggio dovrà prestare maggiore attenzione.

Tratto dal sito di ASVIS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile: http://asvis.it/home/46-4282/questa-settimana-prepariamoci-a-un-mondo-da-10-miliardi-di-persone#.XRXMdlBS9PO

 

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