Per Berlusconi non alzo la bandiera a mezz'asta

Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, spiega sul Fatto Quotidiano la decisione di non alzare la bandiera a mezz’asta per la scomparsa di Silvio Berlusconi.

Scrivo questo articolo come rettore dell’Università per Stranieri di Siena: e comincio col dire che, come rettore, mai avrei pensato di dover prendere una posizione sulla morte di Silvio Berlusconi. Se sono stato, al contrario, costretto a farlo è a causa della inaudita decisione del governo Meloni di indire tre giorni di lutto nazionale, nei quali le bandiere sugli edifici pubblici dovrebbero essere poste a mezz’asta.
Di fronte a questa indicazione del potere esecutivo, il rettore di una università pubblica deve fare necessariamente una scelta: accettarla, o respingerla. Dire sì, o dire no: tertium non datur. Poiché la mia coscienza mi impediva di dire sì, ho scritto una lettera all’intera comunità accademica spiegando le ragioni del no...

Una lettera non pubblica: perché – anche per rispetto verso il dolore della famiglia Berlusconi – avrei preferito non essere costretto ad argomentare pubblicamente, in questi giorni, sulle ragioni di questa scelta. Ma vista la reazione delle forze politiche di governo (alcune delle quali chiedono addirittura le mie dimissioni), eccomi a farlo.
L’università non è una prefettura: è una comunità scientifica che costruisce un proprio progetto di educazione. E la Costituzione protegge la sua autonomia dal potere esecutivo: autonomia che rivendico in questo scostamento dalle indicazioni della Presidenza del Consiglio. La mia convinzione è che una università che si inchini nell’omaggio alla figura di Berlusconi perda ogni credibilità educativa, e morale.
Non giudico le colleghe rettrici e i colleghi rettori che hanno fatto scelte diverse: ognuno di noi fa i conti con la propria coscienza, la propria cultura, la propria idea di università.
L’indizione di un lutto nazionale per la morte di un ex presidente del Consiglio che non sia stato in seguito presidente della Repubblica, non ha alcun precedente. È dunque una scelta politica, non istituzionale. A questa scelta io ne oppongo una che, invece, non è affatto politica, ma puramente istituzionale.
Berlusconi è stato condannato con sentenza passata in giudicato per frode fiscale: cioè per aver sottratto fraudolentemente soldi alla cassa comune del popolo italiano. Una colpa gravissima per tutti: ma imperdonabile per un uomo delle istituzioni.

Per questo è decaduto dal Parlamento della Repubblica: una clamorosa sanzione del suo aver ‘servito’ le istituzioni senza disciplina né onore. Basterebbe questo a rendere intollerabile questo lutto nazionale senza precedenti. Ma come dimenticare i conclamati rapporti con Cosa Nostra? Una macchia immensa, sufficiente a rendere impensabili – in qualunque Paese civile – onori pubblici che imbrattano la nostra immagine e distruggono la nostra credibilità agli occhi del mondo.

Infine – perché, appunto, non voglio e non posso in questa veste dare giudizi politici – il rapporto di Berlusconi con le donne: cosa dovrebbero pensare le colleghe, e ancor più le studentesse, della mia università, varcandone la soglia sotto bandiere a mezz’asta in onore di chi ha violato sistematicamente la dignità e la parità del corpo e della persona delle donne?
Ho avuto la notizia della scomparsa di Berlusconi scendendo dal podio dell’Università Complutense di Madrid, dal quale avevo appena pronunciato la prolusione inaugurale del convegno annuale di tutti gli storici dell’arte spagnoli: ma, da lì in poi, nei momenti sociali abbiamo parlato solo di Berlusconi. Nessuno dei colleghi si capacitava di come si potesse anche solo pensare di tributare onori di Stato a una figura come la sua: “Che Stato è, quello italiano?”, mi chiedevano.

L’unica risposta che posso dare è che la mia piccola università si riconosce in un’altra idea di Stato: quella della Costituzione repubblicana (che Berlusconi definiva “sovietica”). Nella mia università abbiamo dedicato dodici aule ai pochi professori che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Come avremmo fatto, allora, a non dire questo “preferirei di no”, tanto più piccolo e innocuo, senza provare vergogna?

Tratto dalla pagina Facebook de Il Fatto Quotidiano (14 giugno 2023).

Aggiungi commento

Invia
Altritasti Periodico on line dell'Associazione di Promozione Sociale Altritasti - via Carducci 22 - 14100 Asti - C.F. 92060280051
Registrazione: Tribunale di Asti n. 7/2011 del 28.10.2011 - Direttore Responsabile: Alessandro Mortarino