Tra frane e terreni agricoli perduti ...

di Giovanni Pensabene.
ImageL'Astigiano si sgretola, titola “La Stampa” di Mercoledì 11 Febbraio. Lo stesso titolo credo potrebbe essere riservato alla realtà di ognuna delle province italiane. In realtà è l'Italia a sgretolarsi.

Le cronache di questi giorni ci raccontano di strade e autostrade interrotte, di binari sospesi perchè è franata la scarpata e via discorrendo. Le forze politiche presenti nel parlamento nazionale si insultano sul caso Englaro o sulla giustizia, ma concordano sulla necessità di dotare il “Bel Paese” di ulteriori infrastrutture cui danno il nome, per accrescere la propria libido, di “grandi opere”: dall'alta velocità al ponte sullo stretto, da Berlusconi a Di Pietro fanno a gara per rivendicarne la paternità ...

Non li sfiora il senso del ridicolo a pensare che milioni di pendolari accumulano centinaia di ore di ritardo ogni anno grazie alle nostre fatiscenti ferrovie; che, attraversato lo stretto di Messina in un quarto d'ora,  occorrano spesso 8 – 10 ore per fare i 300 km della Calabria. Sarebbe “grande” l'opera di quel governo che recepisse la necessità di un intervento organico e continuativo  di manutenzione delle strutture stradali, autostradali e ferroviarie esistenti. L'opera di questo ipotetico governo diventerebbe addirittura “magnifica” se, ricercando la causa di tanti disastri nell'abbandono e nello “stupro” quotidiano del nostro territorio, decidesse di occuparsene.

Eh sì, perchè se cominciassimo a cercare le cause dello sgretolamento del territorio e non il ”colpevole”, individuandolo di volta in volta nell'impazzimento del clima, negli ambientalisti, nell'imponderabile disegno Divino ecc ecc, avremmo già fatto un bel passo avanti.
Provo a suggerire qualche idea sulle cause dello sgretolamento del territorio. Scorrendo i dati degli ultimi censimenti generali dell'Agricoltura si scopre ad esempio che:

-         a livello nazionale  tra il 1990 e il 2000 la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è diminuita di circa 1.800.000 ettari (grosso modo 12 volte la superficie della Provincia di Asti), come se improvvisamente nell'intero Piemonte (circa 1.000.000 di ettari di SAU) e nell'intero Veneto (circa 800.000 ettari di SAU) fosse scomparsa l'attività agricola;

-         a livello regionale questa riduzione (confrontando i dati degli ultimi 3 censimenti, dal 1982 al 2000) è stata di 150.000 ettari, ovvero in meno di 20 anni in Piemonte l'Agricoltura ha perduto una superficie pari a quella della Provincia di Asti;

-         a livello provinciale la SAU perduta è di circa 16.000 ettari, come se fosse improvvisamente sparita dalle nostre colline la coltivazione della vite (che è circa 16.000 ettari, appunto).

E' del tutto evidente che la quasi totalità di questi abbandoni riguardi i territori più fragili, montagna e collina, che venendo meno la regimazione delle acque operata dall'attività agricola diventano ancora più fragili. Il discorso potrebbe estendersi anche alle modalità di coltivazione ma diventerebbe più lungo e complesso. Quello che invece si percepisce immediatamente è che non avendo mai considerato la cura del territorio come uno dei prodotti principali dell'attività agricola, non ci si è preoccupati della gravità del venire meno di questa opera.

Per capire meglio: non avendo mai monetizzato questo lavoro non è mai stato ritenuto importante, essendo importante nella nostra società solo ciò che ha un prezzo.
La cura del territorio, la qualità dell'aria, la qualità delle acque ecc. non hanno il “codice a barre”, non hanno prezzo ergo non hanno valore.
In realtà, il “prezzo” di questo disinteresse lo paghiamo tutti i giorni: a livello sanitario, a livello di costi della collettività per ripristinare i danni e così via. Ci vorrebbe una esortazione: facciamo presto che è già molto tardi !

Volendo approfondire le nostre riflessioni sull’evoluzione della superficie agricola a livello nazionale, regionale e provinciale negli ultimi 20 anni, potremmo partire da una serie di elementi.
Innanzitutto, la diminuzione della superficie interessata all’attività agricola è l’anticamera dell’abbandono di intere porzioni di territorio e, spesso, della loro cementificazione. In un caso e nell’altro gli effetti nefasti non tardano a manifestarsi.
L’intera penisola è ormai classificata a rischio di dissesto idrogeologico e, del resto, ad ogni precipitazione che esca da una “normalità” di incerta collocazione è un fiorire di richieste di riconoscimento di stato di eccezionale calamità. Ogni anno vengono spesi miliardi di euro per coprire le spese di danni dovuti alle cosiddette calamità naturali, mentre una corretta gestione del territorio potrebbe consentire a molti di questi fenomeni di non rientrare più nella vituperata categoria delle “calamità”, appunto, ed essere più realisticamente derubricati come semplici temporali o abbondanti nevicate ecc.
L’anno prossimo, 2010, sarà realizzato il VI° Censimento Generale dell’Agricoltura. La lettura dei dati che ne verranno fuori consentirà di percepire con maggiore chiarezza la portata della perdita  di superficie agricola che i dati di seguito riportati rendono solo parzialmente, in quanto riferiti al censimento del 2000 e quindi “vecchi” di 9 anni.

A livello nazionale il raffronto tra il censimento del 1990 e quello del 2000 ci dice che:

-         le aziende agricole sono diminuite di circa 500.000 unità (da oltre 3 milioni a poco più di 2,5 milioni) che corrisponde al 14% in meno. La polemica tra addetti ai lavori se tutte queste debbano o meno essere censite come aziende agricole, per quanto ci riguarda, lascia il tempo che trova. Quello che conta è che queste aziende, agricole o familiari che siano, gestiscono pezzi di territorio e che la diminuzione del loro numero si accompagna, inevitabilmente ad una riduzione di quella che viene considerata Superficie Totale (ST) delle aziende agricole;

-         la ST infatti si è ridotta di oltre 3.000.000 di ettari (circa 20 volte l’intera superficie della Provincia di Asti), in termini percentuali del 13,6%, passando da 22.700.00 ettari circa a 19.600.000 ettari circa ;

-         la Superficie Agricola Utilizzata (SAU), cioè quella direttamente interessata dalle coltivazioni, si è ridotta del 12,2%, passando da oltre 15.000.000 di ettari a circa 13.200.000 ettari. In 10 anni sono usciti dalla produzione agricola oltre 1.800.000 ettari. Per capire l’entità di questa riduzione basti dire che equivale, in termini di ampiezza, alla cessazione di qualsiasi utilizzo agricolo in tutto il Piemonte (circa 1.000.000 di ettari di SAU nel 2000) e in tutto il Veneto (circa 800.000 ettari di SAU nel 2000).

A livello di Regione Piemonte, raffrontando gli ultimi 3 censimenti dell’agricoltura (1982, 1990, 2000) viene fuori il quadro riassunto nella tabella seguente:

1982: 241.407 aziende in una superficie totale di 1.921.063 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 1.219.138 ettari.

1990: 193.901 aziende in una superficie totale di 1.776.400 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 1.120.249 ettari.

2000: 120.863 aziende in una superficie totale di 1.528.265 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 1.069.565 ettari.

Ovvero in meno di 20 anni, dal 1982 al 2000, il numero di aziende agricole (si ribadisce che il riferimento è a quelle indicate come tali dai Censimenti Generali dell’Agricoltura) si è dimezzato, la S.T. gestita dalle aziende agricole si è ridotta di circa 400.000 ettari ( - 20% circa) e la S.A.U. si è ridotta di circa 150.000 ettari (l’intera superficie della Provincia di Asti).

Scendendo alla scala territoriale della Provincia di Asti (superficie complessiva 151.078 ettari) riscontriamo la seguente situazione:

1982: 32.525 aziende in una superficie totale di 129.029 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 90.327 ettari.

1990: 29.834 aziende in una superficie totale di 123.678 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 80.934 ettari.

2000: 21.876 aziende in una superficie totale di 107.088 ettari ed una superficie agricola utilizzata (SAU) di 74.683 ettari.

I dati più recenti ci raccontano di una ulteriore, marcata, contrazione della Superficie Totale che è nel 2008 di circa 80.000 ettari e della S.A.U. che è di circa 60.000 ettari.
Nel 1982 le aziende agricole gestivano circa l’85% dell’intera superficie provinciale, nel 2000 questa percentuale era scesa al 70% circa. Se si considera la sola S.A.U. registriamo che mentre nel 1982 veniva coltivato circa il 60% della superficie provinciale, nel 2000 se ne coltivava meno del 50%.
Nei 18 anni intercorsi tra i 3 censimenti si è persa la gestione di oltre 20.000 ettari di superficie, circa una volta e mezza l’intera superficie del Comune di Asti ( che è più esteso del Comune di Torino e secondo in Piemonte, come estensione, solo ad Alessandria). La S.A.U. si è ridotta di circa 16.000 ettari, in questo caso il termine di paragone che rende bene la portata del fenomeno è immaginare la nostra Provincia senza più vigneti (circa 16.000 ettari, per l’appunto).

Anche la sola osservazione dei numeri nudi e crudi ci dice della gravità della situazione. A questa si possono aggiungere alcune brevi considerazioni circa l’efficacia della Politica Agricola Comunitaria (PAC).
La PAC nella sua enunciazione originaria avrebbe dovuto:

-         portare i paesi dell’allora Comunità Economica Europea, oggi Unione Europea, all’autosufficienza alimentare;
-         migliorare i redditi e le condizioni di vita degli agricoltori;
-         offrire prodotti alimentari a prezzi equi ai cittadini.

Dopo 40 anni di PAC (che fino agli anni ’90 assorbiva oltre il 60% dell’intero bilancio comunitario e che oggi ne rappresenta comunque circa il 40%):

-         l’autosufficienza alimentare  è stata raggiunta e superata con la produzione di eccedenze sulla cui gestione ci sarebbe da aprire un ulteriore capitolo;
-         sono migliorati e di molto i redditi degli agricoltori già ricchi. L’80% delle risorse è stato intascato dal 20% delle aziende agricole, quelle più grandi, e tra i principali beneficiari della solidarietà comunitaria figurano imprese come la Ferruzzi del defunto Raul Gardini o l’azienda agricola del Principe Carlo d’Inghilterra;
-         l’equità dei prezzi per i consumatori è sotto gli occhi di tutti. Un sistema di distribuzione delle derrate alimentari che lascia alle aziende agricole meno del 20% del prezzo al consumo e ingrassa con il restante 80% attori, spesso parassitari, di filiere che quasi mai consentono di risalire all’origine dei prodotti.

Accompagnano  questi “brillanti” risultati: l’abbandono di milioni di ettari di superficie, l’avanzare del dissesto idrogeologico, l’inquinamento delle falde acquifere, la produzione di derrate alimentari spesso scadenti, a volte tossiche, ecc. ecc.
Per concludere, mentre succedeva e succede tutt’ora tutto questo verrebbe da dire che, parafrasando: “il sonno (nella migliore delle ipotesi) degli Amministratori e l’appetito degli speculatori genera mostri”.                                                                                       

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