Presentate le Osservazioni al Piano Energetico Provinciale di Asti

ImageIl 31 Maggio è scaduto il termine previsto dall'amministrazione provinciale di Asti per presentare "Osservazioni" all'ormai urgente ed indispensabile Piano Energetico astigiano. Vi presentiamo il documento di revisione, critica e proposta consegnato dal Movimento Stop al Consumo di Territorio ...

Al Servizio Ambiente della Provincia di Asti

Piazza Alfieri 33

14100 Asti

 

 

Venerdì 28 Maggio 2010

 

Oggetto: Osservazioni al Piano Energetico Provinciale.

 

     In merito alla prima stesura del Piano in oggetto, sottoposto a consultazione pubblica, riteniamo doveroso segnalarVi alcune attenzioni che, a nostro parere, andrebbero contemplate dal documento di programmazione e regolamentazione.

     Ma, innanzitutto, ci preme mettere in luce il carattere di “emergenza” che caratterizza l’attuale momento, in cui l’assenza di un piano energetico provinciale sta favorendo palesi squilibri nella delicata gestione del nostro territorio: negli ultimi mesi, infatti, anche nella nostra Provincia si è avviata una “corsa” al nuovo impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili (ed agli incentivi economici relativi …) che sta gravemente mettendo a rischio luoghi, scorci paesaggistici, terreni fertili, vigneti, colline, aree Unesco.

     Nonostante l’impegno, decine di Sindaci faticano a trovare gli strumenti per evitare di dover dare la loro autorizzazione ad impianti dal forte impatto ambientale e paesaggistico.

     E’ dunque assolutamente necessario, urgente ed indifferibile che l’amministrazione provinciale assuma un preciso ruolo e deliberi una Moratoria che sospenda qualunque processo autorizzativo in corso fino a che questo Piano Energetico Provinciale non sia stato approvato.

     Parallelamente, riteniamo indispensabile che l’amministrazione provinciale solleciti la Regione Piemonte a stimolare l’accelerazione dell’approvazione delle apposite Linee Guida da parte della Conferenza Stato/Regioni, ferme dal 2003. Il Ministero dello Sviluppo Economico, da noi interpellato, ritiene di avere compiuto, attraverso il decreto legislativo n. 387/2003 i passi necessari in tal senso e ci segnala l’inadempienza della Conferenza. A nostro parere, l’assenza di Linee Guida condivise dagli Enti Regionali rappresentano una grave debolezza dell’impianto legislativo nel suo complesso e, anche in questo caso, riteniamo opportuno provvedere ad una Moratoria sino a che l’approvazione di una precisa regolamentazione non venga compiuta.

 

     Per quanto riguarda il documento proposto dall’amministrazione provinciale, riteniamo indispensabile segnalarVi:

 

1. Salvaguardia delle aree agricole in classe I, II, III di capacità d’uso del suolo e dei terreni posti in paesaggi ed ambienti caratteristici.

 

     Sottolineiamo l’esigenza di impedire che ulteriore suolo fertile venga sacrificato all’interno di una provincia che sull’agricoltura ha sempre basato il proprio sviluppo e che, ora, sta faticosamente tentando (in un momento di costante abbandono del territorio da parte di attività industriali ed artigianali) di rivolgere la sua resistente anima agricola ad un turismo “intelligente e sostenibile”, capace di captare le qualità dell’offerta astigiana e risollevare, così, l’economia locale in pericoloso declino.

    

     La Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta a Firenze il 20/10/2000, ratificata dall’Italia con L. 09/01/2006 n. 14, ed in particolare il suo articolo 2, indica che la Convenzione si applica a tutto il territorio e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani e concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati; l’art. 5 punti a), b) e d), afferma che ci si deve impegnare a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale, naturale e fondamento della loro identità e che si devono altresì stabilire ed attivare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e pianificazione dei paesaggi, tramite l’adozione di specifiche misure e per i quali bisogna integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle di carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio; l’art. 6 punto e), indica che per attuare le politiche del paesaggio tutti i soggetti si impegnano ad attivare gli strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi.

    

     Il consumo di suolo caratterizza in modo particolare e grave l’Italia, dove assume caratteristiche quasi patologiche. Ma a differenza degli altri paesi europei, nel nostro paese non si è fatto, nel tempo, quasi nulla per contrastarlo, salvo che in pochi casi di comportamenti virtuosi di Amministrazioni lungimiranti e attente alle risorse comuni e alla loro deperibilità.

     Negli ultimi mesi, grazie alle sollecitazioni di Movimenti come il nostro e di professionisti - precursori - del settore, l'emergenza racchiusa nel termine “consumo di suolo” ha iniziato timidamente ad emergere anche in Italia, parallelamente all’affermarsi in altri ambiti del concetto di “risorse limitate”: così come l’acqua, l’aria, l’energia, anche la terra su cui appoggiamo i piedi (e che ci dà da mangiare, purifica l’acqua, accoglie le precipitazioni meteorologiche, ecc.) non è qualcosa di cui si possa disporre liberamente, soprattutto per usi ad alto e medio/alto impatto ambientale.

    

     A livello internazionale ed europeo, gli allarmi per frenare/arrestare questa erosione fisica dei suoli sono ormai all’ordine del giorno. E lo sono particolarmente in questi mesi di crisi economica strutturale che rende urgente il potenziamento della cosiddetta “sovranità alimentare”, ovvero la capacità di un territorio di poter produrre il massimo delle disponibilità primarie per la propria specifica sussistenza.

     Negli ultimi anni è stato lanciato l’allarme sul consumo di suolo agricolo in Italia: secondo il primo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo, negli ultimi 50 anni si sarebbe sottratto alle produzioni agricole circa 1/3 del terreno agricolo del nostro paese, tendenza che attualmente continua con la perdita giornaliera di circa 200.000 mq.

     A livello astigiano la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) ha registrato soltanto tra il 1990 e il 2000 una perdita di circa 16.000 ettari, come se fosse improvvisamente sparita dalle nostre colline la coltivazione della vite (che è pari circa a 16.000 ettari, appunto).

     Sono tutti segnali di attenzione e di allarme che non possono essere trascurati da nessuna amministrazione pubblica.

    

     Il suolo libero costituisce una risorsa non rinnovabile per l’uomo, la società, la natura e l’ambiente: come pausa spazio di rallentamento e silenzio, come natura fruibile e abitabile, come spazio di complessità ecologica, come presupposto della produzione agricola e del relativo servizio ecologico. Il suolo va preservato e occupato con usi non reversibili solo se e quando necessario.

     Occorre ridurre i consumi della risorsa suolo. La necessità di ogni uso trasformativo del suolo (nuova occupazione o sostituzione di occupazione già esistente) deve essere oggetto di un iter di valutazione al fine di evitare la facile e non sostenibile sottrazione di spazio e funzioni alla natura e alle risorse ecologiche ed ambientali in generale e la perdita di risorse biologiche esistenti o che potenzialmente si insedierebbero. Il consumo del suolo, in qualunque forma e copertura esso si presenti, o la sua alterazione da parte di un’attività antropica, rappresenta dunque una forma di danno all’ambiente e all’ecosistema in quanto modifica l’assetto e le condizioni originarie dell’ambiente.

    

     Il territorio è un bene comune. Qualunque politica territoriale deve avere origine e fine nell’esclusivo interesse della collettività, secondo modalità coerenti con i caratteri fisici, morfologici, biologici, storico-culturali e paesaggistici propri del territorio considerato.

     Il territorio è un’opera d’arte. La sua architettura è il risultato di un processo storico di adattamento alla morfologia originaria da parte delle diverse culture umane che lo hanno abitato. Questo processo ha definito l’identità del luogo. Ogni intervento nel territorio deve comporsi nella sua architettura e riconoscerne l’identità.

 

 

2. Impianti fotovoltaici.

 

2.1 I criteri E.R.A. suggeriti dalla Regione Piemonte vanno ulteriormente ampliati per quanto riguarda le aree di esclusione.

 

     In riferimento a fattori di carattere ambientale, paesaggistico, culturale, geologico, idrogeologico e di consumo del suolo agricolo, per l’installazione dei “campi  fotovoltaici”, si deve porre il divieto di utilizzare le seguenti zone:

 

a) aree agricole in classe I e II di capacità d’uso del suolo;

 

b) aree agricole interessate da produzioni agroalimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.G.T., D.O.C., D.O.C.G. e produzioni tradizionali);

 

c) siti UNESCO, comprensivi delle eventuali zone tampone/cuscinetto, in ogni caso con fascia di rispetto di 500 m.;

 

d) aree e beni di interesse storico-culturale, di cui agli artt. 10 e 128 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i., con relativa fascia di rispetto di 500 m.;

 

e) aree e beni di interesse paesaggistico, di cui agli artt. 134, 136, 142 e 157 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i., con relativa fascia di rispetto di 500 m.;

 

f) aree e beni di interesse culturale, paesaggistico ed ambientale, individuati dal vigente P.R.G.C., ai sensi dell’art. 24 della L.R. 56/1977 e s.m.i., con relativa fascia di rispetto di 500 metri;

 

g) aree incluse nella Rete Natura 2000 (S.I.C., Z.P.S. e S.I.R.), con relativa fascia di rispetto di 500 m.;

 

h) zone umide, di cui al D.P.R. 448/1976 e s.m.i., con relativa fascia di rispetto di 500 m.;

 

i) aree individuate a parco nazionale e regionale, di cui alla L. 394/1991 e s.m.i. ed aree individuate come riserva naturale regionale, di cui alla L.R. 19/2009 e s.m.i., con relativa fascia di rispetto di 500 m.;

 

j) aree soggette a vincolo idrogeologico, di cui al R.D.L. 3267/1923 e s.m.i.;

 

k) aree caratterizzate da fenomeni di dissesto geologico, idrogeologico di pericolosità elevata, conoidi attivi, valanghe attive, aree di esondazione e dissesto morfologico di carattere torrentizio, individuate dal P.A.I. approvato con D.P.C.M. il 24/05/2001;

 

l) aree in fascia A e B, individuate dal P.S.F.F. approvato con D.P.C.M. 24/07/1998 e dal P.A.I. approvato con D.P.C.M. il 24/05/2001;

 

m) aree in classe III, in base alla Circ. P.G.R. 7/LAP/1996;

 

n) aree inerenti gli aeroporti e le aviosuperfici, con relativa fascia di rispetto di 1000 m., fatte salve le eventuali deroghe concesse dagli Enti competenti;

 

o) aree militari, con relativa fascia di rispetto di 1000 m., fatte salve le eventuali deroghe concesse dagli Enti competenti;

 

p) aree all’interno della specifica fascia di rispetto stradale, ferroviaria, cimiteriale, acquedotto, depuratore, discarica, acque demaniali, opere arginali, ecc., individuate dalle relative normative, fatte salve le eventuali deroghe concesse dagli Enti competenti;

 

q) fascia di rispetto di 250 m. dai fabbricati isolati e dal limite delle aree edificate o previste come edificabili dal vigente P.R.G.C..

 

     Nelle citate zone, in deroga ai divieti di cui sopra, può essere ammessa l’installazione degli impianti volti alla produzione di energia finalizzata direttamente all’autoconsumo, aventi potenza non superiore a 20 KW, previo ottenimento dei pareri/autorizzazione degli Enti di competenza e nel rispetto delle condizioni sottostanti.

     Nelle aree agricole in classe III di capacità d’uso del suolo, l’installazione degli impianti dovrà essere soggetta alle preventive valutazioni della capacità d’uso del suolo a scala di dettaglio (aziendale), in base alle specifico “manuale operativo” approvato dalla Regione Piemonte.

Nelle altre zone, è ammessa l’installazione dei “campi fotovoltaici”, alle seguenti condizioni:

 

- gli impianti devono perseguire il minor impatto sul territorio ed una maggiore sostenibilità dell’impianto e delle opere connesse, ricorrendo alle migliori tecnologie disponibili, al fine di migliorare/armonizzare il più possibile gli impianti nel contesto;

 

- le strutture di sostegno non devono essere con fondazioni in cemento armato, al fine di non compromettere ulteriormente il suolo e facilitarne la rimozione e lo smaltimento finale;

 

- tra le varie “file” dei pannelli, dovrà essere mantenuta una distanza idonea ad attenuare i danni da surriscaldamento del suolo, al fine di mantenere una “vitalità” del terreno;

 

- ogni intervento deve prevedere le opere di mitigazione/compensazione ambientale, necessarie ad attutire le interferenze visive, con la messa a dimora di idonee “fasce - schermature” arboree ed arbustive autoctone di “pronto effetto” ad elevata varietà, tenendo conto delle visuali panoramiche, paesaggistiche, della visibilità dalle strade e da ogni altro spazio pubblico;

 

- distanza dai confini:  5,0 m., calcolata dalla massima sporgenza nel momento della minor inclinazione rispetto alla verticale; sono ammessi posizionamenti a distanze inferiori a quelle stabilite dal presente punto, a condizione che intervenga vincolo legale tra confinanti;

 

- distanza dai fabbricati: 10,0 m., calcolata dalla massima sporgenza nel momento della minor inclinazione rispetto alla verticale, sono ammessi posizionamenti a distanze inferiori a quelle stabilite dal presente punto a non meno di 5,0 m., ovvero in aderenza purché non vengano oscurate,  ombreggiate le esistenti aperture, a condizione che intervenga vincolo legale tra proprietari;

 

- fasce di rispetto (stradale, ferroviaria, cimiteriale, acquedotto, depuratore, discarica, acque demaniali, opere arginali, ecc.), individuate dalle specifiche normative, fatte salve le eventuali deroghe concesse dagli Enti competenti;

 

- altezza massima di edificazione:  3,5 m., calcolata dalla massima sporgenza nel momento della maggior inclinazione rispetto alla verticale;

 

- gli impianti non devono alterare la pendenza dei terreni e l’assetto dei luoghi;

 

- in ogni caso, sui suoli non alterati o non urbanizzati, non potranno realizzarsi pavimentazioni di alcun tipo, il terreno dovrà mantenere la sua attuale permeabilità, nel caso debbano essere realizzati nuovi tratti viari all’interno o all’esterno del “campo fotovoltaico”, questi dovranno essere realizzati con piste in terra, la manutenzione del suolo (rimozione piante infestanti e taglio del manto erboso) dovrà essere eseguita meccanicamente e non chimicamente, per la pulizia dei pannelli non potranno utilizzarsi sostanze chimiche;

 

- le recinzioni devono essere sollevate dal suolo per consentire il passaggio della fauna, le stesse non devono avere strutture di sostegno con fondazioni in cemento armato, al fine di non compromettere ulteriormente il suolo e facilitarne la rimozione e lo smaltimento finale;

 

- sui suoli non alterati o non urbanizzati, il soggetto proponente in sede di presentazione dell’idoneo titolo abilitativo, è tenuto alla presentazione di una “dichiarazione di impegno” da registrarsi e trascriversi nei Pubblici Registri Immobiliari, per lo smantellamento e la dismissione dell’impianto e delle relative strutture al termine dell’esercizio. A garanzia del ripristino dello stato dei luoghi, dovrà essere presentata in sede del titolo abilitativo, idonea polizza fidejussoria, da aggiornarsi con cadenza quinquennale.

 

 

 

2.2 Nel ribadire la nostra ormai nota posizione "SI' al fotovoltaico, ma non su terreni liberi" e puntualizzando ancora una volta il nostro netto schierarsi a favore della tecnologia specifica, invitiamo l'amministrazione provinciale a regolamentare l'autorizzazione alla realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte solare, escludendo rigorosamente tutti i progetti ipotizzati su suolo agricolo/libero, allo scopo di indirizzare correttamente le scelte progettuali verso una vera sostenibilità, ovvero utilizzando superfici già edificate (ad esempio tetti di abitazioni e di capannoni agricoli/industriali, aree asfaltate/cementificate). 

     Parallelamente, ribadiamo anche la nostra ferma contrarietà – per ragioni di sicurezza, salute e precauzione - a qualunque tipo di percorso nucleare, invitando cittadini ed amministratori ad indirizzarsi verso un necessario scenario di minori consumi energetici, per lo più prevalentemente basati su energia prodotta da fonti rinnovabili.

     Ci preme anche sottolineare che benché la tecnologia fotovoltaica consenta di produrre energia “pulita”, utilizzando una fonte rinnovabile, non la si può considerare priva tout court di impatto sull’ambiente, in quanto occorre distinguere tra le diverse tipologie di impianto. In particolare, essa è difficilmente condivisibile quando è realizzata mediante impianti a terra di pannelli fotovoltaici su suoli liberi.

     Gli impianti fotovoltaici posti su terreni rischiano di ridurre fortemente l’attività fotosintetica e la biodiversità, con impoverimento progressivo del tenore di carbonio nel suolo e di biomassa emergente: la conseguenza più evidente è l’emissione anziché la fissazione di CO2 climalterante (il suolo rappresenta il maggior pozzo di assorbimento di carbonio): questione paradossale, per una tecnologia che punta a ridurre le emissioni climalteranti.

     Inoltre, per carenza/assenza di precipitazioni, a causa della copertura, la superficie andrebbe incontro a progressiva desertificazione, a meno che non si intervenga con recupero delle precipitazioni e loro utilizzo su tali superfici con impianti irrigui ad hoc, cosa che comporta l’utilizzo, per pompaggio/irrigazione, di una quota di energia prodotta.

 

2.3 Nel caso di volontà di trasformazione della destinazione d’uso di area agricola ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, occorre tassativamente prevedere:

 

a) la richiesta di sottoporre il progetto a Valutazione d’Impatto Ambientale;

 

b) di produrre garanzie relative al mantenimento della fertilità dei suoli mediante programma agronomico;

 

c) la stipula di specifica convenzione per l’uso temporaneo dei suoli e congruo deposito cauzionale incondizionato dell’importo, con aggiornamento Istat, necessario per lo smontaggio, lo smaltimento e la rimessa in pristino delle aree.

 

2.4 L’amministrazione provinciale di Asti deve in ogni caso impegnarsi in un’opera incessante tesa a:

-          sensibilizzare e supportare le imprese agricole su un razionale utilizzo del fotovoltaico, in particolare per quanto riguarda l’installazione sui tetti per non consumare terreno;

 

-          sensibilizzare e supportare le aziende industriali, artigianali e commerciali ad impiantare la tecnologia fotovoltaica sui tetti dei propri capannoni (ribadendo che la posa degli impianti permetterebbe anche la contestuale rimozione/sostituzione di molte coperture in eternit ormai obsolete e almeno parzialmente degradate);

 

-          promuovere, anche tramite l’istituzione di un apposito sportello, l’installazione di piccoli impianti famigliari al fine di creare una sensibilità diffusa nei confronti del problema energetico, nonché favorire un’equa e collettiva distribuzione degli utili resi possibili dagli incentivi distribuiti grazie a una tassa che colpisce tutti i consumatori;

 

-          modificare eventuali vincoli urbanistici che vietino o ostino l’installazione di pannelli fotovoltaici/solari sui tetti delle abitazioni comunali, disciplinandone l’utilizzo corretto.

 

2.5 Dimensione degli impianti.

     Il D.M. 19/02/2007 e s.m.i., recante “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante la conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell’art. 7 del D.Lgs. 387/2003”, ed in particolare l’art. 5 - comma 8, nel quale viene esplicitato che sono considerati “non industriali”, gli impianti fotovoltaici integrati e parzialmente integrati, nonché gli impianti fotovoltaici di potenza non superiore a 20 KW la cui energia prodotta costituisca autoproduzione e quindi non venga ceduta alla rete pubblica; conseguentemente gli impianti fotovoltaici non rientranti nelle citate casistiche sono considerati “industriali”, il tutto come peraltro confermato dalla Risoluzione dell’Agenzia del Territorio n. 3/2008 del 06/11/2008, nella quale viene stabilito che le “centrali elettriche a pannelli fotovoltaici”, devono essere accertate nella categoria catastale “D/1 - Opifici”.

     La forte concentrazione di potenza installata su pochi e grossi impianti realizzati al suolo rischia in poco tempo di vanificare quella che è la caratteristica peculiare ed interessante dell’energia solare, ovvero la produzione/generazione distribuita sul territorio grazie a piccoli/medi impianti che nell’ottica originaria dei creatori del meccanismo di incentivazione pubblica dovevano avere un peso consistente nell’economia generale del programma. Ovvero: essendo previsto un limite massimo di potenza installabile che può fruire delle attuali agevolazioni pubbliche, questi grossi impianti a terra precludono ad altre utenze la possibilità di accedere a tali benefici.

     Gli impianti integrati sull’involucro esterno degli edifici di taglia piccola e media (fino ad 1 MW di potenza) godono di una serie di vantaggi fondamentali rispetto alle grandi centrali a terra:

 

- generano energia elettrica nel luogo del consumo; 

 

- riducono le perdite di distribuzione; 

 

- impiegano superfici dell’involucro altrimenti inutilizzate;  favoriscono la creazione di una conoscenza diffusa del fotovoltaico; 

 

- sono meno appetibili da parte di speculatori stranieri (viceversa a caccia di investimenti di taglia maggiore); 

 

- promuovono in modo più efficace gli operatori locali, contribuendo a sviluppare professionalità tra gli installatori e i progettisti nostrani; 

 

- essendo più vicini alle utenze, promuovono una maggiore consapevolezza sull’importanza di ridurre i consumi energetici; 

 

- se ben integrati negli edifici possono essere occasione di riqualificazione architettonica in edilizia;  sono meno soggetti a furti.

 

Infine, negli impianti di grandi dimensioni il peso percentuale del modulo sul valore complessivo dell’impianto è decisamente più consistente rispetto ai piccoli/medi impianti: in sostanza, i sistemi di commutazione della potenza e installazione rappresentano un valore percentuale più basso rispetto ai moduli, penalizzando l’indotto italiano e l’industria degli inverter, un altro settore in cui l’Italia ha una presenza di primo piano

 

 

3. Impianti a biomasse.

 

     Le Linee Guida emanate dall’amministrazione provinciale nel 2007 hanno sostanzialmente permesso di frenare l’esponenziale e “selvaggio” espandersi delle richieste autorizzative di nuovi impianti a biomasse avulsi dalla loro alimentazione con materie combustibili vegetali reperibili sul territorio provinciale.

     Riteniamo, quindi, che il documento regolamentatore possa essere considerato ancora oggi un valido strumento, ma ricordiamo alcune nostre richieste migliorative già espresse in passato:

 

- ceneri di risulta: qualunque richiesta di autorizzazione di impianti a biomasse deve riportare con certezza la destinazione - prevista dal progetto - delle rimanenze dei processi di incenerimento;

 

- la “taglia” degli impianti (ora prevista in termini assoluti per l’intera provincia) deve riportare un termine massimo per ciascun impianto, da noi suggerito in “fino ad una potenza di circa 0,3 MWe”. Dopo questa taglia, le biomasse vanno trovate lontano e, dopo un po', in mancanza di combustibile, si comincia a bruciare il normale rifiuto ... (Così accade praticamente ovunque. Dunque, i rischi non sono poi troppo diversi da quelli di un normale inceneritore).

 

 

4. Impianti a biogas.

 

     Occorre meglio specificare questo passaggio:

I materiali devono essere reperiti entro un raggio di 30 km dall’impianto. Fino al quinto anno di attività il materiale può anche essere reperito a distanze superiori, comunque comprese entro un raggio di 70 km dall’impianto.

 

     A nostro avviso, va assolutamente specificato e ristretto in questo modo:

La biomassa vegetale deve essere reperita entro un raggio di 30 km dall’impianto e deve essere esclusivamente “prodotta” nel medesimo luogo di prelievo, mentre gli effluenti zootecnici devono essere prevalentemente (almeno oltre il 50 %) "prodotti" all'interno dell'area individuata per l'impianto (rendendo dunque chiara la matrice dell'intervento complessivo, volto a valorizzare il materiale locale e le risorse del nostro territorio).

 

Il capoverso:

Fino al quinto anno di attività il materiale può anche essere reperito a distanze superiori, comunque comprese entro un raggio di 70 km.” va eliminato totalmente.

    

     Cordialità.    

 

Il presente documento di “Osservazioni” è sottoscritto da:

 

  • Movimento nazionale ed astigiano per lo “Stop al Consumo di Territorio”

 

  • Gruppo consigliare di Minoranza di Canelli, Canelli Futura

 

  • Gruppo P.E.A.C.E. (Pace, Economie Alternative, Consumi Etici)

 

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