L'evoluzione della Valle Belbo



Prima parte di un contributo del geologo Claudio Riccabone, Vicepresidente dell'Associazione Valle Belbo Pulita.


Il contesto ambientale della Valle Belbo è dominato dall’elemento fluviale, il Torrente Belbo che, con la sua evoluzione, ne ha caratterizzato e ne caratterizza tuttora, in maniera significativa, il paesaggio. All’evoluzione naturale determinata dalla dinamica del corso d’acqua, si sono sovrapposte nel tempo le alterazioni indotte dall’attività umana, che ha pesantemente modificato non solo le caratteristiche fisiche del paesaggio, ma soprattutto i rapporti esistenti tra l’uomo ed il corso d’acqua ...

Se si analizza infatti il contesto evolutivo che ha caratterizzato la fascia fluviale di fondovalle dai primi del ‘900 ad oggi, il torrente ha perso progressivamente le sue peculiarità di elemento caratterizzante il paesaggio, di ambiente condiviso e frequentato dalla popolazione per molteplici scopi (lavoro, pesca, divertimento …), fino a diventare mero ostacolo alla “espansione” delle nostre aree urbane, assumendo una connotazione negativa, di pericolo, o diventando degradato al punto da esser considerato uno scarico a cielo aperto.

Ciò ha portato praticamente alla scomparsa del torrente dal panorama visivo della maggior parte degli abitanti della vallata, alla sua quasi totale rimozione dall’esperienza quotidiana, così come dalla memoria collettiva (salvo tornare drammaticamente presente, in occasione dei periodici e devastanti eventi alluvionali che caratterizzano la vallata, oppure quando l’evidenza dei fenomeni di inquinamento diventa tale da non poter più passare inosservata).

In un contesto ambientale di questo genere, ci si occupa del fiume solo per cercare di minimizzarne la pericolosità, in particolare laddove esso lambisce o attraversa le zone più o meno intensamente antropizzate, attuando forme di “governo del territorio” ispirate solo a criteri economicisti, di sfruttamento del suolo.

Ma le politiche di “pianificazione fluviale” finora adottate sono fondate esclusivamente su parametri di natura idraulica, tecnico-ingegneristici, senza nessuna relazione con la situazione ambientale generale, con il “sistema fiume” nel suo complesso. In poche parole, si riduce il fiume ad un problema esclusivamente idraulico, in nome di una concezione meccanicistica ed utilitaristica del rapporto fra l’uomo ed il suo ambiente, nell’ottica esclusiva di sottrarre sempre maggior spazio al suo naturale divagare, per recuperare spazi all’espansione (a volte irrazionale) delle aree urbane o comunque connesse all’attività antropica. Proprio come un collettore fognario, si tende ad allontanarlo, nasconderlo, restringerlo, limitarlo, con buona pace dei fondamentali rapporti tra i vari ecosistemi che caratterizzano il sistema fluviale.

Si tende ad ignorare, in sostanza, che un fiume non è soltanto la sua asta fluviale e la sua corrente idrica, ma è il suo letto, le sue sponde, le fasce golenali, i versanti stessi della valle, le caratteristiche qualitative dell’acqua che vi scorre dentro. Si dimentica che il suo comportamento è dato dalla risultante di molte variabili, legate al territorio ed alle sue modificazioni, che agiscono su tutto il suo bacino imbrifero. In termini ecologici, si trascura il fatto che un corso d’acqua va considerato una successione di ecosistemi che sfumano gradualmente l’uno nell’altro, interconnessi con gli ecosistemi terrestri circostanti [1].

Il recupero di un corretto rapporto con il Torrente Belbo e l’ambiente fluviale della valle in generale, richiede allora uno sforzo importante, per una serie esigente di motivazioni:

- restituire al fiume la sua funzione di “asse portante” del territorio e del paesaggio di una valle fluviale, evitando di separarlo (non solo fisicamente, ma anche dal punto di vista della sua fruizione e percezione “culturale”) dal resto del territorio;

- considerare il corso d’acqua non più come una realtà isolata ma in termini di “sistema”, fisicamente e funzionalmente interagente con il territorio ed il paesaggio, un sistema unitario in cui i flussi di organismi, le dinamiche di materia e di energia ed i processi idraulici e geomorfologici esercitano reciproche interdipendenze [2], un “sistema fiume” che si caratterizza come elemento di connessione ecologica, all’interno della frammentazione del territorio [3];

- riappropriarsi del “sistema fiume” come patrimonio di conoscenze ed esperienze, nell’ottica anche del recupero di una memoria storica peculiare delle comunità rivierasche;

- progettare interventi che, unitamente alle problematiche idrauliche, tengano conto della fragilità del territorio fluviale, delle interconnessioni ambientali, siano cioè in grado di perseguire tutti gli obiettivi di salvaguardia dell’ambiente fluviale, compresi quelli di natura non idraulica;

- considerare le problematiche connesse alla tutela qualitativa della risorsa acqua, come patrimonio fondamentale per la qualità della vita e diritto inalienabile di tutti (non sfugge la condizione di “malato grave” del Belbo, ancorchè in miglioramento, da questo punto di vista! [4]).

Siamo chiamati a questo compito dall’esigenza ormai imprescindibile di un’autentica sostenibilità del nostro stile di vita e dei nostri impatti sull’ambiente, così come dalla ricerca di nuove prospettive di sviluppo, radicalmente alternative al modello finora attuato, che sta mostrando i suoi limiti.

E’ possibile a questo punto individuare, per chi si occupa (con gli occhiali del geologo) di gestione e pianificazione territoriale, alcuni specifici settori di intervento, che mantengano però un approccio unitario alla “pianificazione” del sistema fluviale, finalizzato al raggiungimento di obiettivi idraulici ma anche morfologici, ecologici, paesaggistici [5]. Adottando, insomma, un metodo in sintonia con la scuola di pensiero di McHarg del “progettare con la natura”, fondato sulla consapevolezza che i fiumi si governano meglio con la comprensione e la conoscenza delle loro risorse e dei loro processi che non con la forza [6].

Dopo questa faticosa, ma necessaria introduzione, nel prossimo articolo proveremo ad analizzare, nell’ottica “di sistema” che ho cercato fin qui di descrivere, questi due aspetti:

La gestione della fascia fluviale e la riduzione del rischio idrogeologico.
Le, ovviamente imprescindibili, esigenze di difesa degli abitati faticano a conciliarsi con la necessità di rispettare quella che è la naturale area di pertinenza fluviale. Ma è possibile individuare modalità di intervento e di gestione che rispettino il più possibile le esigenze di riqualificazione paesaggistica e di recupero della fruibilità delle aree perifluviali. Senza dimenticare che una fascia fluviale con elevati elementi di naturalità funziona come corridoio ecologico naturale, in un contesto come quello della Valle Belbo, che si presenta spesso costretta tra le aree antropiche ed i versanti.

La manutenzione del territorio.
Il problema di una corretta gestione del territorio dal punto di vista della difesa del suolo, si lega in maniera strettissima all’obiettivo di una riqualificazione del paesaggio, sia quello dei versanti boscati dell’Alta Valle, come quello dei vigneti delle colline della media e bassa Valle, così come il fondovalle pianeggiante, da tipica pianura fluviale, verso la confluenza con il Tanaro. Fermare il consumo di suolo, limitare l’impermeabilizzazione dei terreni, restituire elementi di naturalità (alberate, siepi, fasce boscate) ai versanti intensamente coltivati costituiscono il principale investimento per la promozione dei nostri territori.

Pur non esaurendo certamente le tematiche ambientali della Valle Belbo, questi due “macro” ambiti risultano comprensivi di alcune fra le principali dinamiche che regolano l’evoluzione della convivenza tra uomo ed ambiente, nell’affascinante contesto geografico che si estende dall’Alta Langa al cospetto delle Alpi, attraverso il Monferrato, fino a lambire i margini della grande Pianura Padana.

Note:

[1] Ercolini Michele, Dalle esigenze alle opportunità: la difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di paesaggio terzo. Tesi di dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica, Firenze, 2005.

[2] Ercolini Michele, La progettazione ambientale nei paesaggi fluviali: problematiche, approcci, strategie innovative di intervento. Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, anno 2, n. 2, vol. 1, Firenze, 2005.

[3] Ciutti Francesca, Vegetazione riparia e funzionalità dell’ecosistema fluviale, Forestry 2003, Padova, 21/02/2003

[4] Si vedano a tal proposito, i rapporti ambientali sulla qualità delle acque, pubblicati da ARPA Piemonte negli ultimi anni. Si evidenzia in alcune stazioni di controllo, uno stato di qualità del Belbo che tende a migliorare, grazie soprattutto agli sforzi compiuti negli ultimi anni dai vari Enti operativi e di controllo, che operano in questo settore ed all’azione di sensibilizzazione e di “sorveglianza” delle associazioni di cittadini come Valle Belbo Pulita.

[5] Ercolini Michele, Ibidem 2005

[6] “Questo è il metodo: un semplice esame sequenziale del territorio al fine di comprenderlo e di considerarlo un sistema interattivo, “un magazzino attivo” e un sistema di valori. In base a queste informazioni è possibile prescrivere gli usi del suolo possibili – non come attività singole, ma come associazioni di attività. Non è una piccola pretesa, non è un piccolo contributo: dovrebbe essere evidente che il metodo ecologico può essere usato per comprendere e per elaborare un piano con la natura, forse per progettare con la natura” Progettare con la Natura, Ian L. McHarg, New York, 1969, Franco Muzzio, Roma 1989.

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