Contro la guerra

Considerazioni attorno a uno scritto di Lev Tolstoj.

La guerra russo-giapponese divampò tra il gennaio 1904 e il settembre del 1905, si combattè per il controllo della Manciuria e della Corea, e per quello dell’importante sbocco sul Pacifico di Port Arthur (oggi in Cina), e vide la vittoria del Giappone. I morti furono circa 200.000. Nell’aprile del 1904, mentre i combattimenti erano in pieno corso, Tolstoj licenziò un pamphlet durissimo, dal titolo Ricredetevi! Contro la guerra russo-giapponese, in cui la guerra in quanto tale – e non solo quella in atto – è oggetto di una condanna senza appello. Il testo, immediatamente tradotto e pubblicato in varie parti d’Europa, tra cui l’Italia, mantiene ancora una straordinaria attualità...

Meritoriamente ripubblicato in questi giorni dalle Edizioni Gruppo Abele (in una preziosa collana dal titolo “Futuro Remoto”), sembra scritto oggi. Per questo, su gentile concessione dell’editore, ne pubblichiamo il cap. II, facendolo precedere da uno stralcio dell’introduzione di Tomaso Montanari:
«È impressionante l’aderenza delle parole di Tolstoj a quanto stiamo vivendo oggi, nel 2022. Dimostrando una straordinaria mancanza sia di lucidità che di senso morale, la grande maggioranza di coloro che partecipano al discorso pubblico italiano non si interroga su quel che dovremmo pensare e fare noi, che siamo (per ora) al sicuro dalla guerra, ma tende invece a identificarsi (naturalmente solo a parole) con chi combatte in Ucraina. Questo transfert ha due conseguenze: la prima è che l’opinione pubblica occidentale viene calata nel ruolo di chi combatte, non di chi potrebbe fermare la guerra; la seconda è che il veleno osceno della guerra entra nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. Si accusa di pavidità chi non cede all’alternativa diabolica tra perdere la vita o perdere la libertà: quando proprio noi potremmo e dovremmo salvare gli ucraini da un vicolo cieco in cui comunque si è sconfitti». (la redazione di Volere la Luna).

Accade oggi qualche cosa d’incomprensibile e d’impossibile per la sua crudeltà, la sua menzogna, la sua assurdità. L’imperatore di Russia, quello stesso che invitò tutti i popoli alla pace, dichiara pubblicamente che malgrado tutte le sue cure (cure che si spiegano con l’accaparramento di terre straniere e l’aumento di truppe per la difesa delle terre accaparrate), visto l’attacco dei Giapponesi, ordina di fare ai Giapponesi ciò che i Giapponesi hanno cominciato a fare ai Russi, cioè di ucciderli. E proclamando questo appello alla strage, egli invoca Dio e chiede da lui la benedizione pel delitto più spaventoso che esista. Simile proclama contro la Russia è lanciato dall’imperatore del Giappone.

I sapienti giureconsulti Muraviev e Martens si affaticano a provare che nell’appello dei popoli alla pace generale e nella provocazione alla guerra con l’accaparramento delle terre straniere non vi è alcuna contraddizione. E i diplomatici pubblicano in lingua francese raffinata e inviano delle circolari nelle quali provano con cura e dettagliatamente – benché nessuno loro creda – che il Governo non cambia avviso che dopo aver fatto tutti i tentativi per ristabilire i rapporti pacifici (in realtà tentativi per ingannare altri popoli) e che si vede obbligato di ricorrere al solo mezzo di risolvere ragionevolmente la questione: vale a dire alla strage. E i diplomatici giapponesi scrivono la stessa cosa. Dal loro lato i sapienti, gli storici paragonano il presente al passato e traendo delle profonde conclusioni discutono amplissimamente le leggi dei movimenti dei popoli, i rapporti fra le razze gialla e bianca, il buddismo e il cristianesimo, e, basandosi sulle loro conclusioni e considerazioni, giustificano la strage degli uomini di razza gialla compiuta dai cristiani.

Allo stesso modo, i sapienti e i filosofi giustificano la strage degli uomini di razza bianca. Dei giornalisti, senza nascondere la loro gioia, senza esitare innanzi alla menzogna stessa la più evidente e la più grossolana, provano in diverse maniere che sono i Russi che hanno ragione, che essi sono forti e buoni sotto tutti i rapporti, e che tutti i Giapponesi hanno torto; sono deboli e cattivi sotto tutti i riguardi, e che quelli che sono ostili ai Russi o possono esserlo (gli Inglesi e gli Americani), sono ugualmente cattivi. I Giapponesi e i loro partigiani tengono gli stessi propositi riguardo ai Russi.

Senza parlare dei militari, che, per professione, si preparano alla strage, il gran numero delle persone dette illuminate che non sono spinte a ciò da niente e da nessuno, professori, uomini dei zemstvo (consigli elettivi locali istituiti in alcune province russe, ndr), studenti, gentiluomini, commercianti, esprimono i sentimenti più ostili; e più gravidi di disprezzo verso i Giapponesi, gli Americani, gli Inglesi, per i quali, la vigilia ancora, avevano delle simpatie o dell’indifferenza, e, senza alcun bisogno, testimoniano dei sentimenti i più volgari, i più servili verso l’Imperatore che loro è, almeno, affatto indifferente; l’assicurano della loro devozione infinita e si dicono pronti a sacrificare la vita per lui. E il disgraziato sovrano, guida riconosciuta di un popolo di centotrenta milioni, sempre ingannato e posto nella condizione di contraddirsi crede loro, li ringrazia e benedice per la strage l’esercito che egli chiama il suo e che difenderà le terre le quali con meno diritti ancora può chiamare sue.

Tutti si regalano scambievolmente delle brutte icone, alle quali non solo nessuna persona illuminata crede, ma che il paesano analfabeta stesso comincia a disprezzare. E tutti si inchinano innanzi a queste icone, le baciano e pronunziano dei discorsi enfatici e menzogneri, ai quali nessuno crede. I ricchi sacrificano una minima parte delle loro ricchezze, guadagnate immoralmente per l’opera della strage, per la fabbrica dei mezzi da guerra, e i poveri, ai quali il Governo prende ogni anno due miliardi di rubli, credono necessario fare la stessa cosa e danno pure essi il loro obolo. Il Governo eccita e incoraggia la folla degli oziosi mascalzoni che passeggiano per le vie col ritratto dello czar, cantando, gridano hurrà, e sotto la scusa del patriottismo causano immensi disordini. E in tutta la Russia, dal palazzo imperiale all’ultimo villaggio, i pastori della Chiesa che si dice cristiana, invocano Dio – quel Dio che ordina di amare i propri nemici, Dio d’amore – perché aiuti l’opera diabolica, perché protegga la strage degli uomini.

E centinaia, migliaia di uomini in uniforme e con diversi strumenti di morte – la carne da cannone – storditi dalle preghiere, i sermoni, gli appelli, le processioni, le immagini, i giornali, con l’angoscia nel cuore, in una bravura apparente, lasciano parenti, mogli, figli e vanno là dove, arrischiando la loro vita, commettono l’atto più terribile: la strage di uomini che non conoscono e che non hanno fatto loro alcun male. E dietro ad essi seguono dei medici, delle suore di carità, che vanno là, supponendo, non si sa perché, che in casa loro, non possano soccorrere le genti semplici e pacifiche che soffrono, ma che possono soccorrere solo quelli che sono occupati alla strage.

Quanto alle genti che restano a casa, si rallegrano di nuovi eccidi, e allorché apprendono che vi sono molti Giapponesi uccisi, ringraziano qualcuno che essi chiamano Dio. E tutto questo è giudicato non solo come la manifestazione di sentimenti elevati, ma quelli che si astengono da simili manifestazioni, se tentano di far comprendere agli altri la verità, sono considerati come transfughi, traditori; sono minacciati o ingiuriati, battuti dalla folla abbrutita degli uomini che, per difendere la loro follia e la loro crudeltà, non hanno altra arma che una grossolana violenza.

Lev Tolstoj


Il testo, pubblicato per gentile concessione dell’editore, è tratto da: Lev Tolstoj, Ricredetevi! Contro la guerra russo-giapponese (Edizioni Gruppo Abele, 2022).
Prima pubblicazione nell'anno 1904.

Articolo riipreso da: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/06/14/contro-la-guerra/

 

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