Regione Piemonte: forti critiche al progetto di sfruttamento dei boschi

ImageSecondo il WWF è un grande inganno e si tradurrà in uno spreco di denaro pubblico e in un enorme danno ambientale.
Il WWF Piemonte ha pubblicato un dossier di approfondimento con una profonda critica sul progetto regionale che tenderebbe a sfruttare le biomasse forestali a fini energetici. Quella che è in corso, secondo i tecnici dell'Associazione è "una propaganda fraudolenta che sta spacciando lo sfruttamento forestale addirittura come utile o necessario all’ambiente e considera il legno come risorsa abbondante, abbandonata e gratuita. Il legno è invece materiale prezioso, limitato e di enorme valore bio-ecologico e, secondo il criterio della sostenibilità, tale patrimonio dovrebbe essere trasmesso alle generazioni future" ...

Attraverso semplici e rapidi ragionamenti vengono esposte le chiare debolezze economiche di tale visione di sfruttamento, che rischia di favorire la nascita di numerosi impianti per la produzione di energia elettrica: un vero controsenso in termini di investimento. Oggi, infatti, sono "i soldi del cittadino, che sborsa per il kWh da biomasse circa il triplo del suo valore reale e che paga gli investimenti pubblici, che sostengono la cosiddetta filiera del legno attraverso vari canali e organismi competenti: FESR, FAS, Fondo Sociale, Piano di Sviluppo Rurale (che finanzia agli agricoltori le centraline) Consorzi forestali, IPLA, UNCEM, Assessorati alla montagna e foreste, ecc.".
Questa maniera di gestire le risorse sarà una presa in giro a danno dei proprietari terrieri e attiverà un prelievo indiscriminato, con un enorme danno ambientale distruggendo gran parte dei boschi del Piemonte e la preziosa biodiversità che racchiudono.

I passaggi fondamentali del documento del WWF sono brevemente così riassumibili:

- Con un sistema di incentivazione senza pari in Europa, si costringe il cittadino a pagare circa tre volte il suo valore il kwh prodotto da biomasse.

- Si costringe il cittadino a pagare la realizzazione di migliaia di km di nuove piste forestali, di centrali a biomasse sparse per tutto il territorio regionale, motoseghe, boscaioli e un complesso apparato di burocrati "parassiti" consorziati in vari enti che vivono del denaro pubblico.

- Si supera il problema della parcellizzazione fondiaria (finora ostacolo a tagliare grandi superfici di bosco) consentendo il taglio “a fini sociali” senza darne comunicazione al proprietario.

- Si sostengono le pratiche di taglio più lontane dalla sostenibilità (ceduazione a oltranza) altrimenti non arriva abbastanza legno alle centrali (ma già dalle valli si ha voce di arrivi di legna, su camion, dall’estero …).

- Ci si prepara a tagliare tutto quello che era cresciuto dalla fine della guerra ad oggi, grazie al fatto che fare legna era attività antieconomica, ma ciò non basterà e si dovrà tagliare anche il resto.

- Ovviamente, si ignora il fatto che un albero non è solo legno.  


Il grande inganno del progetto energetico da biomasse forestali della Regione Piemonte: sperpero di denaro pubblico ed enorme danno ambientale.

Il documento completo, comprensivo delle figure e dei dati statistici qui solo segnalati, è visibile al seguente link:
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=23814&parent=14563&content=1

LE RADICI DEL PROBLEMA
Le impennate dei costi dei combustibili fossili hanno rianimato la pericolosa illusione che l’Italia possa permettersi un accresciuto sfruttamento della risorsa forestale per scopi energetici.
Un primo mito da sfatare riguarda la disponibilità di foreste del nostro Paese: all’aumento della superficie forestale dovuto all’abbandono dei territori marginali si è accompagnato un incremento della popolazione nazionale e oggi la quota pro capite di boschi è circa la metà di quella che si aveva nel 1861 (fig. 1: Disponibilità di superficie forestale per abitante in Italia dal 1861 al 1998. Fonte dei dati: Agnoletti, Società e Storia, 2005).

Una propaganda fraudolenta sta spacciando lo sfruttamento forestale addirittura come utile o necessario all’ambiente e considera il legno come risorsa abbondante, abbandonata e gratuita. Il legno è invece materiale prezioso, limitato e di enorme valore bio-ecologico e, secondo il criterio della sostenibilità, tale patrimonio dovrebbe essere trasmesso alle generazioni future.
La Regione Piemonte vuole raggiungere l’ambizioso traguardo di produrre il 20% del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Obiettivo condivisibile, ma che purtroppo verrà raggiunto nei modi sbagliati, ovvero bruciando biomasse legnose in modo da contribuire al 60% di quel 20%. Per produrre energia si prevede di utilizzare ogni anno 2,2 milioni di metri cubi di legname, tagliato secondo le
anacronistiche e discutibili norme della nuova Legge forestale regionale (L.R. 4/2009), in conflitto con le disposizioni in materia di sostenibilità contenute nelle Risoluzioni approvate nelle Conferenze Ministeriali sulla protezione delle foreste in Europa (Helsinki 2003 e successive). Un piano energetico che è una truffa per il cittadino e un’enorme minaccia per l’ambiente.

UNA TRUFFA ECONOMICA AI DANNI DELLA COLLETTIVITA’
Dal punto di vista energetico, il legno si caratterizza per avere un contenuto energetico CE (quantità di energia termica ricavabile dalla combustione completa riferita all’unità di massa), espresso come potere calorifico inferiore (p.c.i.), pari a circa un quarto di quello del gasolio (10200 kcal/kg). In tab. 1 (Contenuto energetico, espresso come p.c.i., di alcune specie legnose) sono riportati i contenuti energetici del legno e della corteccia di alcune specie arboree dei nostri boschi; la colonna più a destra consente la comparazione col p.c.i. del gasolio, evidenziando, in pratica, quanti kg di legno servano per uguagliare il contenuto energetico di un kg di gasolio.
al 45% di umidità e comparazione col contenuto energetico del gasolio Prendendo in considerazione le tecnologie consolidate, gli standard degli impianti termoelettrici alimentati a biomasse sono caratterizzati da rendimenti elettrici bassi, attorno appena al 26%, con valori sensibilmente inferiori alle altre tecnologie usate oggi in Italia: olio combustibile (36%), carbone (42%) e turbogas a ciclo combinato (56%) (fig. 2: Confronto tra le efficienze di diverse fonti e tecnologie per la produzione di energia elettrica).

Il perché di queste basse efficienze è legato in primo luogo alla dimensione degli impianti: i più grandi impianti di produzione elettrica da biomassa sono almeno 60 volte più piccoli di quelli a carbone o a gas.
Ciò è inevitabile, in quanto la piccola dimensione è imposta dalla scarsa densità energetica del combustibile. Una centrale a biomassa da 10 MW elettrici assorbe tutta la produzione di legname di oltre 7500 ettari (l'area di un rettangolo di 10 km per 7,5 km), praticamente più della metà della superficie della città di Torino, collina compresa. Poiché una tale superficie da noi non esiste come bosco unitario, ma è intervallata da strade, aree aperte e abitati, per reperire legna da oltre 7500 ettari bisogna rastrellare il legname in un raggio di decine di chilometri, con trasporti che richiedono migliaia di camion. Per una centrale da 10 MW servono 4600 camion da 20 t all'anno.
Non sarebbe tecnicamente possibile far fluire migliaia e migliaia di camion verso una centrale unica a biomasse potente anche solo un quarto di una a gas e tale da assorbire la produzione di legname nel raggio di centinaia di chilometri. Quindi la centrale deve essere per forza piccola ed essendo piccola ha una bassa efficienza.
Le considerazioni esposte dovrebbero essere più che sufficienti a far scartare l'ipotesi di un ricorso alle biomasse forestali per generare energia elettrica.
Come mai un’attività con tali caratteristiche sfavorevoli suscita comunque interesse? La risposta sta in un sistema di incentivi eccessivi, che non ha eguali in altre nazioni europee e non è accompagnato da un adeguato corollario di limitazioni. Manca la valutazione dei costi ambientali dell’attività, che dovrebbe essere, al contrario, vincolante nei processi decisionali.
Ciò che ci si prepara a fare è una grossa speculazione economica, con effetti ambientali devastanti.
Francesi, svizzeri e austriaci, nostri vicini lungo l’arco alpino, pur utilizzando i boschi regolarmente, non si sognano di produrre corrente elettrica da biomasse forestali, ma si limitano a sfruttare intelligentemente i residui di lavorazione del legno a fini termici.

Se strapagassimo, al prezzo attuale del legname da opera, il legno che si progetta di bruciare in Piemonte in un anno, arriveremmo alla cifra di 58 milioni di euro. Nell’attuale mercato “drogato”, per utilizzare quello stesso legno e produrre energia, l’Amministrazione Pubblica verrà a spendere una cifra estremamente più elevata, che nessuno ha calcolato (o reso noto) esattamente, ma di cui possiamo aver percezione se consideriamo le dichiarazioni recentemente rese dalla Regione: negli ultimi 5 anni sono stati destinati 300 milioni di euro per promuovere l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e, entro il 2013, sono previsti investimenti nel settore che raggiungeranno il miliardo di euro. Il dato è riferito alla generalità delle fonti rinnovabili, ma considerato che la Regione vuole ottenere il 60% dell’energia da biomasse forestali, è automatico che il grosso degli investimenti vada a finire in tale comparto. Per citare solo un
esempio di voce di spesa correlata, si consideri che per le pratiche forestali in Piemonte è prevista la realizzazione di 2000 chilometri di nuove strade forestali e altrettanti chilometri necessitano di opere di manutenzione.
Sono i soldi del cittadino, che sborsa per il kWh da biomasse circa il triplo del suo valore reale e che paga gli investimenti pubblici che sostengono la cosiddetta filiera del legno attraverso vari canali e organismi competenti: FESR, FAS, Fondo Sociale, Piano di Sviluppo Rurale (che finanzia agli agricoltori le centraline) Consorzi forestali, IPLA, UNCEM, Assessorati alla montagna e foreste, ecc..

UNA TRUFFA AI DANNI DEI PROPRIETARI
Attraverso il meccanismo della gestione provvisoria associativa (L.R. 4/2009, art. 18), in Piemonte il taglio del bosco oggi può venir eseguito senza darne comunicazione diretta al proprietario. Se il proprietario vuole conservare il bosco, tocca a lui rincorrere le amministrazioni che ne deliberano il taglio e opporvisi; se non fa nulla si trova il bosco tagliato! La legna gli sarà pagata al valore reale di mercato, ma chi poi la utilizzerà come biomassa ne otterrà la supervalutazione, drogata grazie ai soldi pubblici, di cui si è detto sopra.

UN PRELIEVO NON SOSTENIBILE
Il piano di sfruttamento delle biomasse forestali mira a utilizzare la quota di legname che nessuno ha più tagliato da oltre 50 anni.
L’operazione è spesso spacciata come corretta pratica selvicolturale di conversione di vecchi cedui in fustaie. Per non compromettere i boschi e in particolare per tutelarne il suolo, le conversioni dovrebbero essere realizzate gradualmente, ma ciò aggiungerebbe costi ai costi. La conversione si farà quindi in un unico intervento, tagliando fino al 70% degli alberi presenti.
In tal modo si utilizzeranno gli “interessi”, ma si intaccherà anche il “capitale”, andando contro i requisiti di sostenibilità: non si possono avere foreste sane senza un accumulo sufficiente di sostanza organica al suolo e tale substrato non può accumularsi se la quantità di legno asportata è eccessiva.
Per qualche anno si asporterà un quantitativo ingente di biomassa, con ritmi di utilizzazione superiori ai tempi di ricrescita. Per mantenere il business si passerà da bosco a bosco, realizzando di fatto una progressiva e rapida deforestazione del territorio.

UN ENORME DANNO AMBIENTALE
La combustione del legno crea sostanze nocive (ossidi di azoto, polveri sottili, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici, nichel, diossina, acido cloridrico, ecc.) in quantità maggiore di altri combustibili ed è un fattore di cui tener conto, ma il danno ambientale connesso all’utilizzo del legname per produrre energia è primariamente in rapporto all’alterazione e distruzione degli ecosistemi forestali.
I turni dei trattamenti forestali, ossia i periodi trascorsi i quali si può tagliare, non consentono agli alberi di esplicare che marginalmente le loro funzioni ecologiche. Crescendo, un albero acquista progressivamente le caratteristiche strutturali che lo rendono idoneo a ospitare un gran numero di specie (alghe, funghi, licheni, muschi, epatiche, felci, angiosperme epifite, gasteropodi, nematodi, anellidi, insetti, ragni, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi, ecc.) e anche se si considerano i tempi della gestione “a fustaia”, la forma di governo che prevede i turni di trattamento più lunghi, è enorme la disparità rispetto alla longevità raggiungibile da ciascuna specie (tab. 2: Longevità naturale di alcune specie arboree e turni minimi di taglio nei boschi piemontesi governati a fustaia): i tagli spesso intervengono quando l’albero ha un decimo dell’età che potrebbe raggiungere e le condizioni per l’insediamento della biodiversità associata sono ancora molto modeste.
Non si tiene inoltre conto del fatto che la qualità genetica dei semi prodotti dagli alberi longevi è probabilmente “superiore” a quella media dei semi degli alberi della stessa specie, ma di età inferiore e che ciò potrebbe essere l’elemento che fa la differenza in caso di condizioni ambientali difficili (ad esempio periodi siccitosi o caratterizzati da altri stress climatici). Il taglio, in questo senso, impedisce l’esplicarsi della selezione naturale (quella che porterebbe all’affermazione degli alberi più adatti, geneticamente migliori), con svantaggi per il complessivo ecosistema forestale (se tutti gli alberi muoiono perché inadatti a superare uno stresso climatico, con loro si estinguono vegetali, funghi e animali associati).

Sempre per quanto riguarda la variabilità genetica bisogna anche considerare la possibilità che i semi prodotti abbiano caratteristiche diverse nel corso della vita del singolo esemplare e anche questo potrebbe avere un effetto rilevante a livello ecosistemico.
Le conseguenze ecologiche sono ovviamente ancora più negative nel caso del governo a ceduo, che è poi la pratica gestionale su cui si fonda la maggior parte dell’approvvigionamento di legname per produrre energia.
Il ceduo è una forma di sfruttamento incompatibile con l’obiettivo della sostenibilità della gestione forestale, che anche il nostro Paese ha sottoscritto. In tab. 3 (Perché la ceduazione non è una pratica sostenibile) sono sinteticamente riassunte le motivazioni di tale affermazione.

Invece di emanare norme volte alla disincentivazione della ceduazione, la Regione Piemonte, attraverso il piano energetico, la incentiva: il 60% del piano energetico regionale si fonda proprio sullo sfruttamento dei cedui.
Per mascherare il danno ambientale connesso si sostiene che i boschi artificialmente mantenuti giovani fissano più CO2. In realtà, al momento dell’utilizzo per la produzione energetica, la CO2 immagazzinata viene riversata nuovamente nell’atmosfera e in un ciclo breve come quello del ceduo ciò equivale ad azzerare la capacità della foresta di trattenere CO2. Nelle fustaie, gestite con turni più lunghi, e ancor più nelle foreste naturali non gestite, la CO2 rimane invece immagazzinata come carbonio organicato, in larga parte trattenuto a livello del suolo.
Anche in relazione al fatto che le cure forestali sono spesso presentate come terapie per prevenire gli incendi, occorre infine ricordare che la realizzazione di infrastrutture volte a consentire le operazioni di taglio, facilitando l’accessibilità al bosco, può incrementare il rischio di incendi dolosi e colposi.

MEGLIO SAREBBE NON GESTIRE
Poiché una tonnellata di legno fresco corrisponde a 0,91 tonnellate di CO2 assorbite, se ci astenessimo dal prelievo previsto di 2,2 milioni di tonnellate di legname all’anno e lasciassimo in pace i boschi, a costo zero potremmo conseguire l’obiettivo di stoccare ogni anno, nei boschi piemontesi, un quantitativo di CO2 pari a circa 2 milioni tonnellate.
In relazione agli accordi internazionali vigenti, certificare tale assorbimento permette di ridurre i costi legati al superamento delle emissioni di CO2 consentite: si tratta di centinaia di milioni di euro che vanno a beneficio di tutti i cittadini, mentre produrre energia elettrica dai boschi è un affare solo per pochi.
E se utilizzassimo gli attuali incentivi pubblici volti a favorire l’utilizzo delle biomasse forestali per corrispondere ai proprietari il doppio del valore del legname affinché non lo taglino, ma lo lascino nei boschi, faremmo felici moltissime persone, del bene all'ambiente e risparmieremmo ancora dei soldi.
I boschi "abbandonati”, a costo zero per il contribuente, svolgono inoltre molti altri positivi effetti ambientali.
La necromassa legnosa, lasciata finalmente libera di accumularsi al suolo dopo gli intensi sfruttamenti del passato, protegge dall’erosione e rigenera il suolo, arricchendolo di materia organica e nutrienti che favoriscono la crescita degli alberi. Trattiene, inoltre, una gran quantità di umidità al suolo, fattore essenziale per la salute ecologica delle foreste in tempi di riscaldamento climatico.
I boschi "abbandonati" possono non piacere esteticamente, ma sono in grado di rinnovarsi naturalmente, espandersi ed ospitare ricche comunità biologiche, seppur con tempi lunghi, lontani dalle logiche dei selvicoltori. Oltre un terzo di tutte le specie viventi nelle foreste temperate risultano associate alle fasi di invecchiamento e decadimento del legno.
Il WWF ha lanciato in tutta Europa la campagna "20-30 per il 2030" enfatizzando come sia a partire da tale ammontare di metri cubi di necromassa per ettaro che le foreste estrinsecano efficacemente la loro potenzialità biologica.

I nostri boschi “abbandonati”, tali per lo più da circa 50 anni, sono ancora ecosistemi giovani ed è saggio lasciarli invecchiare: si tenga presente che una quercia può raggiungere i 900 anni!
Valutati costi e benefici, decidere di non gestire gli ambienti forestali sarebbe certamente preferibile che gestirli nella forma perversa avviata dalla Regione Piemonte.

LO SFRUTTAMENTO FORESTALE CHE SI PROFILA E’ IMMORALE
Fino alla fine dell’ultima guerra mondiale, il taglio dei boschi era motivato dall’effettiva e grave condizione di indigenza di una vasta parte della popolazione. Era dannoso per l’ambiente, ma giustificabile nell’etica umana. Dal dopoguerra la necessità di fare legna è venuta meno, lo sfruttamento forestale è divenuto antieconomico e ciò ha consentito ai boschi di cominciare a riprendersi.
L’operazione di sfruttamento forestale che è stata avviata ora in Piemonte e in altre regioni italiane non è giustificabile da motivazioni economiche, costituisce un grave danno ambientale e va contro il principio della sostenibilità: invece di lasciare ai nostri figli il bene forestale nelle condizioni in cui l’abbiamo trovato (o in condizioni migliori), lasceremo loro un ambiente fortemente impoverito e un’atmosfera più inquinata.

Senza giustificazione alcuna, in maniera assolutamente immorale!

A cura di:
WWF Italia - Sezione Regionale Piemonte e Valle d’Aosta
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Tel: 011.4731873 - Fax: 011.4373944
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