Gli invasi artificiali non sono una soluzione alla siccità

Lettera di Pro Natura Piemonte ai Ministri dell’Ambiente e Sicurezza energetica e dell’Agricoltura e Sovranità alimentare e ai vertici della Regione Piemonte.

E’ sotto gli occhi di tutti la grave situazione di siccità che ha colpito la nostra Regione e che non interessa soltanto gli strati superficiali del suolo, ma sta fortemente penetrando in profondità. La grave crisi idrica in corso va inquadrata nella crisi climatica ed ecologica in atto, per cui andrebbe affrontata in modo strutturale, individuando le cause e non cercando di tamponare qualche sintomo. Ecco perché riteniamo sbagliato cercare di risolvere il problema della carenza d’acqua con la costruzione di nuovi invasi…

Perché è un grave errore costruire grandi invasi? Innanzitutto c’è un enorme consumo di suolo, ormai insostenibile, e una sensibile variazione della portata del corso d’acqua, su cui incide la diga, a monte e a valle della medesima con tutte le conseguenze ecologiche che questo comporta. Infatti, le dighe hanno un fortissimo impatto sui sistemi idrografici. Gli studi effettuati da anni hanno messo in evidenza che le dighe, insieme alle escavazioni in alveo, hanno determinato una mancanza di sedimenti nel reticolo idrografico, con pesanti incisioni degli alvei e, soprattutto, erosione costiera, con scomparsa di estese spiagge marine. Quanto si è speso finora per realizzare opere di difesa dei litorali? Ma, non solo. Sono stati registrati danni a ponti e altri manufatti lungo i fiumi, con necessità di ingenti esborsi di denaro pubblico per ricostruirli o ripararli.

Si sa da tempo che l’incisione anomala degli alvei fluviali e l’erosione delle coste sono i principali fattori del depauperamento delle falde freatiche e del tanto richiamato, questa estate, “cuneo salino”, ovvero la risalita delle acque salate marine all’interno dei terreni costieri, imputata, erroneamente, unicamente alla siccità. Se la causa del “cuneo salino” fosse effettivamente solo la siccità, perché si vogliono costruire dighe e invasi che manderanno al mare meno acqua, non contrastando così la risalita delle acque salate?

Ci sono ben altri problemi che non si prendono mai in considerazione. Quanta acqua evapora dagli invasi? Per l’Italia si calcolano non meno di 10.000 metri cubi all’anno per ogni ettaro di superficie dello specchio d’acqua. Questa quantità è maggiore nel Mezzogiorno e decisamente più grande per i piccoli invasi. La conseguenza è un incremento dell’effetto serra ed un aumento della temperatura. Inoltre nei bacini piccoli, in estate, l’acqua raggiunge temperature elevate che riducono la quantità di ossigeno presente, favoriscono lo sviluppo di alghe e di cianobatteri che producono pericolose tossine: la conseguenza è l’impossibilità di utilizzare l’acqua per usi domestici o per l’irrigazione dei campi.

In conclusione, una diga con il suo bacino è un’opera umana che incide pesantemente sul microclima dei luoghi, modifica gli ecosistemi, cambia la geomorfologia del territorio, altera l’idrologia e i regimi idrici sotterranei, modifica la dinamica delle coste, modifica lo stato tensionale delle rocce su cui grava l’infrastruttura e quella delle sponde.

E, poi, insieme alla diga si costruiscono strade, ponti, muri di contenimento che sconquassano gli ambienti naturali. Al di là degli aspetti ingegneristici e geologici, una diga ha bisogno di una progettazione multidisciplinare, in cui si devono prendere in considerazione anche aspetti biologici, zoologici, microclimatici, sociali, ecc. Le variabili in gioco sono enormi; le incertezze nella previsione dell’impatto dell’opera e delle sue potenziali vulnerabilità non quantificabili con conseguente insuccesso tecnico, economico, ecologico.

Si dice che le dighe evitano che l’acqua nei periodi di pioggia defluisca verso il mare e non resti sul territorio. Oggi c’è la possibilità, secondo gli esperti, di stoccare l’acqua nelle falde acquifere sotterranee impoverite. Vale la pena, da parte delle istituzioni, prendere in considerazione questa opportunità che non consuma suolo, non causa evaporazione e riduce la subsidenza. Inoltre, falde più elevate e più ricche rilasciano lentamente l’acqua nel reticolo idrografico consentendo una distribuzione uniforme tutto l’anno.
Questa soluzione, sempre secondo gli esperti, sarebbe molto più vantaggiosa: i dati reperibili indicano che i sistemi di ricarica controllata della falda costano in media 1,5 euro al metro cubo sulla quantità di acqua infiltrata in un anno; per i bacini artificiali il costo è di 5-6 euro al metro cubo del volume che viene invaso (dati forniti dal CIRF, il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale con sede a Venezia).

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