... smarrimento... sconnessione... malessere...

di Luisa Rasero.

Provo a razionalizzare una sensazione che credo abbastanza diffusa, cioè lo smarrimento che ci pervade quando ci accorgiamo che una persona, con cui abbiamo fatto tanta strada in comune, su determinati argomenti non la pensa come noi. Anzi, la pensa proprio in modo radicalmente diverso...

Sto pensando ad un campo largo, non definito da comuni appartenenze partitiche o sindacali e neanche associative, piuttosto definito da una specie di connessione sentimentale. Sto pensando a quelli e quelle con cui è normale ritrovarsi in piazza, che si tratti di questioni ambientali o di diritti civili o di lotte sociali o di diritto alla città o di antifascismo o di qualsiasi altra cosa. Quelli e quelle con cui ‘si sa’ di condividere il pensiero e l’indignazione e la voglia di reagire, senza bisogno di dirselo. Basta guardarsi, la comunanza di valutazione e di intenti è data per scontata.

Invece no, non più. La prima rottura è stata sulla vaccinazione anti Covid. Rottura non da poco perché implicava questioni importanti: la libertà e le sue limitazioni, il senso di responsabilità verso gli altri. In quel caso, all’interno di quel ‘noi’ che più o meno eravamo fino a quel momento, abbiamo scoperto differenze forti, e pure espresse in modo aggressivo e viscerale: chissà forse perché eravamo sconcertati dallo scoprirle, queste differenze che non ci aspettavamo.

E poi, in modo ancora più lancinante, la guerra. Tutti pacifisti ma divisi sul modo di esserlo. Per me inviare armi è l’esatto contrario di quel che bisognerebbe fare, scopro che per altri e altre è la cosa giusta.

Non solo, i fronti (ahi, il linguaggio bellico che ci pervade!) si sono scomposti, trovo al mio fianco sulla questione della guerra quello/a con cui ho bisticciato sui vaccini, e viceversa. Tant’è che mi sono pure interrogata se i no vax non avessero qualche ragione, se non scorgessero pericoli che a me allora sfuggivano. No, ci ho ripensato bene e sono ancora convinta della necessità della campagna vaccinale, anzi sono per liberare i vaccini dai brevetti di Big Pharma. Però qualche sottovalutazione sul tema del pensiero unico forse l’ho fatta, avevo pensato che certe imposizioni erano accettabili in quanto giustificate dall’emergenza sanitaria e che avremmo saputo respingerle vigorosamente se il potere si fosse ‘allargato’. Mica tanto...

E quindi si pone un grosso problema di identità. Qual è il mio campo? Dove trovo la connessione istintiva con le altre persone? Devo cercarla di volta in volta, a seconda dell’argomento? Può darsi, è già da parecchio tempo che si parla di società fluida o liquida, si vede che anche le identità diventano mobili, e le appartenenze sono definite da costellazioni variabili. Se non c’è niente di meglio, mi accontenterò ma dico che è poco, troppo poco. Sarà pure l’epoca digitale e social, ma la psiche umana non è cambiata molto nel corso dei millenni, ha bisogno di un minimo di stabilità e di riconoscimento reciproco, di sentirsi parte di un ‘noi’ definito. E’ quello che il grande attore Marco Paolini ha definito il ‘jet leg evolutivo’: abbiamo tecnologia da fantascienza ma reazioni emotive e sentimentali non troppo diverse dai neanderthaliani. Senza il nostro gruppo di riferimento diventiamo fragilissimi.

Nel lungo periodo il problema si risolverà in qualche modo. Appariranno nuove idee forti che determineranno identità collettive solidissime. Oppure il contrario, faremo finalmente quel salto evolutivo e vivremo felici con identità individuali più flessibili, che sapranno comporsi e scomporsi con altre in una specie di danza armoniosa. Non sarebbe male, il ‘campo di appartenenza’ potrebbe allargarsi all’intero pianeta, all’intera specie umana, si è respirato qualcosa di simile nei primissimi tempi della pandemia, quando sembrava di sentire una space di solidarietà con tutti gli homo sapiens minacciati dal virus.

Nel periodo medio-breve, oltre a registrare lo smarrimento, si può fare qualcos’altro? Si accettano suggerimenti. A me al momento viene in mente proprio poco: accettare che siamo in un momento confuso, darci atto della reciproca buona fede, mantenere sempre il beneficio del dubbio sulle nostre opinioni per quanto ci sembrino validissime.
 
Tutto qui, non un granché.

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