Chi protegge i boschi del Piemonte ?

ImageLa scorsa settimana avevamo pubblicato un documento del WWF di forte critica della nuova legge forestale della Regione Piemonte. Questa settimana ospitiamo la risposta di Mercedes Bresso, allo scopo di offrire ai nostri lettori un quadro complessivo della vicenda ...

Il punto di partenza della legge è la considerazione del bosco come bene comune da tutelare e conservare per le generazioni future. Per fare questo ci sono due possibili vie: lasciare tutto com’è e non muovere uno spillo, come sostiene il WWF; oppure pensare al bosco come a una risorsa da conservare utilizzandolo, come in passato è stato fatto e come da troppo tempo in Piemonte si fa troppo poco. La legge forestale fissa le regole e i limiti di questo utilizzo.

Se i boschi del Piemonte fossero foreste primarie come la foresta amazzonica, avrebbe senso non toccare nulla. Ma i boschi del Piemonte sono boschi “coltivati” e/o abbandonati, oppure colonizzazioni spontanee di aree precedentemente utilizzate come pascolo o come coltivo, specialmente in area montana e collinare. E’ l’abbandono della montagna che ha fatto aumentare enormemente la superficie boscata regionale e che pone il problema di una sua corretta gestione.

A questo si aggiungono l’assenza o l’irreperibilità di molti proprietari dei boschi, frutto di emigrazioni ed esodi dalla montagna nell’ultimo secolo, dall’altra la parcellizzazione della proprietà forestale. D’altra parte in tutta Europa i boschi vengono gestiti da forme associate, proprio perché la pianificazione ha senso su aree vaste. In Piemonte esistono già alcune forme associative di gestione dei boschi, primo fra tutti il Consorzio dell’Alta Valle Susa che gestisce da circa un secolo in forma associata i boschi di tutti i Comuni dell’Alta valle.


La gestione sostenibile e l’utilizzazione dei boschi

La legge forestale detta le norme per gestire in maniera sostenibile i boschi (il 36 % della superficie regionale per un totale di 922.000 ettari), utilizzando strumenti che vanno dalla pianificazione alla gestione associata delle superfici forestali. Il primo atto per pianificare e gestire i boschi è conoscerli. Gli studi ormai decennali che hanno portato alla stesura della carta forestale del Piemonte e dell’inventario regionale, distinguono tra varie tipologie di boschi, di cui quelli potenzialmente destinati a una utilizzazione sono circa un terzo del totale.

Non è vero poi che le utilizzazioni siano destinate unicamente a ricavare legname per uso energetico. Anzi, esistono già aree del Piemonte che producono legname certificato e l’uso energetico è unicamente destinato al legname di scarto o di scarso pregio.

Per una regione che importa legno da fuori (con i costi di trasporto e il relativo inquinamento) per ogni tipo di utilizzo, compresa la combustione, e contemporaneamente dispone di un così vasto patrimonio forestale, è doveroso porsi il problema di imparare a utilizzare e a valorizzare le proprie risorse, come si fa nella vicina Francia, per non parlare dell’Austria o di altre regioni italiane come il Veneto o il Trentino.

Quanto alla cosiddetta “truffa ai proprietari”, è solo all’interno di una gestione associata e solo in presenza di una pianificazione approvata dalla Regione che è possibile gestire parcelle forestali di proprietari non reperibili, per altro mettendo da parte gli eventuali profitti in modo da restituirli quando questi si dovessero far vivi.

L’uso delle biomasse

Il WWF parte da un numero (2,2 milioni di metri cubi di legname) che a suo dire è l’obiettivo che la Regione Piemonte si prefigge di ricavare annualmente dalle foreste del Piemonte per destinarlo ad un uso energetico.
Non è così. Quel numero rappresenta il calcolo teorico di quanto si potrebbe ricavare dall’insieme delle foreste del Piemonte se fossero gestite in modo sostenibile e per ogni tipo di utilizzo (legname da opera, per uso industriale e marginalmente energetico).
In quello studio teorico, per la triturazione, che comprende uso energetico e industriale, il calcolo è di 1,1 metri cubi all’anno di potenziale globale, ma considerato che il territorio forestale attualmente accessibile è circa il 40%, il valore stimato diminuisce di conseguenza.

Si sta quindi parlando di numeri teorici, non è un’incitazione ad armarsi di motosega.

Inoltre nelle linee guida per il piano energetico regionale, quando si parla di produzione di energia da biomassa non si parla solo di biomasse di origine forestale, ma soprattutto di biomasse di origine agricola (potature, sfalci ecc.). Inoltre si parla di centrali di piccole o piccolissime dimensioni per zone rurali e montane, centrali per la produzione di calore soprattutto o di cogenerazione, assolutamente non per la produzione esclusiva di energia elettrica come sembra ritenere il documento del WWF.

Oltretutto, nel caso delle centrali a biomasse, i contributi della Regione sono subordinati a progetti di filiera corta, quelli che in altri ambiti si chiamerebbero “a chilometro zero”, perché, come è ovvio, il trasporto su lunga distanza del legname (ma anche degli sfalci o potature agricole) è il contrario della “sostenibilità” sia ambientale sia economica.

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