Progetto Radis compie un anno

di Oscar Pastrone (Progetto Radis)

ImageE' quasi trascorso un anno, già, come passa il tempo, non rischio neppure di scivolare nei luoghi comuni se dico "ne è passata di acqua sotto i ponti", visto che in alcune giornate infauste l'acqua è passata addirittura sopra i ponti.
 Un anno, appunto, da quando si è materializzata l'idea di mettersi a raccogliere computer e sistemarli, di configurarla arditamente come Progetto, di battezzarla con un pizzico di civetteria localista Radis. Un anno, per cui vale la pena iniziare ad elaborare il primo bilancio consuntivo.
Siamo partiti in due armati di sola passione, non dico allo sbaraglio ma quasi, ora Progetto Radis è una associazione, iscritta nel circuito nazionale del trashware, formalmente costituita ed animata da una quindicina di soci. Due generazioni sono degnamente rappresentate, curiosamente, ma non credo sia un caso: la generazione dei 'vecchi', i 'padri di famiglia', quelli che hanno scelto di investire nei valori della proposta di Progetto Radis dopo aver sperimentato, nella quotidiana esperienza lavorativa, i rischi di un progresso tritatutto (cose e persone) e la generazione dei 'giovani', gli 'studenti', quelli che hanno avuto l'intuizione di spendersi nella convinzione che il futuro di una società selettiva (di persone) e onnivora (di risorse) non sarebbe che uno stretto imbuto attraverso il quale pochi avranno il diritto di passaggio.

Come si dice, con la sinergia tra queste due generazioni, il progetto ha preso corpo e dato risultati: l'1% in sette mesi di operatività effettiva.
L'1% occhio e croce dell'intero volume del RAEE (rifiuti elettrici ed elettronici) conferiti nell'ecocentro di Asti, circa una settantina di computer, è stato intercettato da Progetto Radis, 'ripulito' e rimesso in sesto.
Di questi settanta, una buona parte sono già funzionanti ed operativi nel nostro territorio (associazioni, movimenti, organizzazioni di solidarietà) e nel mondo (Mozambico, Congo). Gli altri lo saranno a breve e troveranno collocazione nei progetti confermati in Guinea e Bielorussia od in quelli oggi in gestazione, presso scuole e circoscrizioni.

Un gran bel risultato, crediamo, soprattutto in considerazione di una attività promozionale sottotraccia causa cronica, ma speriamo temporanea, carenza di spazi per stoccare il materiale.

Un bel risultato condito con una gradevole e stimolante scoperta: esisterebbe una sensibilità, starebbe maturando una cultura nei confronti della 'spazzatura' elettronica.
Certo è più evidente il disastro provocato dall'abbandono criminale di materiale lungo le strade vicinali o nelle discariche abusive ma è quanto meno altrettanto nutrito il numero di persone attente alla ricerca di una corretta collocazione, oppure che conserva tutto a casa, nelle cantine, nei sottoscala con la recondita speranza che in fondo possa ancora servire; vuol dire che siamo ancora in possesso del gene "sgheria nen" lasciatoci dalle generazioni precedenti (in questo senso certamente migliori di noi), gene non ancora scalfito dalla pressione della civiltà del consumo.

Un bel risultato ed una certezza confermata dal fatto che tutte le persone/aziende contattate non hanno mai omesso di condividere l'utilità, la necessità di inserire, prima della distruzione delle apparecchiature, un processo di ricondizionamento finalizzato al riutilizzo.

Ecco, fino a qua siamo arrivati, abbiamo contribuito a costruire solidarietà, ci siamo proposti a supportare con la nostra offerta gratuita di 'macchine' i progetti più disparati nel vasto arcipelago del volontariato e della cooperazione presenti nel nostro territorio.
Fino a qua siamo arrivati quasi senza pedalare, semplicemente sospinti dal passaparola, da qualche gradita ospitata sulle pagine locali dei media, dalla disponibilità di chi ci ha offerto spazi vitali per il laboratorio.

Ma abbiamo anche 'scoperto' che a fronte di una implicita e pressante domanda di collocazione dei rifiuti elettronici sia possibile cucire, confezionare, una offerta virtuosa e creativa, aprire cosiddette nuove frontiere fatte di competenze e capacità.

Tutto dipende dall'intuizione di vedere o intravvedere le potenzialità offerte dall'unico settore oggi in espansione, quello dei rifiuti, soprattutto quelli elettronici.

In un sistema locale orientato ormai quasi esclusivamente a costruire "professionalità commerciali" ad ingolfare l'offerta di manodopera con la qualifica di addetto alle vendite, quale respiro potrebbe avere la ricostruzione di competenze orientate alla riparazione, alla manutenzione, allo sviluppo? Buona parte dei computer praticamente nuovi e recuperati sono stati sistemati sostituendo un condensatore da pochi cent o un alimentatore da un paio di decine di euro (ovviamente nel nostro caso recuperati): un delitto buttarli.

Tanto dipenderebbe da un clima generale di investimento in qualità ed intelligenze, dalla spinta e dalla 'protezione' offerte dalle pubbliche amministrazioni che in cambio otterrebbero risparmio dai costi di smaltimento e quasi certamente giovamento dalla crescita di esperienze ed opportunità oggi appiattite ed esposte alla crisi di cicli economici sempre più ravvicinati.
 
Speranze da mettere in conto, senza illusioni, visto che è comunque difficile contestare il principio  secondo il quale un rifiuto non è determinato dalla morte di un bene ma semplicemente dalla decisione di non utilizzarlo più.

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